Il diabolico Luca Barbareschi è il cattivo maestro di vita dell'ingenuo Lorenzo Richelmy in un film che mescola stili e linguaggi riflettendo sarcasticamente anche sull'industria cinematografica italiana
Era dai tempi del sottovalutato film di Boris (2011), punto d’arrivo dell’omonima sottovalutatissima – e avanguardistica – serie creata da Luca Manzi e Carlo Mazzotta (in onda per tre stagione tra il 2007 e il 2010), che non si provava a riflettere satiricamente sul nostro sistema produttivo cinematografico ‘all’amatriciana’. Nel mentre, in questi anni sono fioriti serial sulla criminalità organizzata come le apprezzate Gomorra e Suburra (e relativi lungometraggi) e pellicole caustico-grottesche come La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino.
E sembrano proprio questi i modelli principali cui il regista – e sceneggiatore, su un soggetto scritto con Fausto Brizzi che si ispira liberamente al libro di Dormiremo da vecchi di Pino Corrias – Fabio Resinaro (reduce dai fasti di Mine del 2016) ha guardato per bacchettare dall’interno le dinamiche di quel mondo di cui ormai fa parte, ibridandoli con elementi del cinema action e thriller tipicamente più internazionali, in un gioco che – evidentemente – richiama alla mente le operazioni solitamente appannaggio di Quentin Tarantino oppure, se guardiamo nel sottobosco indipendente di casa nostra, di Roberto D’Antona (pensiamo al recente Fino all’Inferno).
La tribolata protagonista Jacaranda Ponti (Valentina Bellè), Oscar Martello, la sua apicoltrice e aristocratica moglie Helga (Claudia Gerini) e il distributore Remo Golia (Armando De Razza), sono quindi tutti molto preoccupati, ma a salvare la situazione ci si mette proprio Andrea. Il ragazzo, assieme al produttore, concepisce un piano diabolico: far credere che Jacaranda sia stata rapita dalla camorra, contraria all’uscita dello ‘scomodo’ Non finisce qui, così che i media diano risonanza alla notizia amplificando la pubblicità gratuita per il film e creando curiosità nel pubblico. Un’idea convincente, che tuttavia non tiene conto del fiuto dell’ispettore di Polizia Raul Ventura (Francesco Montanari) e di una serie a catena di eventi imprevisti (o forse no …) che incrineranno la perfetta strategia.
Come anticipato, almeno per i primi due atti Dolceroma è una sorta di rimprovero ‘scontato’ (nel senso che descrive una situazione che tutti immaginano sia davvero così) a un’industria romacentrica che pensa esclusivamente al profitto e agli incassi (o al possibile flop finanziario …), fregandosene dei sentimenti e della qualità artistica e corrompendo tutti quelli che vi si avvicinano con le intenzioni più pure e disincantate. Ci troviamo così davanti a un conciliabolo di individui gretti, che ‘fanno il contrario di quello che dicono e non dicono mai quello che pensano davvero‘, in un peccaminoso e inevitabile turbinio di falsità reiterate, amicizie di convenienza e gente che guarda dall’altra parte per non perdere lo status sociale che condannano a una consapevole dannazione eterna, ma che sembrano essere l’unica via fattibile per il successo e la realizzazione dei sogni.
Fabio Resinaro alterna generi e archetipi sforzandosi di elevare il suo film oltre l’aspetto da action comedy bizzarra garantito dal trailer, raccontando la traiettoria ascendente (o discendente?) di un personaggio che non è quello che sembra, spiazzando lo spettatore coi colpi di scena di un terzo atto virato al noir spionistico puro in cui si tirano le fila della parabola, ma guidandoci a una conclusione soltanto parzialmente intuibile in anticipo e interpretabile come tutt’altro che rassicurante ed edificante, specie perché i lidi della comicità a quel punto sono stati abbandonati già da tempo.
Abbiamo così il ‘Libanese’ di Romanzo Criminale che diventa uno sbirro indefesso che pare uscito da un poliziottesco degli anni ’70, un laido Armando De Razza ricalcato sul Diego Lopez della sopracitata Boris, un tris di camorristi degni di Ammore e malavita e una generosa Claudia Gerini che si cimenta nella versione alternativa del bagno di John Wick 2 (ma stavolta si concede nuda fronte e retro). Il tutto condito con le note, reiterate e beffarde, di Brucia Roma di Antonello Venditti e di Vivere senza malinconia di Tito Schipa. Manca solo la religione, lasciata – probabilmente volutamente – fuori.
Insomma, se lo ‘svezzamento’ alle crudeltà del mondo del lavoro (e della vita) di Andrea da parte di Oscar guida effettivamente la narrazione (su cui si innesta un’immancabile sottotrama latamente amorosa), è la declinazione a un contesto metafilmico a garantire quel plus di interesse – a quanto pare non del tutto voluto … – a Dolceroma che nessun combattimento con le katane in mezzo a un incendio in CGI potrebbe altrimenti mai eguagliare.
Di seguito il trailer di Dolceroma, nei cinema dal 4 aprile: