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Intervista esclusiva a Dominique Pinon: “Per Alien 4 Jeunet girò una scena d’apertura che Fox bocciò”

26/10/2025 news di Alessandro Gamma

Al Festival di Sitges 2025 abbiamo incontrato l'attore francese, riflettendo su cinema, libertà e futuro creativo

pinon sitges 2025

Ospite d’onore al Festival di Sitges 2025, abbiamo avuto modo di fare quattro chiacchiere con l’attore francese Dominique Pinon – volto inconfondibile del cinema di Jean-Pierre Jeunet, da Delicatessen ad Amélie fino ad Alien – La Clonazione – ripercorrendo la sua straordinaria carriera, tra oltre cento film, ruoli televisivi e una solida esperienza teatrale premiata con un Molière. Con la sua consueta lucidità e ironia, ha parlato del mestiere dell’attore, della libertà artistica e delle trasformazioni del cinema nell’epoca digitale.

Partiamo dal tuo film probabilmente più conosciuto, Delicatessen. Pensi che oggi si potrebbe ancora realizzare un’opera così bizzarra, piena di umorismo macabro e fin’anche politicamente scorretta?

Pensi che Delicatessen sia politicamente scorretto?

Per gli standard di oggi …

Sì, sì, certo, è possibile anche oggi. Ma in Francia, La Cité des Enfants Perdus, per esempio, non sarebbe possibile oggi. Intendo dire, parlo proprio del girarlo, capisci? Non è più possibile, con il digitale e tutto il resto. Penso… no, oggi non sarebbe più possibile. Il dark humor invece è sempre possibile, credo. Anche se non lo vedo più molto in giro, sai, i tempi sono cambiati e… Ad ogni modo non credo che oggi Delicatessen non si potrebbe più girare. Quando uscì, nel 1992, per tutti era una specie di oggetto non identificato, capisci? “Ma che cos’è?” Penso che sia per questo che ebbe successo all’epoca, perché era così diverso da tutto quello che si faceva allora. Ma… non lo so, non so molto del cinema di oggi, però… Penso che sia ancora possibile che esistano film capaci di sorprendere. Non so.

pinon film delicatessenParlando di La Città dei Bambini Perduti, il film anticipava temi come la clonazione e la perdita d’identità. Pensi che Jeunet e Caro abbiano in qualche modo previsto l’era digitale e la conformità in cui viviamo ora?

La Cité des Enfants Perdus è stato un lavoro molto, molto artigianale. Siamo stati i primi a fare questa cosa dei cloni, in cui io apparivo più volte sullo schermo. Ma fu un lavoro incredibile, perché bisognava girare ogni ripresa una dopo l’altra, dovevo recitare una parte senza gli altri, e ogni volta, ogni volta, girare, girare, girare, e serviva una precisione enorme. Mentre ora, con la tecnologia digitale, si fa tutto “con un dito nel naso”, capisci cosa voglio dire?

Di cloni si parla anche in Alien – La Clonazione del 1997 … Ti è sembrato comunque un film ‘di Jeunet’, o in qualche modo il sistema hollywoodiano ha cambiato il suo modo di dirigere?

È un film molto jeunetiano, sì. E lui fu felice di poter avere l’ultima parola. È per questo che accettò di farlo. Gli interessava creare un mondo interno. Quando andò nello spazio, nel film, era interessato a questo. E quando Hollywood gli chiese di fare il film, lui voleva fare il suo film. Perché la prima volta che la Fox gli mandò la sceneggiatura, era una schifezza. Non era buona. E lui la riscrisse. Anche il finale. Il finale fu sempre un problema. Ma lui ottenne il permesso di riscriverlo, di fare delle modifiche. C’erano anche delle scene che girò. Ce n’era una in particolare che voleva assolutamente fare, una scena d’apertura. La girammo per tutta la mattina. Era per i titoli di testa. Si vedeva una cosa molto sfocata sullo schermo, poi diventava sempre più nitida, e poi appariva un occhio, un occhio come quello di un mostro. E diventava sempre più chiaro. Era un piano sequenza. E alla fine del piano sequenza, c’era un dito che schiacciava una mosca sulla cabina di pilotaggio dell’astronave. Fu un’idea di Jean-Pierre, ma la Fox non volle tenerla.

Durante le riprese e poi vedendo il film finito, hai pensato che fosse ‘diverso’ dal solito prodotto hollywoodiano?

All’interno della saga, sì… Penso che fosse molto bello, molto ben fatto. Sai qual è la cosa divertente? Quando arrivai a Parigi, la prima volta, per andare alla scuola di recitazione, il primo film che andai a vedere fu il primo Alien. E rimasi sconvolto da quel film. All’epoca, i film di fantascienza e spaziali erano molto in voga. E quando lo vidi in una sala a Parigi, mai avrei immaginato, come attore, che un giorno mi sarei trovato a vivere un’avventura con un mostro.

Quando accetti un progetto, qual è l’elemento non negoziabile che deve esserci per te?

L’unica cosa è… se la storia non mi piace, oppure se nel ruolo ci sono cose che non ho voglia di interpretare. Nei film che mi propongono, c’è spesso una scena o due in cui mi dico che non ce la farò a farle. Ma questo non mi ferma. Al contrario, mi eccita. Ciò che mi tratterrebbe dal fare qualcosa sarebbero delle scene inutilmente volgari. Oppure se il messaggio generale del film fosse, per me, qualcosa di negativo.

Molti attori hanno paura di essere etichettati sempre nello stesso tipo di ruolo …

pinon film alien clonazioneFino a che punto il tuo volto insolito, molto distintivo e riconoscibile, ti ha aperto alcune porte e te ne ha chiuse altre?

Ogni attore ha i suoi problemi. Jean Dujardin, per esempio, diceva che all’inizio faceva fatica perché trovava di avere un viso troppo normale. E io, invece, avevo il problema opposto. Avevo un viso… beh, insomma, ognuno ha i propri problemi del genere, ma quando vuoi fare questo mestiere e lo ami, finisci per farlo. Sta anche all’attore lavorare su se stesso per riuscire a fare altro rispetto alle stesse cose. Io ho avuto questo problema all’inizio. Il mio primo film è stato Diva di Jean-Jacques Beineix. E dopo Diva, mi proponevano sempre ruoli da psicopatico. Ma il teatro mi ha aiutato molto, perché mi ha aperto ad altre possibilità. E poi, con Delicatessen, per me è stato un bel regalo, perché facevo cinema già da dieci anni. E d’un tratto mi proposero il ruolo di un clown, insieme clown e giovane protagonista, un personaggio divertente e seduttore. Era magnifico. È stato davvero un bel regalo.

Guardando al mondo di oggi, dominato dagli algoritmi, dalle piattaforme televisive e dai grandi franchise, vedi ancora spazio per quel tipo di cinema di nicchia e visionario che ha definito tante delle tue scelte lavorative?

C’è sempre spazio. In ogni caso, tutte le persone che iniziano trovano il loro posto lì dentro. Ma direi che è piuttosto positivo. Perché oggi ci sono tantissimi mezzi, tantissimi modi diversi per cominciare a fare cinema. Si può iniziare anche con questo, per esempio – con un telefonino. Chi vuole diventare regista, secondo me, deve semplicemente fare il suo percorso. Ad esempio, Jean-Pierre Jeunet ha un modo di lavorare molto artigianale. Ora ha appena finito un film, ma senza di me! Ma fa ancora i suoi film allo stesso modo. Gli serve molto tempo. Serve molto lavoro prima e dopo le riprese. La cosa difficile, sempre di più, è che oggi tutto va molto veloce. Bisogna andare in fretta, in fretta, in fretta. Ora, in televisione, si girano film TV di un’ora e mezza in 15 giorni. Ma c’è sempre, credo, qualcuno che vuole fare cinema. E chi vuole farlo, lo farà, si esprimerà.

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