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Fumo di China cambia pelle: ne parliamo col direttore editoriale Davide Barzi

09/12/2025 news di Alessandro Gamma

Il mensile sul mondo del fumetto prova a rilanciarsi

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Dopo quasi cinquant’anni di storia, Fumo di China inaugura una nuova era. La storica rivista italiana dedicata al fumetto e alla cultura visiva riparte sotto la guida di If Edizioni, con un nuovo formato, un’impostazione editoriale completamente aggiornata e una missione chiara: portare il fumetto oltre il fumetto.

Dall’ 8 novembre scorso in edicola, dal 12 novembre in libreria (per la prima volta nella sua storia) e dal 22 novembre in fumetteria, la rivista torna in una veste ibrida – tra magazine e volume da collezione – con 164 pagine al prezzo di 9,90 euro.

Il nuovo corso, diretto da Davide Barzi, punta a trasformare Fumo di China in un vero media brand, capace di dialogare con i linguaggi della contemporaneità – dal cinema ai videogiochi, dall’arte al design – e di raggiungere nuovi lettori attraverso canali digitali, social e un sito in arrivo con contenuti esclusivi.

Il numero d’esordio presenta interviste a Tetsuo Hara e Rébecca Dautremer, reportage internazionali, rubriche su fumetto, società, arte e cultura pop, e una veste grafica completamente rinnovata. Le copertine variant di Riccardo Crosa e Rébecca Dautremer hanno debuttato in anteprima a Lucca Comics & Games 2025.

Per l’occasione, abbiamo fatto quattro chiacchiere proprio con Davide Barzi, direttore editoriale di Fumo di China.

Può Fumo di China riportare autorevolezza e profondità nel discorso sul fumetto, oggi dominato da influencer, podcast e promozioni editoriali mascherate da recensioni?

Il discorso contemporaneo sul fumetto, per essere autorevole e profondo, ha bisogno di essere articolato e di dare spazio alle voci più diverse. Solo così il dibattito può tenersi debitamente lontano dall’autoreferenzialità, dalle sterili malinconie ma anche dal semplice fenomeno mordi e fuggi ben promosso.

Questo per dire che influencer e podcast non li vedo affatto come qualcosa di necessariamente antagonista o comunque da guardare con sospetto. La rivista è, o vuole essere, un trionfo dell’amore per il prodotto cartaceo, ma non escludendo affatto di dialogare con tutto ciò che il web ha portato in termini di analisi, critica e storicizzazione.

È chiaro che il web diventa fonte principale per tutto ciò che è immediato, le news, il fenomeno del momento. Noi abbiamo tempo e spazio per analizzare. Ma non per questo staremo lontani da chi oggi parla di fumetto attraverso video e voce, anzi! Collaboratori come Gianluca De Angelis, che per il numero 1 ha realizzato un reportage sul fumetto indiano ma che è una presenza frequente, importante e professionale anche sui social network, rappresentano per noi un valore aggiunto nel tentativo di dialogare con diverse generazioni di lettori e diversi target.

Una squadra che sia un mix di firme come la sua, affiancate a quelle di collaboratori storici, ma anche a nuove leve con uno sguardo ancora più fresco e vivace da far crescere, rappresentano una delle sfide che ci poniamo. Quanto tutto ciò porti ad autorevolezza e profondità lo lasciamo dire ai lettori, noi davvero possiamo dire di non aver lesinato su nessun aspetto e di aver curato ogni singolo lato del prodotto. E garantiamo di virare ogni giorno tutto quanto qui enunciato al participio passato anche al presente e al futuro.

fumo di china 2025 retroIl fumetto è ancora controcultura o è diventato lifestyle? Nel suo nuovo formato “ibrido”, la rivista rischia di trasformarsi da voce indipendente in magazine di tendenza – o può essere entrambe le cose?

Il fumetto è un linguaggio che può essere virato in ogni direzione, e a noi piace indagarlo in tutte le sue forme. Abbiamo parlato di Robert Crumb come del cibo in manga e anime, di un autore fuori dagli schemi come Valerio Barchi, ma anche di un progetto con protagonista Diabolik in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

Scegliere di trattare solo l’underground o solo il mainstream sarebbe limitante: il fumetto viaggia in mille direzioni e noi vogliamo provare a catturarlo nella sua molteplicità.

Se l’aspetto cartotecnico di pregio che abbiamo dato alla nuova versione della rivista fa sì che trovi posti in scaffali di libreria dove non sarebbe mai arrivato, e fa quindi sì che nuovi lettori – che magari ignoravano la nostra esistenza – inizino quantomeno a sapere che c’è, allora abbiamo ottenuto uno degli obiettivi che ci siamo prefissati.

Il lettore abituale può in parallelo procedere con la sua dolce abitudine d’acquisto in edicola o in fumetteria. “Voce indipendente” e “magazine di tendenza” non le vedo come due voci necessariamente antitetiche.

Cosa significa oggi “portare il fumetto oltre il fumetto”? È un manifesto per l’era transmediale o l’ammissione che il fumetto, da solo, non basta più a raccontare il contemporaneo?

Il fumetto, da solo, non è mai bastato a raccontare il contemporaneo. Così come nessun altro linguaggio. O magari sono solo la mia curiosità e la mia variegata sfera di interessi a farmi dire che nutrirsi dello stesso, unico alimento non può rappresentare una dieta equilibrata.

Perché anche il cinema neorealista raccontava il contemporaneo al meglio solo se letto nel contesto di tutta la produzione culturale coeva. L’era transmediale quindi porta in dote qualche linguaggio ulteriore tra cui sperimentare, ma i risultati migliori in termini di analisi ai miei occhi sono sempre quelli che creano connessioni tra mondi diversi.

Chi leggerà davvero la nuova Fumo di China? Riuscirà una rivista nata nel mondo della carta a parlare alle generazioni cresciute su webtoon, TikTok e fandom digitali – senza perdere il suo pubblico storico?

Se ci riuscirà “lo scopriremo solo vivendo”, non siamo parapsicologi. Ma sicuramente ci stiamo provando.

I riscontri che abbiamo dagli scambi con le persone presenti agli eventi in cui presentiamo la testata per ora ci dicono che i lettori abituali guardano alla formula con stupore e curiosità. Certo, la “nostalgia canaglia” fa parte dell’impasto di sentimenti con cui si approccia a una pubblicazione periodica chi ha una radicata abitudine d’acquisto, quindi è del tutto normale che i lettori della prima ora manifestino qualche spiazzamento rispetto alle numerose innovazioni, ma sono al contempo consapevoli che una rivista fuori dal tempo non avrebbe ormai più trovato uno spazio.

In parallelo, coloro che non conoscevano la testata e vengono catturati dalla nuova formula sono la riprova che un pubblico potenziale c’è, va cercato, ci vogliono tempo e impegno, ma già essere nelle librerie, come nelle edicole degli aeroporti, porta la rivista in ambiti dove non era mai stata.

E, una volta aperta, si scopre che alcuni degli interessi della generazione a cui fai riferimento – penso per esempio ai webtoon – sono presenti. Perché se considerassimo il fumetto un linguaggio per iniziati, sarebbe la fine del fumetto. E nessuno di noi la vuole, direi.