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Voto: 9/10 Titolo originale: Jaws , uscita: 20-06-1975. Budget: $7,000,000. Regista: Steven Spielberg.

Dossier: Jaws – Lo Squalo, 50 anni in mare aperto per un capolavoro che ha cambiato il cinema

15/07/2025 recensione film di Francesco Chello

Dietro la pinna di Bruce. Dallo squalo meccanico alla nascita del blockbuster, dal set infernale al mito assoluto, da incubo produttivo a fenomeno culturale. Anatomia del film con cui Steven Spielberg ha riscritto le regole di Hollywood e portato la paura – e lo storytelling – al livello successivo

Roy Scheider e Robert Shaw in Lo squalo (1975)

La prendo larga. Sapete, prima di affrontare argomenti succulenti come quello di oggi, mi piace rompere il ghiaccio divagando un pochino. Tipo con aneddoti personali assolutamente non richiesti e probabilmente neanche tanto interessanti. Tra i miei sottogeneri preferiti c’è quello del beast movie. Che, a proposito, è la definizione che prediligo per un filone chiamato anche animal movie, eco horror, eco vengeance, nature strikes back, creature feature, natural horror, predatory horror, monster movie. Sì, insomma, quello degli animali assassini.

Film che ho sempre visto e, nella stragrande maggioranza dei casi, collezionato in home video. Ecco, da svariati mesi a questa parte [messaggio vagamente autopromozionale] mi ero messo in testa di coprire, attraverso piccole review sul mio profilo Letterboxd, quanti più titoli possibili sul tema (sicuramente tutti quelli presenti nella mia collezione, più qualche esclusiva da piattaforma ed una manciata di irreperibili in home video). Tantissimi rewatch, qualche prima visione, una lunga serie di film.

Viene da sé, che al picco di quel mood non potevo non concedermi un nuovo rewatch (l’ennesimo) del re indiscusso della categoria. Jaws, naturalmente. Che incidentalmente è un capolavoro a prescindere dal genere. E che quest’anno compie la bellezza di 50 anni portati alla grande. Circostanze ideali per decidere di scriverci anche un approfondimento da condividere con voi, un dossier che vuole avere uno scopo fondamentalmente celebrativo.

Anche perché su Lo Squalo, sulla sua bellezza, la sua importanza, le conseguenze sul cinema tutto, sull’industria, sul genere, sul marketing, sulla concezione del blockbuster e sulla sua collocazione estiva, in mezzo secolo sono stati scritti così tanti libri e trattati da rendere difficile pensare di poter dire qualcosa di realmente nuovo sull’argomento. Dicevo a prescindere dal genere perché, nonostante il cappello introduttivo, quello di Steven Spielberg evidentemente non è soltanto (o un semplice) beast movie. E’ un thriller, un horror, un film d’avventura. Un dramma umano. Con un paio di spruzzate persino di commedia nera.

Lo Squalo-SpielbergE’ grande cinema, sostanzialmente. Spielberg riesce a tenere insieme tutte queste anime con una maestria impressionante per un regista così giovane. La tensione si alterna al respiro, il terrore al sorriso. C’è sangue, la violenza di dettagli più crudi – e di un bodycount che conta otto vittime (cinque persone, un cane, due squali), ma anche poesia. C’è paura, ma anche stupore, meraviglia. Quel sense of wonder che diventa marchio di fabbrica di un filmmaker incredibile.

Il soggetto di Jaws è tratto dall’omonimo romanzo di Peter Benchley, che qualcuno diceva fosse ispirato agli attacchi del Jersey Shore del 1916 (in parte simili a quelli mostrati nel film) ma che, in realtà, per smentita e ammissione dello stesso autore prende spunto dagli exploit del pescatore e cacciatore di squali Frank Mundus – in particolare da una foto della cattura di un enorme squalo bianco. Uno dei più celebri best seller americani, all’uscita (nel 1974) capace di restare 44 settimane nella classifica dei libri più venduti, e vendere da allora oltre 20 milioni di copie.

Helen Gurley Brown, direttrice di Cosmopolitan e moglie del produttore David Brown, ebbe modo di imbattersi in una copia galley del romanzo nel 1973 decidendo di portare il manoscritto all’attenzione del marito e del socio Richard D. Zanuck. Bisogna dare merito anche alla lungimiranza dei due produttori della Universal che decisero di acquistarne i diritti prima ancora della sua pubblicazione, per la cifra (tutto sommato modica, quanto meno col senno di poi) di 175mila dollari.

Inizialmente, si pensò addirittura a Lo Squalo come a una serie televisiva, con ‘ospiti speciali’ che sarebbero stati divorati ogni settimana; fortunatamente, quell’approccio fu abbandonato in favore del grande schermo. Dopo aver sondato nomi come quello del veterano John Sturges e di Michael Winner, alla regia viene inizialmente scelto Dick Richards che viene successivamente allontanato per l’abitudine di descrivere (c’è chi dice confondere) lo squalo come una balena.

A quel punto la scelta cade su Steven Spielberg che inizia la pre-produzione ad appena 28 anni ma con alle spalle già un buon background che includeva la direzione di episodi di svariate serie tv (tra cui Columbo) e lungometraggi come Duel, Something Evil o The Sugarland Express.

E, soprattutto, la stoffa di un veterano ed il talento di un genio. Per quanto, in quel momento storico, il suo status fosse ancora quello di una promessa di speranze bellissime, e magari nessuno si aspettava che avrebbe rivoluzionato l’industria cinematografica con quello che inizialmente sembrava un b-movie estivo ispirato a un romanzo di successo. Jaws era, sulla carta, un film di genere da realizzare in tempi stretti e con un budget contenuto. L’Universal, fiutando l’affare, si affidò a Spielberg per la regia senza prevedere che quell’avventura avrebbe rischiato più volte di affondare prima di arrivare in porto.

Dal canto suo, Steven ottimizza il materiale a disposizione, sforna idee a ripetizione, sopperisce ai problemi in corso d’opera (una serie di disavventure produttive di cui parleremo a breve), sfora leggermente un budget che diventerà un non-problema nel momento in cui il film innesca una serie incredibili di soddisfazioni. Stabilisce, senza saperlo, una serie di regole e stilemi che saranno riprese da cani e porci negli anni a venire. La regia non è mai compiaciuta, ma è sempre funzionale alla storia. I movimenti di macchina, il montaggio, l’alternanza tra campo e controcampo: tutto è calibrato per ottenere il massimo coinvolgimento emotivo. Ogni dettaglio contribuisce a costruire un’esperienza cinematografica travolgente.

squalo steven-spielbergNel pacchetto dei diritti c’era anche una prima stesura della sceneggiatura dello stesso Benchley (che quindi viene accreditato anche come sceneggiatore) che però viene rifiutata da Spielberg (come altre due versioni successive) il quale invitò John Byrum a riscrivere la sceneggiatura che però rifiutò così come fecero William Link e Richard Levinson (i creatori di Columbo) che declinarono la proposta. Il romanzo passa sotto il filtro del regista e di altri sceneggiatori (Carl Gottlieb in primis) che decidono di depurarlo dalle sottotrame più ridondanti e dai toni torbidi.

Si stima che la sceneggiatura finale contenga un totale di 27 scene non presenti nel libro. Tra le varie critiche mosse da Steven anche il fatto che durante la lettura del romanzo, si era ritrovato a tifare per lo squalo perché i personaggi umani gli sembravano antipatici, arrivando a consigliare a Richard Dreyfuss di non leggerlo prima delle riprese per non farsi condizionare. Benchley avrebbe voluto per i ruoli principali Robert Redford, Paul Newman e Steve McQueen, sostenne che il film intendeva calcare la mano sull’idea di spaventare il pubblico seguendo la scia di The Exorcist (L’Esorcista, 1973), arrivò ad essere allontanato dal set dopo aver contestato un finale da lui considerato irrealistico, salvo poi ricredersi in seguito anche sulla rimozione delle sottotrame in favore dello sviluppo dei personaggi.

Addio alle relazioni extraconiugali e ai traffici economici: il cuore della storia sarebbe stato il confronto tra l’uomo e la natura, tra l’istinto di sopravvivenza e il senso del dovere, tra la paura collettiva e il coraggio individuale. Quello che ne deriva è un racconto simbolico e senza tempo, che poggia su una costruzione narrativa esemplare in cui chiaramente il regista nato a Cincinnati assume un ruolo chiave. Spielberg è abilissimo nello storytelling, nella costruzione del meccanismo tensivo. Il crescendo di tensione, l’economia del racconto, il dosaggio dei momenti di quiete e di panico, tutto concorre a creare una struttura quasi musicale, in cui ogni nota è calibrata per ottenere un effetto preciso sullo spettatore. Non a caso, proprio la colonna sonora merita un capitolo a parte.

Dicevamo di Carl Gottlieb, che da attore di supporto si ritrova a riscrivere il copione giorno per giorno direttamente sul set. La sceneggiatura passò per molte mani, come quelle di Howard Sackler, autore teatrale con esperienza da sub, che contribuisce senza essere accreditato. Il regista stesso riconobbe in seguito che gran parte del film fu improvvisato o scritto al momento, tanto che Dreyfuss dirà che hanno iniziato a girare senza sceneggiatura, senza cast e… senza squalo. Anche John Milius, amico di Spielberg, mette lo zampino (anche lui non ufficialmente) sullo script e sul celebre monologo sulla USS Indianapolis di cui ha sempre rivendicato la paternità, smentito da Gottlieb che sostiene che il merito sia tutto di Robert Shaw; una battuta di Milius presente nel copione pare sia quella in cui Quint dice ad Amity: “I’ll find him for three, but i’ll catch him e kill him for ten.”

Lo squalo si vede pochissimo. Per motivi tecnici, certo, ma anche per scelta artistica. Tutti si ricordano di Bruce, ma pochi sanno che il suo screentime complessivo è di appena quattro – 4! – minuti, la sua prima apparizione avviene dopo 1 ora, 21 minuti e 10 secondi. Uno screentime inversamente proporzionale al peso della sua presenza, si vede poco ma si percepisce praticamente sempre. Il vero colpo di genio del maestro in cabina di regia fu rendere l’invisibile molto più terrificante del visibile. La minaccia è sempre lì, percepibile sotto la superficie dell’acqua, suggerita da stratagemmi visivi e/o narrativi, da movimenti impercettibili, da inquadrature soggettive, da silenzi improvvisi.

A completare il quadro arriva la musica di John Williams, destinata a diventare una delle più celebri della storia del cinema. Due semplici note alternate, alla stregua del battito di un cuore che accelera. E Tommy Johnson, il suonatore di tuba, che annunciava l’arrivo dello squalo con un suono minaccioso. Il pubblico è catturato, dominato, sottomesso a una tensione che esplode solo nei momenti decisivi. Al secondo film con Spielberg, Williams propose un tema composto da soli due toni ripetuti, gravi e martellanti, che crescono d’intensità. Quando il regista lo sentì per la prima volta, scoppiò a ridere. Pensava fosse uno scherzo. Ma il compositore lo convinse a provare. E il risultato fu devastante.

Richard Dreyfuss and Robert Shaw in Jaws (1975) lo squaloIl tema dello squalo, oggi tra i più riconoscibili della storia del cinema, rende tangibile l’invisibile. Funziona come un’allerta primordiale: appena parte la musica, anche se non si vede nulla, lo spettatore sa che sta per accadere qualcosa di terribile. Non per niente, nella scena dello scherzo, la presunta presenza dello squalo non è accompagnata dal theme, in modo che uno spettatore attento possa valutare da solo la concretezza della minaccia. È un linguaggio musicale che agisce a livello istintivo. Spielberg dichiarò: “Metà del terrore viene da quella musica.” Aveva ragione.

Senza lo squalo in scena, fu la colonna sonora a riempirne il vuoto, a suggerire l’arrivo del predatore, a costruire tensione prima ancora che si vedesse un’onda. Williams non si fermò lì, compose anche temi lirici ed epici, come quello dell’Orca in navigazione, o le variazioni malinconiche che accompagnano le scene emotivamente più umane. Il contrasto tra l’essenzialità del theme dello squalo e la ricchezza del resto della colonna sonora amplifica il suo effetto.

Da quel momento in poi, ogni volta che si parla di squali, di mare, di pericolo sommerso, risuona quel tema. Pochi titoli hanno saputo legare così indissolubilmente immagine e suono. Manco a dirlo, Williams vince l’Oscar (uno dei tre vinti da Jaws), con uno score iconico quanto un film capace di entrare nell’immaginario collettivo a partire dalla sola locandina. La scena d’apertura è solo uno degli esempi in questo senso, per non parlare della prima vera apparizione di Bruce (che fa un figurone ogni volta che entra in scena) o di un finale al cardiopalma.

Ma dietro un film entrato nella leggenda c’è un percorso travagliato, girare Lo Squalo non fu soltanto complicato, fu un’odissea logistica, climatica e produttiva che Spielberg stesso ha definito più volte come la peggior esperienza della sua carriera. A causa dei continui ritardi, il dirigente Universal Sid Sheinberg voleva cancellare il film, il regista trascorse molte notti insonni preoccupato (e convinto) che prima o dopo sarebbe stato rimosso dal progetto; teneva un gambo di sedano sotto il cuscino per alleviare lo stress. Dopo le riprese, ebbe un attacco di panico a Boston dovuto al sovraccarico, fece incubi per settimane in cui era ancora sul mare, accentuati dal dormire su un letto ad acqua.

Con uno script in evoluzione, attori da scegliere a meno di dieci giorni dalle riprese (Quint e Brody non avevano ancora un volto) ed un mostro meccanico che ancora non esisteva, Jaws prese il largo tra mille incognite. Il produttore Richard D. Zanuck scherzava sul fatto che se avessero letto il libro una seconda volta probabilmente non lo avrebbero mai realizzato. La Universal si era lanciata in un progetto senza precedenti. Illudendosi di aver stabilito un budget iniziale di circa 4 milioni di dollari ed un’uscita inizialmente prevista a Natale 1974. Ma le riprese si rivelarono un incubo portando la produzione a slittare fino all’estate 1975. Il budget esplose, portando il film a guadagnarsi il soprannome beffardo di ‘Flaws’ (difetti).

Se dobbiamo parlare di difficoltà produttive non possiamo non partire dal modello meccanico dello squalo, il già citato Bruce (dal nome dell’avvocato Bruce Ramer, nomignolo scelto da Spielberg che ogni tanto apostrofava l’esemplare animatronico anche come il grande pezzo di merda bianco), che si rivela uno dei problemi più grossi da affrontare.

Dopo aver provvidenzialmente accantonato l’idea iniziale dei produttori che volevano addestrare un vero grande squalo bianco per poi capire che era praticamente impossibile, venne ingaggiato Bob Mattey, veterano degli effetti speciali Disney, per progettare un animatronic che viene costruito in tre versioni diverse e specifiche – una per il lato sinistro, una per il lato destro e una completa, ciascuna lunga circa 7,5 metri; il modello completo pesava più di una tonnellata e costava oltre 250.000 dollari (cifra esorbitante per l’epoca).

lo squalo spielberg 1975Il prop meccanico dello squalo animatronico aveva un set di denti morbidi per le scene di interazione con attori e stuntman, specialmente per la scena finale della morte di Quint. Il sistema di controllo meccanico – idraulico, cablato, complesso – era stato testato in acqua dolce ma mai in mare. Non appena immerso nelle acque salate di Martha’s Vineyard, Bruce cominciò a rompersi, arrugginirsi, affondare.

I tecnici si accorsero presto che l’acqua di mare corrodeva i componenti, inceppava i pistoni, provocava continui guasti elettrici. Addirittura, il primo giorno di riprese lo squalo finì per colare a picco. I sommozzatori lo recuperarono a fatica, ma i problemi continuarono per tutto il film. “Lo squalo non funzionava mai quando doveva”, ricordò Spielberg, “e funzionava solo quando nessuno stava girando”. Il regista si ritrovò costretto a cambiare radicalmente l’approccio narrativo una volta appurato che il gigantesco squalo meccanico non avrebbe mai funzionato come previsto.

Quella che sembrava una scelta obbligata si trasformò in un colpo di genio. Il vero protagonista invisibile non è l’animale, ma la sua assenza. Una frustrazione tecnica che si trasforma in una scelta stilistica che oggi viene insegnata nelle scuole di regia: non mostrare il mostro fino a quando non è strettamente necessario. Spielberg decise di costruire la tensione suggerendo la presenza dello squalo attraverso soggettive subacquee, il montaggio, gli sguardi degli attori e le sopracitate note minacciose di John Williams. Prendendo spunto da un maestro come Hitchcock che insegna quanto la paura risieda in ciò che non vedi. E quando finalmente lo squalo appare, lo fa in modi calibrati, intelligenti, quasi mai gratuiti.

La prima vera apparizione di Bruce (quando Brody getta le esche. Il volto dello squalo si era già visto prima, durante la scena nella laguna) viene enfatizzata dalla celebre battuta “You’re gonna need a bigger boat”, one-liner scolpita nella storia del cinema (ed al 35° posto della classifica delle 100 migliori citazioni cinematografiche secondo l’American Film Institute) – improvvisata dallo stesso Scheider, come riferito successivamente da Carl Gottlieb, diventando uno dei tormentoni più citati della cultura pop.

Il lavoro dei tecnici dietro Bruce fu tanto instancabile quanto invisibile: spesso immersi per ore, rischiavano ogni giorno. Il risultato fu una creatura meccanica che non funzionò quasi mai, ma che nel montaggio finale divenne un’icona. Il climax del film, con l’esplosione dello squalo, fu un’altra sfida. Bruce fu riempito con bombole d’aria compressa ed esplosivo: Spielberg non voleva girare la scena più di una volta, il primo ciak fu quello buono ma per sicurezza usarono più cineprese da diverse angolazioni.

L’effetto finale, anche se poco realistico scientificamente, è visivamente e poderosamente liberatorio – uno squalo non esploderebbe così, ma Spielberg giustificò l’eccesso con il tono mitico di un finale a cui viene aggiunto lo stesso ruggito del camion che precipita alla fine di Duel. Uno showdown reso ancora più teso dal particolare di Brody che si ritrova a sparare il colpo decisivo con una sola pallottola rimasta a sua disposizione. Oggi Bruce è conservato come reliquia, uno dei modelli è stato restaurato e si trova nei magazzini degli Universal Studios. Il suo malfunzionamento fu una benedizione, costrinse un giovane regista alla sua prima prova seria a reinventare il linguaggio della suspense e a dimostrare che spesso l’arte nasce dal limite.

dietro le quinte Lo Squalo 2 (7)Gli effetti visivi non si limitarono al solo squalo. Per alcune scene subacquee, come quelle con la gabbia, furono usati esemplari veri ripresi in Australia da Ron e Valerie Taylor. Per rendere credibile la scala, un subacqueo nanizzato e vestito dello stesso outfit di Hooper fu messo in gabbia per simulare un confronto tra l’animale e l’uomo. Durante una ripresa, uno squalo reale distrusse completamente la gabbia, le immagini furono montate comunque, eliminando Hooper dalla scena in extremis. Parte della scena dell’attacco alla gabbia fu girata in una vasca agli MGM Studios, chiamata “vasca Esther Williams” per via dei balletti subacquei effettuati in carriera. Dick Warlock fu la controfigura di Hooper in questa scena (con tanto di permanente per simulare la capigliatura di Dreyfuss), furono necessari circa cinque giorni per girarla.

Spielberg temeva soprattutto che nelle riprese si vedesse la terra, perché voleva isolare il pubblico alla stregua dei personaggi, senza far pensare che potessero tornare (e scappare) facilmente a riva. L’intera seconda metà del film si svolge in mare con solo Scheider, Shaw e Dreyfuss, senza altri personaggi e la terra è visibile solo alla fine. Girò circa il 25% del film a livello dell’acqua per dare la prospettiva di chi è in mare aperto. La maggior parte delle riprese fu fatta a mano per contrastare il movimento del mare, tra cui filmare una barca che ondeggia da un’altra barca che ondeggia. La Steadicam non esisteva ancora, il cameraman Michael Chapman compensò facendo riprese con la camera sulle spalle, imparando a muoversi per annullare le instabilità.

Lo stato in cui si trova Amity non è mai specificato nel film, se non che è da qualche parte sulle coste di New York o del New England. Nel romanzo si dice che Amity si trovi sulla costa sud di Long Island, vicino agli Hamptons. Spielberg voleva girare proprio a Long Island, tra Montauk e Sag Harbor, spacciando la prima per Amity per il suo aspetto caratteristico ed il famoso faro. Il problema era che le acque lì erano troppo profonde per ancorare la piattaforma dello squalo. Secondo il designer della produzione Joe Alves, la piattaforma per muovere lo squalo richiedeva una variazione minima di marea, circa 25 piedi, ed il lato sottovento di un’isola per protezione.

La scelta cadde su Martha’s Vineyard, un’isola composta da sei diversi comuni (a differenza di Amity Island che nel film è una singola città) a sud di Cape Cod, Massachusetts, che aveva tutti gli elementi giusti. In particolare, Edgartown si era fatta notare per la sua bellezza e per i bassi fondali della zona circostante, anche a dodici miglia dalla costa il fondo era sabbioso e tra i 20 e i 30 piedi di profondità. Fu la prima volta che Martha’s Vineyard fu usata come location per un lungometraggio, il consiglio comunale impose regole ferree: per esempio, la baracca di Quint fu costruita su un lotto abbandonato, doveva essere rimossa e l’area ripristinata con precisione chirurgica, inclusi i rifiuti.

Anche la baracca con porta rossa che si intravede nella scena in cui viene caricata l’Orca apparteneva a un vero residente, che passò dall’essere infastidito dalla troupe (e dalla vernice spray) a diventare loro fornitore di materiali nautici. Un’altra delle condizioni concordate era di finire le riprese a Edgartown prima dell’arrivo dei turisti estivi. Il programma funzionò perfettamente, visto che la troupe si trovava in mare per la caccia allo squalo che caratterizza il secondo tempo del film. La scena in cui si vedono turisti, traghetti e auto che invadono l’isola è reale ed è in un certo senso era il segnale per la produzione di lasciare il posto.

Richard Dreyfuss and Roy Scheider in Jaws (1975) lo squaloMa l’idillio iniziale si spense in fretta. La pre-produzione fu ridotta per approfittare del bel tempo a Martha’s Vineyard, ma poi il tempo peggiorò e le riprese iniziarono senza sceneggiatura definitiva, costringendo Spielberg e Gottlieb a scrivere dopo il lavoro. I 52 giorni previsti per le riprese divennero 159. La troupe, sfiancata dal sole, dalla salsedine e dal mal di mare, iniziò a perdere la pazienza. L’Orca affondò realmente più volte, sia quella vera che quella costruita per affondare. Durante uno di questi incidenti, il sound engineer John R. Carter, con l’acqua alle ginocchia sollevò il registratore urlando: “fanculo gli attori, salvate il reparto audio!”. A Martha’s Vineyard, inizialmente accogliente, cominciarono ad affiorare malumori, alcuni pescatori si rivelarono preziosi, altri ostili. A Edgartown la troupe fu ben accolta, mentre Menemsha si dimostrò più fredda. Alla fine, tra intemperie, guasti, ritardi e litigi, Jaws fu una sfida di sopravvivenza tanto per i personaggi quanto per chi lo stava realizzando.

Le difficoltà logistiche coinvolsero tutti. Gli attori soffrivano di mal di mare, molti membri della troupe rischiarono la vita in mare, compreso lo stesso Carl Gottlieb. Il direttore della fotografia Bill Butler fu costretto a inventare attrezzature nuove per stabilizzare la macchina da presa tra le onde. Nei giorni peggiori, non si girava nulla. Quando Roy Scheider, claustrofobico, fu intrappolato nell’Orca che affondava, servirono 75 riprese per la scena; l’attore non si fidava degli effetti speciali e nascose asce, accette e coltelli nella cabina per ulteriore sicurezza. Richard Dreyfuss fu quasi imprigionato nella gabbia subacquea. Prima che lo squalo venisse fatto esplodere alla fine, servì un esperto di esplosivi con un permesso speciale – Richard S. Edwards, esperto per la Marina e per il Woods Hole Oceanographic Institution, che dovette strisciare dentro la testa dello squalo meccanico coperta di fibra di vetro appuntita e tagliente, trasportando la dinamite in bocca per piazzarla. Per non parlare degli extra, durante le scene di panico in spiaggia molte comparse (residenti pagati 64 dollari a testa) non conoscevano nemmeno la trama del film – quando Brody urla “shark!”, la fuga impazzita è reale, le persone credevano ci fosse davvero un pericolo.

Per la scena dell’attacco iniziale con Chrissie Watkins (Susan Backlinie) vennero usati cavi che la strattonavano in acqua per ore, fu legata con cavi a terra e due pesi da 300 libbre (tirati da due squadre) per un totale di tre giorni di riprese, producendo una performance che si vociferava le avesse rotto le costole – voce poi smentita. Il braccio finto nella scena in cui si scoprono i resti di Chrissie sembrava troppo posticcio, quindi seppellirono una donna della troupe nella sabbia lasciandone fuori solo il braccio, mentre per riprodurre il suono della donna che annega, la Backlinie fu posizionata davanti a un microfono con la testa piegata all’indietro mentre le versavano acqua in gola. Spielberg era così ossessionato dal realismo che per rifare la testa di Ben Gardner pagò personalmente una ripresa in piscina, usando latte per rendere l’acqua torbida.

Un calvario in cui non mancano incidenti grotteschi. Durante una visita al laboratorio degli effetti speciali, George Lucas infilò la testa nella bocca del Bruce meccanico mentre Spielberg e John Milius chiusero le mascelle per scherzo rompendole, anche Martin Scorsese e John Landis (che si ritrovò a dare una mano a martellare il molo) fecero visita al collega durante le riprese. La leggenda racconta anche di un vero squalo impigliato in una rete sul set, filmato e inserito nel montaggio finale. Quando si trattò di affondare l’Orca per davvero, ci si accorse che serviva una grande quantità di piombo come zavorra ma l’unica fornitura disponibile sull’isola era di un dentista locale che lo affittò a caro prezzo.

Lo squalo 2 (1978) film brodyAl termine di una produzione a dir poco tormentata, quando arrivò in sala di montaggio, Jaws era un puzzle complicato, non privo di buchi, scene inutilizzabili e materiale girato in modo disordinato. Spielberg aveva bisogno di qualcuno che trasformasse definitivamente quel caos in tensione. Quel qualcuno era Verna Fields, montatrice veterana e (futuro) premio Oscar proprio per il suo lavoro sul film. Fields, soprannominata affettuosamente ‘la mamma di tutti’ sul set, era nota per il suo istinto infallibile. Fu lei a trovare i giusti tempi di attesa, a tagliare al momento perfetto prima che il pubblico potesse vedere troppo. Montò le sequenze con una precisione chirurgica, usando al massimo ogni soggettiva, ogni reazione, ogni accenno musicale.

La scena dell’attacco a Chrissie, quella con Alex Kintner e soprattutto l’apparizione dello squalo davanti a Brody furono costruite tanto in fase di montaggio che di ripresa. Per il celebre effetto ottico dello zoom a schiaffo su Brody in spiaggia (quello che mostra il suo volto pietrificato mentre la camera si allontana e si avvicina simultaneamente), Spielberg e Fields usarono una tecnica chiamata dolly zoom, resa celebre da Hitchcock in Vertigo, d’altronde nel film vengono utilizzate diverse tecniche di montaggio e regia tipiche di Alfred Hitchcock, motivo per cui sono presenti anche diversi motivi musicali che sono un chiaro omaggio al compositore preferito di Hitchcock, Bernard Herrmann, grande influenza di John Williams per sua stessa ammissione.

E’ grazie alla gestione dei tempi e dei tagli che la paura cresce scena dopo scena. Un lavoro apprezzato anche da Akira Kurosawa che lodò il montaggio della Fields dopo aver assistito ad una proiezione. Dal final cut vennero eliminate numerose sequenze: una in cui il padre di Chrissie identifica il cadavere ritenuta troppo cruda alla pari di quella che mostrava il figlio di Brody quasi attaccato dallo squalo e salvato da un uomo che moriva brutalmente, una lunga introduzione per Hooper ed una versione estesa dell’attacco al piccolo Kintner. La morte di Quint che viene mangiato vivo dallo squalo doveva essere più sanguinolenta (inclusa una gamba mozzata), fu girata ma poi tagliata per assicurarsi il rating PG dalla MPAA (all’epoca non esisteva il PG-13) anziché il rated R originariamente assegnato.

Lo script prevedeva anche la morte di Hooper da realizzare con l’ausilio di un manichino che doveva essere attaccato da uno squalo; l’attacco però non andò nel modo giusto, la scena è stata utilizzata solo in parte con Hooper che riesce a scappare. Alcune scene tagliate vennero reintegrate nella versione televisiva come riempitivi per allungarne la durata. Come detto, Spielberg, guidato anche dalla Fields, aveva capito che la sospensione e l’assenza funzionavano meglio del dettaglio cruento. Dopo il successo a sorpresa, alcuni ad Hollywood attribuirono il merito al montaggio di Verna Fields più che a Spielberg, motivo per cui si dice che nel tentativo di dimostrare il suo valore Steven scelse di non avvalersi della montatrice nei suoi film successivi.

L’acustica della folla fu innovativa, fino a quel momento i rumori di quel tipo erano presi da librerie audio; per l’occasione si utilizzò una registrazione ADR specifica per la folla con un gruppo che includeva Michael McKean, Harry Shearer, Archie Hahn e Howard Hesseman. Anche gli effetti sonori furono trattati con un’attenzione maniacale che porterà al terzo Oscar (miglior sonoro, appunto). I rombi del motore dell’Orca, le urla distorte sott’acqua, il rumore delle corde che si tendono quando lo squalo abbocca, espedienti pensati per aumentare la tensione senza mai risultare invadenti. Il team audio usò microfoni subacquei, registratori speciali ed una serie di trucchi tecnici per rendere il mare un ambiente vivo e minaccioso.

Brillante l’uso del silenzio nelle scene più tese, la scelta di togliere del tutto la musica o gli effetti sonori produce un senso di attesa insostenibile. Il montaggio ed il suono, sommati, contribuiscono all’impresa di trasformare le debolezze tecniche in tensione narrativa. Lo Squalo fu girato con pellicola Eastman, usata perché economica ma durata poco, divenuta famosa per il suo scolorirsi velocemente nel tempo rispetto ad altre pellicole. Per molti anni si è detto che la stella cadente visibile nella scena notturna (mentre Brody carica la pistola) fosse reale; molto tempo dopo si scoprì che fu aggiunta in post-produzione, in quanto la scena era stata girata di giorno con un filtro per simulare la notte.

lo squalo film orcaLa seconda metà di Jaws si distacca dalla struttura corale della prima per trasformarsi in un’avventura marinaresca dal retrogusto teatrale. Tre uomini, una barca, l’oceano. La riuscita di un film di questa portata passa anche per un tris di personaggi di pregio, caratterizzati al meglio ed affidati ad interpreti che fanno a gara di bravura – per quanto mi riguarda, Scheider e Shaw un pelino sopra il pur valido Dreyfuss. Martin Brody, lo sceriffo che ha paura dell’acqua ha il volto di un Roy Scheider perfetto nella sua esitazione risoluta; Matt Hooper, l’esperto oceanografo dal piglio ironico e razionale, passa per la performance vivace ed intelligente di Richard Dreyfuss. Ad un Robert Shaw in stato di grazia il ruolo di Quint, il lupo di mare segnato dalla tragedia e dal rancore. Il monologo dell’Indianapolis è un momento di cinema tanto puro quanto elevato.

Un racconto nella storia, un buco nero che cattura lo spettatore e rivela le cicatrici del passato. Il momento in cui il film sembra diventare grande sul serio, esce dal ‘semplice’ thriller ed abbraccia la tragedia umana, dando profondità emotiva alla caccia che sta per iniziare. La chimica tra i tre attori, alimentata da tensioni reali sul set, funziona alla perfezione. Sono diversi, in conflitto, ma costretti a cooperare. Ognuno rappresenta una faccia dell’uomo moderno: la legge, la scienza, l’istinto. Ad un certo punto la barca sembra rappresentare il microcosmo della società che si confronta con l’ignoto di un oceano capace di mettere tutti sullo stesso livello. Una chimica esplosiva tra i tre protagonisti, soprattutto tra Shaw e Dreyfuss. Se sullo schermo i loro battibecchi sono tra i momenti più memorabili del film, fuori scena le tensioni erano vere.

Shaw, incline all’alcol, alternava momenti di sobrietà gentile ad esplosioni di ostilità dovute ad alterazioni etiliche. Si divertiva a provocare Dreyfuss, arrivando a sfidarlo a tuffarsi dalla cima dell’albero dell’Orca, a gettargli l’acqua in faccia con un tubo antincendio e a prenderlo in giro per l’aspetto fisico. Dreyfuss non la prese sempre bene, in un episodio al limite del drammatico finì per gettare il bicchiere di whisky di Shaw in mare, scatenandone l’ira. Eppure, nel tempo, i due sono riusciti a riconciliarsi. Al punto che Shaw invitò Dreyfuss a recitare con lui a teatro, cosa purtroppo mai accaduta a causa della prematura morte del primo a soli 51 anni, meno di quattro anni dopo aver completato Lo Squalo. Dreyfuss che ricorda tuttora Shaw come la personalità più grande che abbia mai incontrato, quando nel 2014 ebbe modo di incontrare la nipote a Dublino durante una proiezione speciale del film fu profondamente commosso. La sua ammirazione per Shaw, malgrado le frizioni, era autentica.

La tensione tra attori si riflette quindi nella forza delle loro interpretazioni. Il trio Brody/Hooper/Quint tiene in piedi la seconda metà del film praticamente da solo, in mare aperto, senza altri personaggi né la vista della terra, girata in un modo che lo spettatore si sentisse isolato, vulnerabile, come loro. Anche uno dei momenti più iconici del film – il già citato monologo di Quint sulla USS Indianapolis – nasce da questa atmosfera tesa. La scena fu girata due volte: la prima versione, con Shaw ubriaco, fu inutilizzabile. La seconda, da sobrio, è la versione definitiva. Richard Dreyfuss ha ammesso che durante quella scena non stava recitando, era davvero rapito dall’intensità di Shaw. Monologo che fu registrato perché la troupe aspettava la riparazione di Bruce, un’aggiunta di dialoghi finalizzata al non sprecare tempo di ripresa e che poi si trasforma in magia filmica. Il racconto di Quint fu creato da Howard Sackler, ampliato da John Milius e riscritto da Robert Shaw dopo disaccordi fra gli sceneggiatori.

Per quanto la storia, pur basandosi su fatti realmente accaduti, sia volutamente romanzata attraverso licenze narrative e contenga varie inesattezze, tra cui quella sugli squali che presero la vita di 600 marinai. Dei 1196 uomini a bordo, solo 316 sopravvissero, mentre 300 morirono nell’affondamento e altri 579 per motivi disparati. La maggior parte delle vittime morì per ferite, esposizione e altri fattori. Alcuni morirono per aver bevuto acqua di mare, per lo sfinimento, per annegamento o per violenze fra superstiti in preda alla follia. Gli squali c’erano, ma solo alcune morti furono causate da loro, erano principalmente spazzini che mangiavano uomini già morti. La governante di Peter Benchley aveva un figlio sull’USS Indianapolis e, dopo aver visto il film, chiese un giorno libero perché finalmente aveva capito come era morto. Il 19 agosto 2017, 42 anni dopo, Paul Allen trovò il relitto della USS Indianapolis nel mare delle Filippine ad oltre 5.500 metri di profondità.

lo squalo film spielbergNel repertorio del suo personaggio, Robert Shaw canta strofe di “Spanish Ladies” diverse volte nel corso del film, cosa che aveva già fatto nella serie televisiva The Ladies (1956). La canzone viene cantata anche in Moby Dick del 1956, verso il quale Jaws ha dei richiami più o meno evidenti – con Quint che rappresenta il Capitano Achab (nello script originale, Quint moriva annegato con la corda dell’arpione avvolta al piede, simile alla morte di Ahab), Matt Hooper in luogo di Ishmael e Martin Brody come Starbuck. Non a caso, Spielberg voleva introdurre Quint attraverso una scena in cui guardava il film Moby Dick al cinema, ridendo degli effetti speciali; tuttavia Gregory Peck, che deteneva i diritti, negò il permesso perché non gradiva la sua performance nel film.

Il casting di Lo squalo fu tutt’altro che lineare. Roy Scheider si interessò al progetto dopo aver sentito Spielberg a una festa parlare con uno sceneggiatore dello squalo che saltava sulla barca, fu scelto dal regista che lo aveva apprezzato in un altro capolavoro come The French Connection (Il Braccio Violento della Legge, 1971), sebbene qualche dubbio in prima battuta dovuto al timore che l’attore potesse risultare troppo duro per il ruolo di Brody per il quale si era pensato anche a Gene Hackman che nel film di Friedkin era stato meraviglioso protagonista. Lo studio era altrettanto titubante, ma accettò quando Scheider firmò un contratto per tre film, gli altri due furono Sorcerer (Il Salario della Paura, 1977) e Jaws 2 (Lo Squalo 2, 1978).

Charlton Heston fu scartato perché, secondo il regista, con la sua aura di eroismo avrebbe reso lo squalo meno minaccioso, Heston infuriato giurò di non lavorare mai con Spielberg. Robert Duvall, invece, rifiutò la parte per paura di diventare… troppo famoso! Curiosamente, avrebbe voluto interpretare Quint, ma Spielberg lo considerava troppo giovane per la parte. Per il ruolo del giovane oceanografo Matt Hooper si fecero diversi nomi tra cui Dustin Hoffman, Jeff Bridges, Jon Voight, Kevin Kline, Timothy Bottoms, Jan-Michael Vincent, Don Scardino, Charles Grodin ed Erland Josephson con quest’ultimo che commentò: “Preferisco avere battaglie intellettuali con Liv Ullmann piuttosto che combattere con uno squalo”.

Alla fine, su suggerimento dell’amico George Lucas, Spielberg scelse Richard Dreyfuss, fresco del successo di American Graffiti. L’attore inizialmente rifiutò, convinto che il film sarebbe stato un disastro ma, dopo aver visto una sua interpretazione che non lo soddisfaceva in un altro film, ritornò sui suoi passi con l’idea che fosse meglio lavorare subito a qualcosa di nuovo. Il personaggio del burbero Quint fu il più difficile da assegnare. Oliver Reed rifiutò così come Lee Marvin che disse che era meglio andare a pescare che interpretare un pescatore, Sterling Hayden era bloccato in Francia per problemi con l’IRS.

Paul Newman declinò per ripicca, dopo essere stato scartato da Spielberg per un altro progetto (Lucky Lady, che sarà poi diretto da Stanley Donen nel 1975). Alla fine, i produttori Zanuck e Brown suggerirono Robert Shaw, con cui avevano lavorato in The Sting (La Stangata, 1973), che inizialmente esitò in quanto detestava il libro e fu convinto ad accettare solo dalla moglie Mary Ure e dalla sua segretaria. Craig Kingsbury, il locale che interpretò Ben Gardner, era un vero marinaio con decenni di esperienza in mare. Carl Gottlieb aveva modellato parte del profilo di Quint su Craig Kingsbury, un eccentrico pescatore locale che finì per avere il piccolo ruolo di Ben Gardner, la cui testa è poi trovata sott’acqua – dopo il successo del film, Kingsbury fece stampare carta intestata con l’immagine della sua testa mozzata.

Era stato assunto inizialmente per insegnare il dialetto locale all’inglese Robert Shaw, ma finì per chiacchierare con lui per settimane raccontando storie di squali; un assistente alla produzione registrò tutto con alcune espressioni colorite e modi di dire che finirono nella sceneggiatura di Gottlieb che lo riteneva un personaggio tanto vero quanto indimenticabile, dello stesso avviso Spielberg che disse che Kingsbury era la versione più pura di chi, nella sua mente, Quint fosse. Il limerick che Quint recita mentre si preparano a salpare (“Here’s lies the body of Mary Lee..”) è frutto dell’improvvisazione di Shaw che disse di aver letto la frase su una vecchia lapide in Irlanda, la battura verrà recitata dall’attore anche in Swashbuckler (Il corsaro della Giamaica, 1976).

dietro le quinte Lo Squalo 2 (9)Nonostante l’enorme successo, Robert Shaw non guadagnò moltissimo a causa di problemi con l’IRS e tasse internazionali, dopo aver terminato le riprese dovette fuggire dal Paese in quanto se fosse rimasto troppo negli Stati Uniti avrebbe dovuto pagare tasse piuttosto pesanti, ragion per cui nei giorni liberi veniva mandato in Canada. Durante la scena in cui Richard Dreyfuss e Robert Shaw mostrano le cicatrici di “guerra”, Roy Scheider alza la maglia mostrando la cicatrice di un’appendicectomia: non è una protesi, è la sua vera cicatrice; lo stesso dicasi di Robert Shaw che ha l’idea di togliere realmente la capsula del proprio dente.

Anche sul fronte secondario ci furono scelte particolari. Lorraine Gary, che interpreta Ellen Brody ed era piaciuta a Spielberg in The Marcus Nelson Murders (Il caso Nelson è suo, 1973) per la sua naturalezza, era moglie del dirigente Universal Sid Sheinberg; una scelta che scatenò malumori interni, Il produttore Richard D. Zanuck voleva sua moglie Linda Harrison per il ruolo, ma ignorava che il capo della Universal aveva già bloccato la Gary per la parte (dopo aver valutato anche Victoria Principal). Per placare la situazione, Sheinberg contattò il produttore di Airport ‘75 del 1974, William Frye, chiedendogli di inserire la Harrison. Murray Hamilton fu l’unico attore considerato per il ruolo del sindaco Vaughn.

La debuttante Susan Backlinie, la prima vittima, fu scelta non solo per le sue doti fisiche ma anche perché era un’abilissima nuotatrice (vedi tour de force di cui abbiamo parlato qualche paragrafo fa), l’attrice non ebbe problemi a girare senza veli anche circondata da molti uomini della troupe, era già apparsa completamente nuda nel 1973 in un servizio fotografico di Penthouse. Lee Fierro, che interpretava Mrs. Kintner, dovette davvero schiaffeggiare Roy Scheider in una scena emotivamente intensa.

L’attrice non riusciva a simulare il colpo, portando a ripetere la scena 17 volte (di cui una in cui il collega perde gli occhiali per lo schiaffo), Scheider all’inizio si arrabbiò a causa delle ripetizioni con la Fierro che uscì dal personaggio per scusarsi ed abbracciarlo. Spielberg, commosso, strinse a sé entrambi tra una ripresa e l’altra. Nonostante la frustrazione iniziale, l’attore disse (tranquillizzandola) alla direttrice del casting Shari Rhodes di non essere dispiaciuta e che alla fine ne sarebbe valsa la pena.

Diverse decadi dopo l’uscita del film, Lee Fierro notò un “Alex Kintner Sandwich” nel menu di un ristorante commentando che aveva interpretato sua madre molti anni prima; Jeffrey Voorhees, il gestore del ristorante che aveva interpretato Alex, corse ad incontrarla ed abbracciarla, i due non si vedevano dai tempi della lavorazione. Jay Mello, che interpretava Sean Brody, il figlio più piccolo dello sceriffo, raccontò a People che i modelli animatronici dello squalo lo spaventarono a tal punto da impedirgli di entrare in acqua per anni. Gli isolani che provano a catturare lo squalo di notte dal piccolo molo erano locali che crearono molti problemi a Spielberg per la loro scarsa recitazione e per voler fare da soli le scene pericolose.

Spielberg si vendicò insistendo nel ripetere molte volte l’effetto del molo che crolla e a sovraincidere i loro dialoghi per ben due volte in post-produzione. Il medico legale fu interpretato da un vero dottore, Robert Nevin. Unica apparizione cinematografica per Jonathan Filley, scoperto con un provino locale, diventato poi assistente di produzione lavorerà ancora con Spielberg 30 anni dopo in War of the Worlds (La Guerra dei Mondi, 2005) come Unit Production Manager. La doppiatrice June Foray registrò alcune voci per Michael e Sean durante una manciata di scene all’aperto per le quali non venne accreditata così come l’annunciatore radio durante una scena sulla spiaggia che ha la voce del telecronista sportivo Charlie Jones, noto soprattutto per il football. Il cane della famiglia Brody è Elmer, il vero cane di Spielberg che da parte sua suona il clarinetto durante la scena in spiaggia oltre a fornire la voce che si sente alla radio di Quint, quando la signora Brody cerca di contattare il marito sull’Orca. Cameo per Peter Benchley che compare brevemente nei panni di un giornalista sulla spiaggia.

Jaws uscì il 20 giugno 1975. Come detto in precedenza, era previsto per Natale 1974 ma le riprese andarono oltre i tempi previsti. All’epoca, l’estate era il periodo in cui solitamente uscivano i film minori in quanto si riteneva che gli americani preferissero attività all’aperto rispetto all’andare al cinema, ma il film ebbe così successo che il pubblico si riversò in sala, diventando il il maggior incasso di tutti i tempi fino ad allora. Oltre 67 milioni di persone negli USA andarono a vederlo nel periodo dell’uscita (quasi un terzo della popolazione americana dell’epoca). Lo Squalo non ha solo cambiato il modo di fare cinema. Ha cambiato il modo di pensarlo, di concepirlo.

Con un incasso globale di oltre 470 milioni di dollari – cifra astronomica per l’epoca – è stato il primo vero blockbuster estivo. Le code fuori dai cinema, la distribuzione su vasta scala, la campagna marketing massiccia: tutto quello che oggi daremmo per scontato nel lancio di un film di successo è praticamente nato con Jaws. Quando i produttori videro il film finito furono talmente soddisfatti da stanziare una campagna pubblicitaria televisiva senza precedenti, spendendo 700.000 dollari. In generale, la Universal ha avuto la prontezza di capire di avere tra le mani non solo un film, ma un evento.

dietro le quinte Lo Squalo 2 (4)Il merchandising, le locandine, i gadget, i passaggi televisivi, le repliche stagionali: un film che diventa un fenomeno pop, mentre Hollywood non sarà più la stessa. Tra le attività promozionali più singolari della campagna marketing per l’uscita del film, vari negozi vendevano gelati con gusti come “Sharklate” e “Finilla”, mentre per un periodo funzionò una discoteca a tema Jaws negli Hamptons. Prima di questo film, le grandi produzioni uscivano in una sola sala per poi diffondersi con il passaparola. Lo Squalo cambiò tutto, uscendo contemporaneamente in oltre 490 cinema negli USA, in 78 giorni divenne il film con maggior incasso di sempre, anche se ancora in meno di 1.000 sale in quanto Lew Wasserman propose di ridurre il numero per creare code al botteghino ed ulteriore hype intorno alla release.

