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Voto: 5.5/10 Titolo originale: Lights Out , uscita: 21-07-2016. Budget: $4,900,000. Regista: David F. Sandberg.

Recensione story: Lights Out – Terrore nel Buio di David F. Sandberg (2016)

28/11/2025 recensione film di Gioia Majuna

Un prodotto semplice ma incisivo, che trasforma la paura primordiale dell’oscurità in un brivido autentico e visivamente potente

Lights Out – Terrore nel buio è il classico esempio di un’idea folgorante che diventa un film intero senza perdere del tutto la sua efficacia, ma senza riuscire davvero a espandersi. Il regista svedese David F. Sandberg aveva conquistato il web con un cortometraggio di tre minuti, un piccolo gioiello di pura tensione in cui una figura spettrale compariva e scompariva al buio, sfruttando un concetto semplice e universale: la paura dell’oscurità.

Quel video virale gli valse l’attenzione di James Wan, che lo promosse a lungometraggio. Il risultato è un horror costruito su un meccanismo tanto efficace quanto fragile, che funziona finché resta vicino all’idea di partenza ma mostra i suoi limiti quando prova a dare spessore psicologico ai personaggi.

La storia riprende il corto originale: in una fabbrica deserta, un’impiegata nota una sagoma inquietante che appare solo quando le luci si spengono. È Diana, un’entità che vive nell’ombra e sparisce alla luce. Da qui il film si sposta su una famiglia segnata da lutti e malattie mentali. Martin, un bambino inquieto, non riesce a dormire: il padre è morto, la madre Sophie (Maria Bello) parla con un’amica immaginaria, e la casa è attraversata da rumori e graffi inspiegabili. Quando la scuola segnala il caso, interviene Rebecca (Teresa Palmer), la sorella maggiore, che anni prima era scappata da casa proprio per la fragilità della madre. Quando Martin racconta di Diana, Rebecca capisce che la minaccia non è nuova: anche lei, da bambina, l’aveva vista.

Scoprire la verità significa affrontare un trauma mai superato. Sophie aveva conosciuto Diana in un ospedale psichiatrico, dove un trattamento sperimentale aveva “fuso” le due menti. Diana è ciò che resta di quell’amicizia malata: uno spettro che si nutre della debolezza della donna. L’idea di legare il soprannaturale alla malattia mentale e al concetto di dipendenza emotiva è interessante, ma il film non la sviluppa fino in fondo, preferendo la via dei “jump scare” ripetuti.

lights-out-diana-terrore-buioSandberg, però, dimostra un grande istinto visivo. La regia sfrutta con intelligenza il contrasto luce/buio: lampadine che tremano, insegne al neon, torce, fari d’auto, schermi di telefono. Ogni fonte luminosa diventa un’arma, ogni ombra un pericolo. Il gioco è semplice ma efficace: Diana non può esistere nella luce, quindi ogni volta che la corrente si interrompe, accendere un interruttore diventa un atto di sopravvivenza. Questa costruzione ritmica tiene lo spettatore in tensione, almeno finché l’effetto non diventa prevedibile.

Il corto funzionava perché durava poco: bastava un’apparizione per terrorizzare. In un film di 80 minuti, il meccanismo si logora. L’orrore, invece di intensificarsi, si fa ripetitivo, e la costruzione del mistero perde forza man mano che Diana viene mostrata più chiaramente.

Nonostante ciò, Lights Out possiede un cuore emotivo raro per un horror mainstream. Al centro c’è una famiglia lacerata, dove la paura del buio riflette paure più profonde: l’abbandono, la follia, la perdita di controllo. Rebecca incarna il rifiuto di tornare a soffrire; Sophie è una madre intrappolata nella propria malattia; Martin rappresenta l’innocenza travolta dal caos. Diana diventa la personificazione di questi traumi: un’entità nata dal dolore e alimentata dalla disperazione.

Sul piano tecnico, Lights Out è curato e carico d’atmosfera. Girato quasi interamente con luce reale e pochi effetti digitali, mantiene una tensione costante. La fotografia di Marc Spicer lavora per sottrazione, il suono amplifica ogni fruscio nel buio e la creatura, interpretata da Alicia Vela-Bailey, ha un movimento fisico inquietante. Le interpretazioni sono solide: Teresa Palmer è una protagonista credibile e intensa, Maria Bello trasmette un dolore autentico, e il giovane Gabriel Bateman incarna perfettamente la paura infantile dell’oscurità.

Rispetto ai film prodotti da James Wan, Lights Out è più modesto e diretto, ma resta un horror onesto e visivamente ispirato. Il limite più evidente è la ripetitività, che riduce l’impatto dei momenti di terrore e rende il finale prevedibile. Tuttavia, Sandberg mostra talento e un notevole controllo della tensione. Non reinventa il genere, ma sa dove puntare la torcia: proprio lì, nel punto in cui la luce si spegne e il buio comincia a respirare.

Di seguito il trailer italiano ufficiale: