Voto: 4.5/10 Titolo originale: Karate Kid: Legends , uscita: 08-05-2025. Budget: $45,000,000. Regista: Jonathan Entwistle.
Karate Kid – Legends: la recensione del film di arti marziali di Jonathan Entwistle
04/06/2025 recensione film Karate Kid: Legends di William Maga
Jackie Chan e Ralph Macchio sono parte di un’eredità confusa tra nostalgia, reboot e opportunismo

Karate Kid: Legends è il risultato finale di un’equazione cinematografica esasperata, un film che più che narrare, calcola. Costruito come un ibrido tra sequel, remake, spin-off e reboot, mescola elementi delle pellicole degli anni Ottanta, del remake del 2010, e della serie Cobra Kai in un pastiche narrativo che non è né omaggio, né reinvenzione, ma mera accumulazione.
Il problema fondamentale non è solo la trama, né la scrittura, né la regia; è la totale mancanza di direzione artistica e di un’anima coerente. Il film, invece di proporsi come un nuovo inizio o una chiusura epica, è un Frankenstein dell’IP, cucito insieme per sfruttare ogni millimetro di valore residuo di un brand ormai esausto.
Il giovane protagonista Li Fong, interpretato con naturalezza e simpatia da Ben Wang, è la punta dell’iceberg narrativo: un ragazzo dotato di talento e trauma, segnato dalla morte del fratello, costretto a trasferirsi a New York con la madre medico, e obbligato a “non combattere”.
Ma naturalmente combatterà, perché la struttura mitica della saga lo impone. Li si allena, si innamora, si scontra con un bullo, entra in un torneo. Tutto già visto, tutto già previsto.
Il tema della perdita, che avrebbe potuto dare spessore al personaggio, viene evocato e poi archiviato in favore di una serie infinita di montaggi musicali, addestramenti lampo e coreografie caotiche, spesso rese illeggibili da un montaggio convulso e da una regia televisiva che alterna ralenti e accelerazioni con poco senso del ritmo.
Joshua Jackson, nei panni dell’ex pugile Victor, è una piacevole sorpresa: la sua storyline parallela, in cui Li diventa temporaneamente l’allenatore, sarebbe bastata da sola per costruire un film interessante e alternativo, ma viene scartata in favore del solito torneo. Jackie Chan e Ralph Macchio entrano in scena tardi, con ruoli ingombranti ma poco incisivi, come reliquie sacre che si è deciso di esporre, pur sapendo che non sono più funzionali alla narrazione.
La filosofia del Sig. Miyagi — l’equilibrio, la compassione, il “non combattere se non è necessario” — è qui ridotta a slogan da cartolina, ripetuta senza contesto. La frase “due rami, un albero” è emblematica del problema: una giustificazione verbale per una fusione di universi che non trova alcuna vera armonia.
L’idea di un legame storico tra le famiglie Han e Miyagi, spiegata da un prologo animato con la voce AI del defunto Pat Morita, è forse l’esempio più cinico di retconning mai visto nel franchise.
Karate Kid: Legends non si limita a rievocare: cannibalizza il suo stesso passato. Riporta in scena ogni cliché — il bullo arrogante, il torneo illegale, il mentore saggio, la ragazza che lavora nella pizzeria di famiglia — come se fossero pezzi di Lego da incastrare, senza preoccuparsi di motivazioni credibili o sviluppo dei personaggi.
Mia, interpretata da Sadie Stanley, è un contenitore narrativo più che un personaggio: fidanzata, confidente, motivo del conflitto, collegamento al pugile, e guida turistica, tutto in uno. Anche il villain, Connor, è una caricatura ipertrofica del classico bullo, con pochissime sfumature e motivazioni ridotte a “è un ex geloso e sadico”.
L’ambientazione newyorkese è un’altra grande occasione sprecata: benché il film cerchi di suggerire autenticità urbana, le scene girate a Montreal e Ottawa producono un effetto straniante, con una New York estetizzata e piatta, senza il minimo realismo geografico o sociale.
Ogni elemento realistico è sacrificato sull’altare del cliché: la pizza diventa strumento di addestramento, il bullismo è coreografato, il trauma è una scusa, la redenzione è un dovere di copione. Il ritmo narrativo è forsennato, con montaggi ossessivi che sembrano sostituire la scrittura: tutto accade troppo in fretta, niente respira, niente si sedimenta.
Persino la tanto attesa “tecnica segreta” del protagonista è anticipata, montata, eseguita e archiviata senza pathos. Chan e Macchio, pur dotati di una chimica da vecchia coppia, sono ridotti a spettatori attivi ma marginali, inseriti solo per garantire un richiamo commerciale.
Il film parla di eredità, ma non la onora: la manipola, la sfrutta e la banalizza. In fondo, Karate Kid: Legends è un prodotto della sua epoca: non un’opera, ma un asset.
È progettato per evocare ricordi, ma non per generarne di nuovi. Ogni scelta artistica è subordinata a una logica di consolidamento IP, con l’occhio puntato su futuri spin-off, merchandising e universi condivisi.
Dove l’originale trovava forza nella semplicità, questo film si perde nella molteplicità. Dove Miyagi insegnava pazienza e introspezione, Legends corre senza sosta per accontentare tutti, finendo per soddisfare pochi. Dove prima c’era empatia, ora c’è esposizione. Dove c’era costruzione, ora c’è collage.
In definitiva, Karate Kid: Legends è l’antitesi del suo predecessore: un film che parla di crescita e disciplina, ma che non ha né pazienza né direzione. Un prodotto che si regge sul fascino eroso del déjà vu, incapace di affermare una voce propria. Non un’eredità da tramandare, ma un esercizio contabile in costume da karate.
Di seguito trovate il trailer doppiato in italiano di Karate Kid – Legends, al cinema dal 5 giugno:
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