Judah Lewis deve vedersela coi redivivi Robbie Amell e Bella Thorne in un secondo capitolo per nulla ispirato, ma pieno di sangue
Proprio quando avevate cominciato a pensare che fosse abbastanza sicuro dare un’occhiata al vostro Netflix, il menù principale decide di sorprendervi nella sua sconfinata proposta di nuovi titoli a getto costante con la presenza in primo piano di un sequel – assolutamente inaspettato – del clamoroso successo La Babysitter (la recensione). Se alcuni critici erano addirittura arrivati a trovare la horror comedy del 2017 affascinante, apprezzandone in particolare la presenza della star nascente Samara Weaving, ripetersi nel giudizio ora con La Babysitter: Killer Queen significherebbe solamente malafede da parte loro.
Due anni dopo il primo film, il povero Cole (Judah Lewis) è un liceale ancora segnato dalla notte in cui la sua babysitter Bee (Weaving) e alcuni accoliti hanno cercato di sacrificarlo al Diavolo. L’unica persona che apparentemente gli crede è la fedele amica Melanie (Emily Alyn Lind), mentre i suoi genitori progettano di spedirlo in una scuola ‘speciale’.
Un giorno, Melanie convince Cole a unirsi a lei, al suo fidanzato Jimmy (Maximilian Acevedo) e ad altri due amici per una festa sul lago, ma quando arrivano su luogo Cole scopre che la setta satanica è tornata. Con un nuovo leader al timone, i membri John (Andrew Bachelor), Max (Robbie Amell), Allison (Bella Thorne) e Sonya (Hana Mae Lee) sono ancora ansiosi di spargere il sangue innocente (cioè verginale …) di Cole, e questa volta l’unico alleato che troverà è Phoebe (Jenny Ortega), una nuova studentessa ribelle che si presenta al lago per motivi suoi.
Se The Babysitter era stato un omaggio (pochissimo divertente) alle commedie adolescenziali degli anni ’80, La Babysitter: Killer Queen raddoppia il tasso di scarsa verve comica e di tutto ciò che c’era di improbabile già la prima volta, compresa la scelta di un cast per nulla ispirato (a parte un po’ Amell e la Thorne). Anche l’uso a fini nostalgici di Killer Queen sembra infilato nel titolo puramente per giustificare il ricorso alla storica canzone dei Queen alla fine del film, e nessun altro motivo distinguibile.
McG lancia sullo schermo tutto quello che può, ricorrendo a pop-up, esclamazioni in stile fumetto, flashback inutili e sequenze al rallentatore per ‘segnalare’ allo spettatore i momenti in cui ridere. Essendo però lui storicamente un regista ‘superficiale’, si dimentica anche stavolta di tutte queste trovate nel momento stesso in cui le dispiega. Tra l’altro, un apparente tentativo di satira sulle scuole superiori viene abbandonato non appena vengono introdotte misoginia di basso livello e sangue a secchiate.
Quando arriviamo a un’altra rivelazione a sorpresa negli ultimi minuti (che coinvolge un attore che chiaramente non ha alcun interesse a essere lì più del necessario), siamo ormai diventati del tutto insensibili alla natura schizzata, alle finte volgarità, al ritmo compassato e alla trama minimale di La Babysitter: Killer Queen.
Alla fine, la domanda che resta da farsi, però è come faccia Joseph McGinty Nichol a continuare a lavorare come regista. Da Charlie’s Angels (2000) a Terminator Salvation (2009), fino a Una spia non basta (2012) e al tremendo Rim of the World dello scorso anno (la recensione), la carriera del regista è stata lastricata di una trafila di titoli mediocri. Evidentemente, La Babysitter è riuscito tra anni fa a convincere Netflix della bontà del prodotto (dopo averne acquistati i diritti per la distribuzione dalla New Line), spingendo il saggio ‘algoritmo dell’abbonato’ a stabilirne la necessità di un seguito (e un terzo capitolo sembra alquanto probabile …).
Di seguito trovate il full trailer in versione italiana di La Babysitter: Killer Queen, nel catalogo di Netflix dal 10 settembre: