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Il diario da Venezia 80 (2023), episodio 2: Bet and Win

04/09/2023 news di Giovanni Mottola

Si procede tra quote dei bookmaker e recensioni dei film El Conde di Pablo Larraìn, The Palace di Roman Polanski e Adagio di Stefano Sollima

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I bookmakers internazionali stanno offrendo le quote per il vincitore del Leone d’Oro per il miglior film. Il favorito è Povere creature! del greco Yorgos Lanthimos a 4 contro 1 (per i non avvezzi, significa che per ogni euro scommesso, in caso di vittoria, se ne incassano quattro). E’ stato il film più apprezzato da tutti quelli che sono riusciti a vederlo. Purtroppo non siamo stati tra questi, dal momento che il diabolico sistema di prenotazioni ci ha tenuto fuori.

I collegamenti al sito aprono alle primissime luci dell’alba, in orari in cui all’abbraccio con Bill Gates o Steve Jobs è preferibile quello con Morfeo. Presentandosi alle nove del mattino ci si sente come Massimo Troisi in Ricomincio da tre: diceva di sognare tutte le notti la guerra e di morire sempre. Questo perché, soffrendo d’insonnia, si addormentava solo verso le due, quando ormai le armi migliori se l’erano già accaparrate quelli coricatisi intorno alle undici.

Tornando alla classifica fornita dagli allibratori, al secondo posto si trova El Conde del cileno Pablo Larraìn, quotato a 6.5/1 e al terzo Io capitano di Matteo Garrone a 8/1. Dal momento che quest’ultimo verrà proiettato solo nei prossimi giorni, ci soffermiamo brevemente sul primo per fornire qualche dritta a chi volesse tentare di rimpinguare le proprie tasche, sapendo però bene che è maggiore il rischio di ritrovarsele alleggerite.

el conde film 2023Larraìn affronta nuovamente un tema a lui caro, quello legato alla figura di Augusto Pinochet, già trattato una decina di anni fa in Post Mortem, anch’esso presentato qui alla Mostra del Cinema di Venezia. Se quello era un film crudo fino alla scabrezza, stavolta il regista cileno sceglie il registro del surreale, immaginando Pinochet come un vampiro, archetipo del male, la cui figura solca i tempi da secoli ed è destinata a perdurare anche dopo la sua morte o, per meglio dire, a non morire mai. Bella l’intuizione iniziale e splendida la fattura, con un suggestivo bianco e nero e un uso straordinario delle musiche, fin dalla Marcia di Radetzki della prima scena.

Nota di particolare merito per la figura del maggiordomo di Pinochet, mosso da una tale devozione da richiamare, forse volutamente, l’Erich von Stroheim di Viale del tramonto. Su quel viale c’è infatti anche il dittatore: è anziano e desideroso di morire, ma per qualche motivo (che lo spettatore conosce: la moglie gli fa bere del sangue di nascosto) non riesce. Avvicinandosi la sua fine, convoca comunque i figli per lasciare disposizioni sull’immenso patrimonio accumulato.

Per riuscire a raccapezzarsi gli eredi convocano una contabile, che è anche una suora, della quale il padre finirà per invaghirsi. Purtroppo con l’entrata in scena di questa figura il film comincia a perdere colpi, ondeggiando tra il puro grottesco e la denuncia politica nei confronti di un uomo non disposto ad ammettere di aver rubato ma orgoglioso di aver ucciso.

Pablo Larraìn scansa la satira, perché vuole evitare qualunque possibilità di rendere empatico l’uomo, e fa bene. Ma al fuoco mette ugualmente troppa carne, perdendosi fra un attacco anticlericale un po’ lasciato a sé stesso e, sul finale, il coinvolgimento gratuito e non ben circostanziato di un’importante personaggio politico del mondo occidentale. Gl’ingredienti per vincere un Festival però ci sono: la denuncia politica, la metafora sul male e una grande cura formale.

adagio film 2023Chi invece volesse puntare su un film biografico – sconsigliato: a parte eccezioni, è difficile che vincano – può scegliere tra Priscilla di Sofia Coppola, sulla figlia di Elvis Presley (12/1), Ferrari di Micheal Mann (a 15/1) o Maestro di Bradley Cooper, su Leonard Bernstein (a 17/1). Su questi non ci soffermiamo: lo faremo per Ferrari, in sede dedicata e con toni critici.

Chi cercasse il colpaccio dovrebbe puntare su un film italiano che non sia quello di Matteo Garrone, a quota troppo bassa (ma in realtà quello con maggiori probabilità visto il tema sensibile sull’immigrazione e la nomea del regista). In veloce sequenza: 17/1 Adagio di Stefano Sollima; 26/1 Lubo di Giorgio Diritti; 34/1 di Finalmente l’alba di Saverio Costanzo (la recensione); fanalini di cosa, appaiati a 51/1, Comandante di Edoardo de Angelis ed Enea di Pietro Castellitto.

Di questi, tralasciando De Angelis e Costanzo di cui abbiamo parlato a parte, possiamo approfondire l’unico per ora visto. La prima cosa da dire è che, per vincere, non conta nulla. Si tratta del classico film di Stefano Sollima: una vicenda attuale di criminalità romana, in cui vengono messi a confronto tre poliziotti corrotti con tre ruderi della Banda della Magliana.

Il figlio di uno di questi, il semi-rimbambito Daytona (Toni Servillo) viene incastrato e ricattato dai tre sbirri, che lo convincono a entrare al festino di un pezzo grosso con una videocamera per poterlo poi incastrare a beneficio di un committente non precisato. Il pischello esegue, ma a un certo punto, spaventato, fugge. Sa troppe cose per passarla liscia, ma la sua necessità di nascondersi riporta loro malgrado in pista il padre e due vecchi complici, Pol Niuman (Valerio Mastandrea) e Camel (un pelato Pierfrancesco Favino), nonostante ruggini passate e acciacchi presenti.

the palace film 2023L’assunto del film è che non sempre il Male sta da una parte e il Bene dall’altra. Storia vista tante volte, ma il mestiere del regista e la bravura degli interpreti – il meglio del cinema italiano – rendono Adagio un buon film d’intrattenimento. Suggestivo il finale sulle note di Tutto il resto è noia cantata dal Califfo.

Fuori quota, sia perché non partecipa al Concorso, sia perché, quand’anche lo facesse, non vi sarebbe lo spazio fisico per scriverla vista la sua enormità, The Palace di Roman Polanski.

Una delusione tremenda, acuita dal ricordo della sua ultima partecipazione alla Mostra con il bellissimo L’Ufficiale e la spia nel 2019. Stavolta, insieme a un altro pezzo da novanta come Jerzy Skolimowski, ha scritto un divertissement che però di sicuro avrà divertito più loro nel farlo che noi nel guardarlo.

Oddio, ogni tanto si ride. Ma è uno sghignazzo crasso, provocato da gag da trivio che non ci saremmo aspettati da uno dei più grandi registi di sempre. Sia ben chiaro, lo diciamo senza alcuna pretesa di dare lezioni: la sua storia e la sua età gli permettono ormai qualunque cosa, senza che debba più rendere conto di nulla allo spettatore.

Di seguito il trailer di El Conde: