Voto: 6.5/10 Titolo originale: High Life , uscita: 26-09-2018. Budget: $8,933,400. Regista: Claire Denis.
High Life: la recensione del conturbante film sci-fi di Claire Denis
01/05/2019 recensione film High Life di Sabrina Crivelli
Robert Pattinson, Juliette Binoche e Mia Goth sono i personaggi della morbosa e claustrofobica incursione nello spazio della regista francese
Disturbante, dettagliatamente fisico fino al degradante, con High Life la francese Claire Denis torna a rileggere il genere, questa volta la fantascienza, con il suo punto unico, profondamente femminile e morboso. La regista del memorabile Cannibal love – Mangiata viva ci conduce questa volta in una claustrofobica missione nello spazio, narrata con lentezza volontariamente esasperante.
Sviluppato su tre piani temporali differenti che si compenetrano, High Life si apre con la solitaria routine di Monte (Robert Pattinson), unico abitante di una fredda e spoglia nave spaziale insieme a una bambina. Lo seguiamo mentre da solo si occupa della manutenzione di pannelli all’esterno della navicella, registra il diario di bordo, oppure della coltivazione all’interno della serra, e soprattutto risponde a tutte le necessità della neonata, la cui oscura origine suscita subito interesse. Perché un uomo si trova con un infante disperso nello spazio? Dove sono diretti e cosa ci fanno lì da soli?
Ovviamente altri erano presenti, lo percepiamo subito da una serie di dettagli di cui è disseminato l’incipit di High Life. Ma, allora, dove sono finiti? A rivelare il mistero sono una serie di digressioni, incentrate su dettagli rivelatori, come l’origine di un taglio sul braccio, il concepimento della piccola passeggera o l’inizio e la finalità della missione stessa. Quindi veniamo proiettati al principio, in un salto temporale che esplora le premesse del tragitto galattico – con ogni probabilità – senza ritorno.
A cimentarsi sono un gruppo di involontari candidati, dei condannati a morte per vari crimini a cui viene concessa la possibilità di convertire la loro pena ed entrare a far parte di un equipaggio destinato allo studio ravvicinatissimo di un buco nero. Insomma, si tratta palesemente di un viaggio senza ritorno di un manipolo di ‘vittime sacrificali’ scelte per esplorare l’altrimenti inconoscibile. E lo si percepisce, nonostante sia cerchi di celarlo attraverso alcune pratiche quotidiane che simulano una impossibile normalità.
Non c’è speranza di un futuro. Il microcosmo sociale che si viene a creare ha regole interne che sovvertono la morale. A dominare nel distopico ordine sociale è la dottoressa Dibs (Juliette Binoche), donna di scienza e insieme reclusa per l’assassinio del marito a cui era seguito un tentato suicidio. Lacerata nel corpo (ne vediamo un’ampia cicatrice sulla pancia, traccia indelebile del colpo inflitto a se stessa) come nello spirito, è ossessionata dalla ricerca della creazione della vita nello spazio profondo.
Il procedimento è scabroso: raccogliendo il seme prodotto dai membri maschili dell’equipaggio durante la masturbazione quotidiana (Monte è escluso poiché si astiene), lo utilizza per impiantarlo contro la loro volontà nelle prigioniere sulla navicella, quali Elektra (Gloria Obianyo), Mink (Claire Tran) e Boyse (Mia Goth).
L’ambiente malsano e le condizioni innaturali, però, impediscono in diversi tentativi i risultati sperati dalla Dibs, fino a condurla a manifestazioni sempre più patologiche. In un crescendo, la donna arriva così a ‘violentare’ Monte, dalla quale è ossessionata, per poi utilizzare il frutto del loro amplesso per un forzato concepimento. Il risultato è decisamente disturbante, più ancora che nel concetto nell’estetica; il soffermarsi in maniera dilatata su ogni dettaglio del processo acuisce il senso di fastidio che suscita nello spettatore. E non è l’unico frangente, o l’unico modo in cui tale sentimento viene suscitato.
In altre sequenze è proprio l’oggetto dello sguardo, inquadrato con la medesima meticolosità a instillare uguale disagio, che è ricercato lungo l’intero minutaggio di High Ligh tramite diverse strategie visive e narrative. Il malessere si insinua in ognuno dei reclusi nell’astronave (e nello spettatore di riflesso), circondati dal nulla cosmico e diretti verso una voragine spaziale, costruendo un caos crescente in una graduale degenerazione degli eventi. Una situazione che ricorda in qualche modo il capolavoro di William Golding Il signore delle mosche.
Lo stile di Claire Denis riesce a enfatizzare l’angoscia sia nel modo in cui è costruito, che in quello in cui è girato il suo film. La profonda drammaticità dell’esperienza dei singoli è materializzata in una narrazione frammentaria, proustiana. Ogni esperienza dolorosa affiora appena quale immagine densa di significato, che al contempo poco spiega dei personaggi e degli eventi. È la sconvolgente superficie di un racconto tragico che rivive nei ricordi sconnessi di Monte, mentre affronta una difficile paternità.
Poi c’è la regia. L’occhio della telecamera si sofferma su gesti banali, segue i personaggi perdendosi nei corridoi illuminati innaturalemte, in una fotografia algida e visionaria, quasi ad esasperare il lavorio del tempo sui nervi. Alcune sequenze si prolungano a dismisura, altre sono repentine; comunque sia, i tagli secchi e brutali dell’azione lasciano spaesati, sbalzandoci da un tempo all’altro, da un luogo a un altro, ex abrupto.
Terrificante e conturbante, High Life può allora suscitare nel pubblico molteplici impressioni, ma certo non può lasciare indifferenti, come d’altra parte non possiamo che aspettarci da Claire Denis. La sua visione rasenta il doloroso, ma giunti al finale si ha una sensazione di catarsi, in un paradossale salto nel vuoto liberatorio.
Di seguito trovate il trailer internazionale del lungometraggio, al momento senza una data di uscita ufficiale nei cinema italiani dopo il passaggio al Torino Film Festival del 2018:
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