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[I diari del Lido: il Cineocchio a Venezia 74] Giorno 1 – Si comincia

30/08/2017 news di Giovanni Mottola

Tre film su cui puntare, a scatola chiusa, per la vittoria finale. Per intanto, quello di apertura tiene fede al suo nome: 'Downsizing' di Alexander Payne parte benissimo. Ma si chiude male.

La serata pre-inaugurale è stata un trionfo: la prima mondiale di Rosita, capolavoro di Ernst Lubitsch del 1923 ritrovato e ricostruito su impegno del MOMA, ha riempito i circa millecinquecento posti della Sala Darsena e ci auguriamo che venga organizzata un’altra proiezione per tutto il pubblico. Al fascino del film contribuisce, oltre al tocco del maestro berlinese, la presenza della diva del muto Mary Pickford. Nei panni di una cantante popolare di strada, con il suo duende selvaggio, ella ammalia il volgo, che la vede così uguale, e il re di Spagna, che la sente così diversa e ostile. La visione del film è stata poi impreziosita dalla performance musicale della Mitteleuropa Orchestra, diretta da Gillian Anderson (no, non si tratta della Scully di X-Files), che ha ricostruito la partitura originale della pellicola. Ammirare il lavoro della Anderson, chiamata a osservare a cadenza alternata il film sullo schermo, i suoi musicisti e il leggio è stato uno spettacolo nello spettacolo.

downsizing payne veneziaAd aprire ufficialmente le danze sarà invece la commedia sci-fi Downsizing di Alexander Payne, con Matt Damon, Christoph Waltz e Hong Chau. Narra di un gruppo di ricercatori norvegesi che scopre il sistema di miniaturizzare l’essere umano, riducendo alcuni problemi del pianeta (sovraffollamento, inquinamento, scarsità di risorse etc.) e donando anche ai non benestanti la possibilità di una vita lussuosa a poco prezzo. La storia viene raccontata attraverso gli occhi dell’uomo medio Matt Damon, che deciderà di aderire all’irreversibile iniziativa insieme alla moglie e finirà col trovare una vita del tutto nuova. La prima mezz’ora del film è folgorante per la capacità di coniugare una visionarietà degna di un Marco Ferreri o di un Terry Gilliam: le scene iniziali in cui esserini di una decina di centimetri dialogano con naturalezza con uomini a grandezza normale suscitano un vero spasso. Abbastanza presto, però, il geniale spunto di partenza perde efficacia e l’opera è quindi costretta a reinventarsi. Sarebbe stata interessante una virata satirica sulla hybris che connota l’avidità umana e l’insensatezza della convinzione che riducendo le proprie dimensioni possano scomparire i problemi e ingigantirsi soltanto le gioie. Invece il film scade nel patetico – verso il finale addirittura nel melenso – mancando così di valorizzare i bravi attori. Tra di essi, a parte i noti Damon e Waltz, merita un plauso Hong Chau, nei panni di una generosa e dissidente vietnamita, miniaturizzata dal regime per punizione e ridottasi a fare le pulizie, ma intenzionata a non smettere di combattere per le cause in cui crede. Questo è in sintesi il film a cui assisteranno stasera gl’invitati all’inaugurazione, con in testa il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella il quale, forse per ragioni di sicurezza (grande spiegamento di forze dell’ordine qui al Lido), forse per la sua ben nota sobrietà, entrerà non visto da un ingresso posteriore.

Venezia 74In questo modo rischia di perdersi il colpo d’occhio della rinnovata facciata della Sala Grande, ripulita da ingombranti quanto inutili oggetti di colore rosso (ora è sporcata soltanto da orrendi lampioni bianchi direzionati verso l’alto e verso il basso) e riportata alle origine con la riproposizione della scritta “Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica”, comparsa per la prima volta negli anni Trenta e dunque in caratteri tipici del fascismo. Ben riuscito anche l’altro intervento urbanistico, lo sgombero del piazzale antistante il Palazzo del Casino, che lo rende ben visibile al pubblico. Per farla breve, l’aspetto esteriore è migliorato davvero e ci auguriamo che la qualità connoti anche i film in programma.

In queste due settimane assisteremo alle proiezioni di alcune altre grandi produzioni americane: sono infatti molto attesi Suburbicon di George Clooney, anch’esso con Matt Damon, da una sceneggiatura dei fratelli Coen, e Madre! di Darren Aronofsky con Jennifer Lawrence, Javier Bardem e Michelle Pfeiffer. Ancora America, la più diversa, con il favolistico The Shape of Water di Guillermo del Toro, e il documentario del maestro Frederick Wiseman sulla New York Public Library. Quattro i lungometraggi italiani nel Concorso principale: Ella & John – The Leisure Seeker di Paolo Virzì con Donald Sutherland e Helen Mirren; Una famiglia di Sebastiano Riso con Micaela Ramazzotti; Hannah di Andrea Pallaoro con Charlotte Rampling; Ammore e malavita dei Manetti bros. Il direttore Alberto Barbera sottolinea come quest’anno la qualità e la voglia di sperimentare dei film nostrani sia nell’insieme molto più alta del solito. Lo speriamo, anche se ci dà l’impressione di un’excusatio non petita. In ogni caso, secondo noi, nessuno dei film citati otterrà il Leone d’Oro.

Mektoub, My Love Canto uno (Mektoub Is Mektoub)A scatola chiusa, dovendo scommettere su una rosa di tre titoli, scegliamo Mektoub, my love: canto uno di Abdellatif Kechiche e i due film cinesi Human Flow dell’artista Ai Weiwei e Jia Nlan Hua (Angels Wear White) di Vivian Qu.

Vedremo le scelte della giuria presieduta da Annette Bening e composta da Jasmine Trinca, Rebecca Hall, Anna Mouglalis, Ildiko Enyedi, David Stratton, Edgar Wright, Yonfan e Michel Franco. Se alcuni di questi nomi non li avete mai sentiti, sappiate che vi capiamo perfettamente. Quello della giurata italiana invece, non soltanto lo conosciamo bene, ma ci permette anche di ricordare l’inizio della canzone milanese La sbornia (eeeee… Trinca, trinca, trinca, buttalo giù con una spinta…), realizzata dai Gufi e dunque di commemorare il grande Nanni Svampa, scomparso da pochi giorni. Non pretendiamo che riceva un omaggio dal Festival, nonostante in carriera abbia anche girato una decina di film: era per lui un’attività del tutto secondaria. Ci piacerebbe però che un pensiero fosse rivolto ad altri personaggi davvero importanti per la settima arte anche loro morti recentemente: i due maestri dell’horror George A. Romero e Tobe Hooper (se ricordate, due anni fa accadde con la proiezione straordinaria di Nightmare – Dal Profondo della Notte in onore di Wes Craven) e soprattutto un gigante come Jerry Lewis, insignito di un Leone d’Oro alla carriera nel 1999. Il successo ottenuto ieri sera da Lubitsch dovrebbe avere insegnato che il cinema del passato merita di non essere dimenticato.

A domani.