Lo Squalo finì al primo posto al botteghino la settimana del debutto e vi rimase per 14 settimane consecutive. E’ stato tra i primi 10 incassi mondiali per quasi 20 anni, fino a quando non è stato scalzato da Forrest Gump nel 1994. Primo film a superare i 100 milioni di dollari in incassi netti dai cinema (circa 45% del totale), primo ad incassare oltre 200 milioni di dollari nel solo mercato interno e oltre 400 milioni in tutto il mondo. Maggior incasso negli USA fino all’uscita di Star Wars nel 1977. Il primo di tre titoli di Spielberg che divennero il maggior incasso mondiale per un certo periodo di tempo insieme ad E.T. del 1982 e Jurassic Park del 1993. A 28 anni, Steven Spielberg era il più giovane regista di un film capace di debuttare al primo posto al botteghino, record durato quasi 40 anni superato solo da Josh Trank, che aveva 27 anni all’uscita di Chronicle nel 2012. Fu il primo film ad essere distribuito in laserdisc nel 1978.

Per oltre 20 anni è stato l’horror col maggior incasso, fino a essere superato da The Sixth Sense (Il Sesto Senso, 1999). Nel settembre 2022, Jaws è stato redistribuito nei cinema durante il weekend del Labor Day da Universal, 47 anni dopo la prima uscita. Convertito in 3D e in formati premium come IMAX, ha incassato 3,3 milioni di dollari nel weekend, piazzandosi all’ottavo posto in classifica e superando persino Thor: Love and Thunder della Marvel.

Candidato a quattro Oscar alla 48ª edizione, dei tre vinti (colonna sonora, montaggio e sonoro) abbiamo detto, l’unico a sfuggirgli fu quello per il miglior film finito a One Flew Over the Cuckoo’s Nest (Qualcuno Volò sul Nido del Cuculo). Il presentatore di quella cerimonia fu proprio Robert Shaw mentre John Williams diresse l’orchestra; quando vinse l’Oscar per la migliore colonna sonora, dovette correre al podio a ritirare il premio per poi tornare a dirigere. Jaws è stato il secondo horror ad essere candidato come miglior miglior film dopo The Exorcist (L’Esorcista). Spielberg era così sicuro di vincere l’Oscar per il miglior film che fece riprendere da una troupe lui ed il suo team mentre guardavano la cerimonia a una festa speciale. Steven fu molto deluso anche per non essere stato nominato come miglior regista; in seguito prese la cosa con più filosofia, ammettendo che perdere quel posto a favore di Federico Fellini non era poi così male.

Dopo l’uscita del film, l’interesse per la pesca degli squali esplose, ma di contro ci fu un calo nel turismo organizzato nei luoghi di mare per il diffondersi della paranoia da squalo – una specie di isteria colpì il pubblico, con incidenti tra cui una spiaggia in California svuotata per presunti squali che si rivelarono essere delfini mentre in Florida una balenottera nana spiaggiata uccisa perché scambiata per uno squalo. La popolazione turistica estiva di Martha’s Vineyard prima del film era di circa 5.000 persone, dopo l’uscita salì a 15.000.
Il successo porta inevitabilmente alla produzione di sequel, tre capitoli usciti rispettivamente nel 1978, 1983 e 1987. Nessuno minimamente paragonabile all’originale, naturalmente – il secondo è sicuramente il migliore del trio, senza prendere in considerazione paragoni impegnativi risulta uno shark movie di tutto rispetto.

Spielberg dirà di essersi un po’ pentito di non aver gestito (o quanto meno supervisionato) la saga di Jaws come fatto con Jurassic Park o Indiana Jones, lamentando il calo di qualità dei sequel. Sul proliferare di film a tema animali assassini – ed in particolare sul sottofilone degli shark movie, ancora oggi inflazionatissimo – non dico nulla che altrimenti… servirà un dossier più grande! Innumerevoli le tracce lasciate dal film sulla cultura cinematografica e su quella pop in generale, per citare un esempio trasversale totalmente a caso penso a Bryan Singer che ha più volte dichiarato che Lo Squalo è il suo film preferito, tanto da omaggiarlo intitolando la propria casa di produzione Bad Hat Harry Productions. Il nome riprende una battuta pronunciata da Brody sulla spiaggia – “It’s a bad hat, Harry” – e il logo della compagnia mostra due bagnanti con una pinna sullo sfondo.

dietro le quinte Lo Squalo 2 (6)Per il 50° anniversario, Il regista ha rivelato di averlo rivisto da solo: “Non guardo i miei film, ma ero solo, e ho proiettato una bellissima copia di Jaws il 20 giugno. Volevo rivederlo nel giorno in cui era uscito originariamente e vedere se riuscivo ad arrivare alla fine senza rivivere gli incubi delle riprese. Devo dire che, una volta finito, è stata la prima volta che l’ho visto davvero come spettatore, e non come regista.” Per celebrare l’anniversario del film, la Universal ha dedicato un nuovo teatro a Spielberg nel suo celebre studio di Los Angeles.

Cinquant’anni dopo la sua uscita, Lo Squalo resta un punto di riferimento imprescindibile. Per i registi, per gli studios, per i cinefili e per i semplici appassionati. Un’opera che riesce a essere sia intrattenimento puro che riflessione stratificata, sia blockbuster che capolavoro autoriale. Un equilibrio raro, forse irripetibile. Rivederlo oggi non significa solo fare un tuffo nel passato, ma constatare quanto poco (nulla) sia invecchiato. La tensione funziona ancora, i personaggi restano vivi, il ritmo è impeccabile.

E ogni volta che la pinna emerge, il cuore accelera. In un panorama cinematografico sempre più dominato dagli effetti digitali, dai franchise serializzati e dall’overdose sensoriale, Jaws ci ricorda che a volte basta poco: un’idea forte, una regia intelligente, una musica indimenticabile e una storia universale. Come Bruce lo squalo, anche questo film continuerà a nuotare finché ci sarà qualcuno disposto a guardarlo con gli occhi del bambino che ha paura o del cinefilo che si emoziona.

Il trailer: