Voto: 2.5/10 Titolo originale: Karate Man , uscita: 26-05-2022. Regista: Claudio Fragasso.
Karate Man: recensione del film di arti marziali diretto da Claudio Fragasso (su Prime)
26/09/2022 recensione film Karate Man di Francesco Chello
Impianto tecnico, narrativo e recitativo piuttosto scarso e sgangherato per un prodotto in cui non si salva nulla, che spesso e volentieri supera il confine del ridicolo involontario. Ispirato alla vita di Claudio Del Falco, attore marziale che nell’occasione interpreta sé stesso
Da qualche giorno, in esclusiva su Prime Video è disponibile Karate Man, l’ultima fatica di Claudio Fragasso, ispirato alla vita di Claudio Del Falco, atleta prestato al cinema che in sostanza interpreta sé stesso.
Il film ha fatto una capatina fugacissima in poche sale lo scorso maggio, quando c’era stato anche l’annuncio di una distribuzione in streaming sulla piattaforma di Amazon. Ero curioso, anche se nel frattempo un trailer non proprio benaugurante ed un passaparola non particolarmente benevolo avevano settato le mie aspettative verso il basso. Dopo la visione posso dire che Karate Man è anche peggio, molto peggio, di quanto mi aspettassi. Un prodotto in cui cinematograficamente parlando non si salva quasi nulla.
Partiamo da quel quasi, che dopo ci serve tempo per parlare di tutto il resto. Di assolutamente apprezzabile c’è la voglia di fare un action marziale in Italia. Un genere che non ha tradizione nel nostro paese, a meno che non intendiate considerare come tale la parentesi de Il Ragazzo dal Kimono d’Oro. Di farlo, inoltre, ricorrendo al karate olimpico.
I titoli di testa si aprono con una dedica sentita a Claudio Guazzaroni, storico capo allenatore della nazionale scomparso lo scorso gennaio. Seguita dai loghi, in bella mostra, della World Karate Federation, della FIJLKAM (Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali) e di Italia Sport e Salute.
Così come può essere apprezzabile il proposito di utilizzare il mezzo filmico per veicolare una serie di messaggi edificanti. Dallo sport visto come cura, considerando che Claudio Del Falco (sia nella vita che nella finzione) soffre di diabete mellito, riuscendo con successo nella disciplina sportiva contro ogni pronostico medico. Lo sport come riscatto, motivazione, valvola di sfogo.
Palestra di vita, con i suoi insegnamenti sullo spirito di sacrificio, sulla mentalità vincente, sul reagire e rialzarsi di fronte alle difficoltà ed alle sconfitte. Non solo, si tenta persino di infilare discorsi sulla violenza sulle donne. E sull’amicizia vera ed i valori che la caratterizzano. Il problema è queste sono tutte intenzioni, per carità buone intenzioni, ma vengono sistematicamente demolite da un impianto tecnico e narrativo piuttosto scarso e sgangherato che porta il film spesso e volentieri a superare il confine del ridicolo involontario.
E lo dico con dispiacere. In primis perché, come ripetiamo spesso da queste parti, incoraggiare e sostenere il cinema di genere in Italia di questi tempi è un dovere morale. Ma anche perché in certi generi ci sguazzo a prescindere dalla nazionalità, molte volte con quella bocca buona tipica di chi si approccia a film brutti (o quanto meno imperfetti e/o maldestri) con la consapevolezza che lo siano, ma con la speranza di trovarci comunque qualcosina di buono che giustifichi una visione o qualche parola di incoraggiamento.
Il punto è che con Karate Man non c’è nulla di tutto questo. Non si possono chiudere entrambi gli occhi per puro patriottismo. Al massimo si può provare a strapparli via, ma questo è un altro discorso. E’ un film sbagliato, fatto male e con poco (di tutto, dai mezzi al talento). Sull’amatoriale andante, ma nel senso negativo del termine. Non è nemmeno quel brutto divertente, che magari fa il giro e diventa altro. No, il suo è un disastro coerentemente barboso per tutti i 79 minuti di durata.
E sotto tutti i punti di vista. A partire dalla sceneggiatura, scritta da Rossella Drudi coadiuvata dal marito Claudio Fragasso, prendendo spunto da alcune chiacchierate con Claudio Del Falco per una storia vagamente biografica ed opportunamente romanzata. Non è tanto l’esilità di una trama fin troppo semplice, quanto il cedere alla tentazione molto italiana di buttarla pesantemente sul melodramma.
Togliere screentime alle botte è un atto criminale, a maggior ragione se lo si fa per concederlo a un plot da soap opera con annessi dialoghi di livello sudamericano, incentrato su cose tipo lui/lei/l’altro (il violento che picchia le donne), lacrima facile, frasi da baci perugina e slogan motivazionali che manco i venditori della Stanhome. Senza considerare elementi risibili come l’inserimento senza logica (e cognizione di causa) dell’hacker (rigorosamente darkeggiante), momenti onirici e flashback psichedelici di chi ha assunto allucinogeni come fossero Zigulì – e mi sto ancora chiedendo cosa ci facesse quel brutto pipistrello in CGI sullo sfondo.
Sfondo che mi offre il gancio per parlare del versante tecnico imbarazzante di Karate Man, che non promette nulla di buon fin dai titoli di testa dal font orientaleggiante, e che presenta una fotografia digitale che urla filmino tra amici, un utilizzo miserabile del green screen, un pastrocchio di visual effects e compositing, un montaggio che non aiuta. La sensazione costante di un ‘buona la prima’ come stile di vita.
Persino l’accompagnamento musicale di Demo Morselli (“Siglaaa!!” – scusate, non ho resistito) stona per tempismo e poca aderenza col girato, rendendo se possibile il risultato complessivo maggiormente goffo. Claudio Fragasso ricorre al mestiere per impostare riprese e inquadrature che da un lato sono probabilmente meno peggio del resto, dall’altro risentono inevitabilmente del contesto generale.
Oltre al fatto che, in qualità di regista, non si può soprassedere sulla responsabilità del quadro d’insieme, per quanto frutto di demeriti condivisi. Le stesse scene fight lasciano l’amaro in bocca, se dello screentime limitato avevo già detto, si può aggiungere che i combattimenti di Karate Man non lasciano il segno come era lecito sperare: non tanto per repertorio ed execution che anzi appartengono alle capacità degli attori/atleti coinvolti, ma gli scontri (alcuni girati nella palestra di Del Falco che ha messo a disposizione la struttura per diverse scene) hanno puntualmente il sapore amichevole dell’exhibition match, non mostrano coreografie particolarmente elaborate, manca il furore ed il realismo necessario per rendere credibile una scena di botte al cinema.
L’incontro finale (con tanto di risibile sabotaggio informatico) non rispecchia i canoni di quello showdown atteso per quasi tutto il film. Mentre, in precedenza, il rivale in amore si era autoescluso dalla contesa con un agguato pistolesco da spernacchiare.
Il cinquantenne Claudio Del Falco ha il physique du role, nulla da dire, fisico allenato e tirato a lucido meglio di quello di un trentenne. Il viso però tradisce quella maturità che forse rende inverosimile la questione sportiva ufficiale, vale a dire la partecipazione (e le vittorie) a tornei internazionali in cui gareggiano avversari troppo più giovani di lui.
Il suo tipo di presenza potrebbe rendere meglio in un contesto esclusivamente da street fight (come in parte avviene con l’incontro clandestino), se non addirittura da action in senso più ampio, quindi con inserimento di armi ed altri tipi di stunt. Non funziona molto il look, tra tatuaggi coatti e soprattutto un taglio di capelli improponibile sul grande schermo.
Ora, non che io voglia fare l’esteta o che sia mia intenzione entrare nel privato di chicchessia, che è giusto che curi il proprio aspetto come meglio crede, ma nel momento in cui passi davanti alla mdp è evidente che nel giudizio globale può rientrare anche l’estetica e il suo peso nell’economia di un determinato personaggio. E se ti pettini in quel modo non sarai mai credibile, anche se sei bravo a spaccare i culi.
E’ evidente che si tratta di un atleta/attore che vive molto del proprio ego, che per la tipologia d’appartenenza ci potrebbe pure stare se quell’ego però diventasse carisma che francamente sullo schermo non viene particolarmente percepito. Ora non so se può essere considerata una prova a carico, ma in rete mi sono imbattuto in più di un’intervista che avrebbe dovuto farmi empatizzare con un tipo di attore che in Italia mancava (e manca ancora), ma che invece ha finito soltanto per stranirmi con sprazzi di megalomania ingiustificata – incluso parlare di sé stesso come del ‘campione’, cosa che poi fa anche il suo personaggio in Karate Man.
In cui si fanno riferimenti anche ad Iron Man con annesso breve footage del supereroe che immagino non sia stato autorizzato da chi ne detiene i diritti. Dal punto di vista recitativo, qualche esperienza precedente sul suo curriculum artistico e l’essere figlio d’arte (la madre era l’attrice Olimpia Cavalli) gli consentono di non essere impacciato, anche se comunque un po’ rigido. Quello che di solito può aiutare in questi casi è circondare il protagonista di attori decenti, cosa che apre uno squarcio su uno degli aspetti peggiori di questa produzione: il cast.
L’unico che recita con un minimo di credibilità (in romanesco, apparendo spontaneo) è Stefano Calvagna, che torna a lavorare con Claudio Del Falco che aveva diretto in Rabbia in Pugno del 2013, e che coinvolge suo figlio Niccolò nella parte del giovane Claudio che si vede nei flashback.
Il resto è una roba impresentabile, a partire dall’esotica Anne Garcia, che si barcamena tra inespressività e pianti finti (e si concede un bacio con mezzo metro di lingua), passando per i buffissimi cravattari che annoverano la presenza nostalgica di Tony Scarf, ottantenne ex stuntman che al tempo veniva soprannominato (per somiglianza fisica) Charles Bronson.
In questo ambito traballante trova il suo posto ideale Stefano Maniscalco, vero campione plurimo di karate sulla cui carriera sportiva ci si toglie tanto di cappello così come sulle sue skills marziali, peccato non si possa dire lo stesso della sua veste di attore a cui viene affidato anche il significativo ruolo di amico/mentore/allenatore. Ingessato e non particolarmente spontaneo, prende parte suo malgrado ad almeno due delle scene più brutte di tutto Karate Man, entrambe in coppia con Claudio Del Falco.
Quella del pacchianissimo allenamento, in cui i due fanno cose a petto nudo (e tatuaggi truzzi) in quella che sembra una versione omoerotica dei tronisti di Maria De Filippi, senza contare piccoli particolari tipo Claudio Del Falco che dovrebbe parare i colpi da bendato e mette la mano palesemente prima che il colpo venga sferrato; l’altra sequenza è più riflessiva, in una sala cinema completamente vuota che per qualche ragione inspiegabile proietta le immagini della vita del protagonista, i due hanno uno scambio di battute ‘profonde’ (perle el tipo “Noi siamo i guerrieri del karate”) che mi ha fatto provare imbarazzo per il cameraman che avrà dovuto sforzarsi per mantenere un contegno.
Ora, ricordate quando in apertura ho accennato a Il Ragazzo dal Kimono d’Oro? Bene, apro una piccola parentesi divagatoria che poi mi serve per rendere l’idea. Negli anni anni ’80 ero un ragazzino in fotta, tra le varie cose, con i cosiddetti ‘film di mazzate’. Questo vuol dire che dopo i titoli di prima fascia, seconda, terza e via discorrendo, da spettatore famelico non negavo una visione nemmeno al film di De Angelis (e persino ai suoi sequel).
Sarà stato per quel kimono così figo o per il famigerato colpo del drago, ma tutto faceva brodo. Certi titoli, però, andrebbero lasciati al ricordo (alterato) dell’infanzia, rivederlo da adulto mi ha spiazzato in negativo, per la pochezza marziale e per l’esigua quantità di botte, per la sciatteria generale, e per l’ottusa ostentazione con cui dimostrava di non aver capito una mazza dell’aspetto contenutistico di quel The Karate Kid di cui si poneva come rip-off.
Tutto ‘sto giro per dire cosa? Che Il Ragazzo dal Kimono d’Oro è robetta, ma in confronto a Karate Man sembra L’Urlo di Chen terrorizza anche l’Occidente. Un altro modo, quindi, per ribadire che quello di Claudio Fragasso è un prodotto scarso e carente da qualsiasi angolazione lo si voglia vedere o qualsiasi reparto tecnico lo si intenda giudicare. Roba di questo tipo fa più male che bene ai tentativi di ripresa del nostro cinema di genere, in particolare a quei generi che non hanno quasi mai lasciato tracce significative nella storia filmica italiana.
Di seguito trovate il trailer di Karate Man:
© Riproduzione riservata