Esploriamo e proviamo a ricostruire i significati nascosti dell'oscuro capolavoro del 2001 con Naomi Watts e Laura Harring
Mulholland Drive del 2001 è – ad oggi – il penultimo film girato da David Lynch, osannato da critica e pubblico e recentemente eletto dalla BBC (British Broadcasting Corporation) come “il miglior film del XXI secolo”. Visto il regista, è inutile ribadire che sia un’opera dall’innegabile fascino, che entra di diritto – almeno per chi scrive – tra i massimi esponenti della storia del cinema. Il fatto che sia un capolavoro non vuol comunque dire che sia adatto a tutti i palati, come d’altronde vale per la maggior parte delle opere di Lynch, anche in virtù dell’essere destrutturata e non immediatamente decifrabile, dai molteplici significati nascosti e dal forte valore simbolico (come prima era stato pure per Eraserhead – La mente che cancella del 1977 e per Strade Perdute del 1997).
Per quanto riguarda la trama, quindi, sarò costretto solo a farne qualche veloce accenno, vista la complessità degli eventi e la costruzione dell’intero impianto, poi si procederà con una classica ‘spiegazione’. Qui siamo veramente a un punto estremo per quanto riguarda l’associazione e la dissociazione delle immagini (anche se il fondo – o l’apice – verrà toccato nel 2006, con INLAND EMPIRE – L’impero della mente).
Per facilitare la comprensione del film è fondamentale elencare gli eventi nell’ordine temporale in cui avvengono realmente: Diane Selwyn (una straordinaria Naomi Watts) è un’attrice di talento ignorata dal mondo del cinema, riuscita ad approdare a Hollywood grazie alla vittoria in una gara di Jitterbug (la scena iniziale con i ballerini di swing). Nonostante le sue capacità, riesce tuttavia a ottenere solo piccole parti qua e là procuratele da Camilla Rhodes (Laura Harring), conosciuta sul set di un film e con la quale ha intrecciato una specie di relazione amorosa.
Tuttavia, ciò che per Diane è una storia seria, per Camilla risulta essere solo un giochetto, qualcosa che ha iniziato per combattere la noia, e di cui ora si è stufata. A un certo punto quindi, essendosi anche fidanzata con Adam Kesher (Justin Theroux), il regista della pellicola -alla quale attualmente entrambe stanno lavorando (The Sylvia North Story), decide di troncare questa pseudo-relazione con la donna. Diane è ovviamente contraria alla cosa, ed è arrabbiata, mentre l’altra, al contrario, sembra ridere di lei, in uno scherno che tocca il culmine a una cena a casa del filmmaker, alla quale è presente anche tutto il resto del cast. L’abitazione è situata proprio sulla Mulholland Drive. Queste prese in giro fanno così sprofondare Diane nella sofferenza e nell’odio più totali, al punto che decide di far uccidere Camilla, rivolgendosi a un killer (non proprio professionista).
Nel proprio inconscio, Diane crede di chiamarsi Betty, un nome visto sulla targhetta di una cameriera nel bar dove si è incontrata con il killer. Mulholland Drive è la strada nella quale Camilla ha un incidente sulla limousine, proprio nel punto in cui la nostra attrice era scesa dal taxi per poi dirigersi alla cena a casa del regista, e a causa di questo incidente ha perso la memoria.
Fin da subito possiamo capire che lei è in pericolo, poiché degli uomini la stanno cercando per ucciderla (degli italo-americani appartenenti alla mafia), e già da qui possiamo percepire la volontà di Diane di far soffrire la sua ex amante, così come pure il regista che glie l’ha “sottratta”, anch’egli vittima degli stessi uomini (capeggiati da un tizio vestito da cowboy), che gli impongono di dare la parte della protagonista del suo nuovo film a una ragazza scelta da loro e che a lui non va a genio. Oltre a ciò, la punizione per Adam si evince anche da altri piccoli episodi, come il tradimento della moglie.
Nel sogno Betty è un’attrice dotata e talentuosa (come nella realtà del resto), arrivata ad Hollywood da poco, che alloggia nell’appartamento di sua zia Ruth (Maya Bond), la quale è dovuta partire (ed è lì che trova Camilla ferita alla testa e priva di memoria). Nella realtà zia Ruth è però morta, e anche da questo particolare traspare la volontà della protagonista, il suo forte desiderio di non aver perso per sempre una persona cara, che invece vorrebbe semplicemente partita per qualche tempo.
Si, perché nella realtà questa è il segno che l’assassinio della sua ex amante è stato compiuto, e infatti la troverà al risveglio sul tavolino del suo appartamento. La scatola blu che apre non contiene nulla nel ‘mondo reale’, è solo nel sogno che acquista valore allegorico (si trova nella borsa di Camilla): contiene la pazzia e la disperazione della nostra protagonista. Se la scatola si apre, allora Camilla è stata uccisa. Il misterioso teatro chiamato Club Silencio poi è un altro importante elemento dal forte valore simbolico: rappresenta la costante paura della morte, l’angoscia di essere soli, il timore che dopo la fine potrebbe non esserci niente (Betty/Diane ha già perso per sempre sua zia, e ora potrebbe aver perso anche Camilla). Non c’è nessuna banda, eppure si sente una musica suonare, una musica che potrebbe tuttavia essere solamente un’illusione.
Dopo avergliele restituite lei la liquida in fretta, e quando chiude la porta si volta verso il tavolo: la chiave blu è lì, ovvero Camilla è stata uccisa. La ragazza è distrutta, si dispera, le sembra perfino di rivederla lì e di rivivere i loro ricordi comuni (è da qui che veniamo a conoscenza della realtà dei fatti), ma è solamente un inganno, nessuno può riportarla in vita. Per il dolore impazzisce e così vediamo la coppia di vecchietti che all’inizio di Mulholland Drive era appena atterrata a Hollywood ‘uscire’ dalla scatola blu raccolta dal barbone (i due simboleggiano la pazzia di Diane), arrivare a casa sua e cominciare e terrorizzarla. Ma essi esistono solo nella sua mente.
Così, affinchè il dolore finisca, Diane prende la pistola e si spara in bocca, suicidandosi (se ricordate, quando nel sogno lei e Camilla vanno alla ricerca di una certa Diane Selwyn la trovano senza vita, putrefatta e irriconoscibile sul letto nella sua stanza: Diane Selwyn non è altro che il suo vero nome dimenticato, quindi la donna vede il proprio cadavere, avendo così un’immagine premonitrice di ciò che sarebbe accaduto).
Morte, fine di tutte le sofferenze.
Quello firmato da David Lynch è in definitiva un film straordinario, un’opera dall’atmosfera malata, a tratti davvero oscura, e a tratti perfino comica, nella quale tutti gli attori coinvolti offrono prestazioni superbe, dove la potenza evocativa delle immagini parla da sé: lo spettatore viene calato in un mondo onirico in cui la tecnica di ripresa raggiunge il sublime e una spiegazione in fondo non è così importante.
Tra tutti i titoli della filmografia del regista di Missoula, questo è forse quello che più si avvicina alla vera natura del sogno, per destrutturazione, per associazioni di immagini, per potenza evocativa, per onirismo, con pochi altri esempi nella storia del cinema che riescono a superarla in questo senso. Su due piedi, mi viene in mente un regista in particolare, Richard Linklater, in quello che rimane un capolavoro immortale: Waking Life del 2001. Ma ci sarà tempo per parlarvene.
Di seguito il trailer di Mulholland Drive: