Robert Pattinson, Juliette Binoche e Mia Goth sono i personaggi della morbosa e claustrofobica incursione nello spazio della regista francese
Disturbante, dettagliatamente fisico fino al degradante, con High Life la francese Claire Denis torna a rileggere il genere, questa volta la fantascienza, con il suo punto unico, profondamente femminile e morboso. La regista del memorabile Cannibal love – Mangiata viva ci conduce questa volta in una claustrofobica missione nello spazio, narrata con lentezza volontariamente esasperante.
Ovviamente altri erano presenti, lo percepiamo subito da una serie di dettagli di cui è disseminato l’incipit di High Life. Ma, allora, dove sono finiti? A rivelare il mistero sono una serie di digressioni, incentrate su dettagli rivelatori, come l’origine di un taglio sul braccio, il concepimento della piccola passeggera o l’inizio e la finalità della missione stessa. Quindi veniamo proiettati al principio, in un salto temporale che esplora le premesse del tragitto galattico – con ogni probabilità – senza ritorno.
A cimentarsi sono un gruppo di involontari candidati, dei condannati a morte per vari crimini a cui viene concessa la possibilità di convertire la loro pena ed entrare a far parte di un equipaggio destinato allo studio ravvicinatissimo di un buco nero. Insomma, si tratta palesemente di un viaggio senza ritorno di un manipolo di ‘vittime sacrificali’ scelte per esplorare l’altrimenti inconoscibile. E lo si percepisce, nonostante sia cerchi di celarlo attraverso alcune pratiche quotidiane che simulano una impossibile normalità.
Non c’è speranza di un futuro. Il microcosmo sociale che si viene a creare ha regole interne che sovvertono la morale. A dominare nel distopico ordine sociale è la dottoressa Dibs (Juliette Binoche), donna di scienza e insieme reclusa per l’assassinio del marito a cui era seguito un tentato suicidio. Lacerata nel corpo (ne vediamo un’ampia cicatrice sulla pancia, traccia indelebile del colpo inflitto a se stessa) come nello spirito, è ossessionata dalla ricerca della creazione della vita nello spazio profondo.
L’ambiente malsano e le condizioni innaturali, però, impediscono in diversi tentativi i risultati sperati dalla Dibs, fino a condurla a manifestazioni sempre più patologiche. In un crescendo, la donna arriva così a ‘violentare’ Monte, dalla quale è ossessionata, per poi utilizzare il frutto del loro amplesso per un forzato concepimento. Il risultato è decisamente disturbante, più ancora che nel concetto nell’estetica; il soffermarsi in maniera dilatata su ogni dettaglio del processo acuisce il senso di fastidio che suscita nello spettatore. E non è l’unico frangente, o l’unico modo in cui tale sentimento viene suscitato.
In altre sequenze è proprio l’oggetto dello sguardo, inquadrato con la medesima meticolosità a instillare uguale disagio, che è ricercato lungo l’intero minutaggio di High Ligh tramite diverse strategie visive e narrative. Il malessere si insinua in ognuno dei reclusi nell’astronave (e nello spettatore di riflesso), circondati dal nulla cosmico e diretti verso una voragine spaziale, costruendo un caos crescente in una graduale degenerazione degli eventi. Una situazione che ricorda in qualche modo il capolavoro di William Golding Il signore delle mosche.
Poi c’è la regia. L’occhio della telecamera si sofferma su gesti banali, segue i personaggi perdendosi nei corridoi illuminati innaturalemte, in una fotografia algida e visionaria, quasi ad esasperare il lavorio del tempo sui nervi. Alcune sequenze si prolungano a dismisura, altre sono repentine; comunque sia, i tagli secchi e brutali dell’azione lasciano spaesati, sbalzandoci da un tempo all’altro, da un luogo a un altro, ex abrupto.
Terrificante e conturbante, High Life può allora suscitare nel pubblico molteplici impressioni, ma certo non può lasciare indifferenti, come d’altra parte non possiamo che aspettarci da Claire Denis. La sua visione rasenta il doloroso, ma giunti al finale si ha una sensazione di catarsi, in un paradossale salto nel vuoto liberatorio.
Di seguito trovate il trailer internazionale del lungometraggio, al momento senza una data di uscita ufficiale nei cinema italiani dopo il passaggio al Torino Film Festival del 2018: