Voto: 6.5/10 Titolo originale: Low Tide , uscita: 04-10-2019. Regista: Kevin McMullin.
Low Tide (2019): la recensione del film d’esordio di Kevin McMullin by A24
07/07/2025 recensione film Low Tide di Marco Tedesco
Un coming-of-age cupo e sorprendente, tra conflitti morali e desiderio di fuga

Low Tide della A24 è un film che, pur affondando le sue radici nella tradizione del coming-of-age americano, riesce a distinguersi grazie a una stratificazione tematica sorprendentemente densa e a un realismo emotivo che disarma. Kevin McMullin, al suo esordio alla regia, sceglie di raccontare l’adolescenza non come mito consolatorio, ma come una fase cruda e spesso disperata, in cui il passaggio all’età adulta è forzato da privazioni, rancori e violenza repressa.
Il paragone con i classici del genere – Stand by Me, I Goonies, persino Il Tesoro della Sierra Madre – è inevitabile, ma fuorviante. Low Tide non si limita a emulare il passato, lo rielabora. A differenza dei film che idealizzano l’infanzia o l’amicizia maschile, McMullin si concentra sulla rabbia silenziosa di adolescenti marginali, cresciuti all’ombra della ricchezza altrui sulla costa del New Jersey. Non è nostalgia, è inquietudine.
I protagonisti – Peter, Alan, Red, Smitty – non incarnano archetipi statici, ma variabili psicologiche in costante tensione. Red, interpretato con carisma inquietante da Alex Neustaedter, è l’incarnazione del disagio sociale: rabbioso, cinico, prepotente. Ma McMullin evita il cliché del villain: Red è pericoloso proprio perché umano, intrappolato in una vita senza vie d’uscita. Il suo contrasto con Peter – timido, riflessivo, ma con una moralità fragile – alimenta il conflitto centrale del film, trasformando una banale caccia al tesoro in un’autopsia emotiva della gioventù frustrata.
Narrativamente, il film ha una struttura lineare ma stratificata, che funziona tanto sul piano simbolico quanto su quello drammaturgico. La scoperta del tesoro è un punto di svolta che svela il vero motore del racconto: non il denaro, ma il bisogno disperato di significato e di potere. Ogni personaggio si definisce attraverso le proprie reazioni alla ricchezza inaspettata: chi cerca di scappare, chi di dominare, chi di proteggere. In questa dinamica si nasconde l’intelligenza di McMullin, capace di trasformare un elemento narrativo classico in un acceleratore etico.
Dal punto di vista visivo, Low Tide è meticoloso senza mai essere manierato. I dettagli temporali (radio, automobili, abbigliamento) sono accennati, non ostentati. L’ambientazione balneare, con le sue luci fioche, le case disabitate e le spiagge malinconiche, suggerisce una dimensione fuori dal tempo, dove ogni estate può essere l’ultima e ogni scelta può pesare per sempre. La regia utilizza primi piani improvvisi, campi visivi stretti, giochi di luce naturale: tutto contribuisce a creare un senso di costante instabilità.
Le performance sono coese e calibrate. Jaeden Martell offre un ritratto sottile e autentico di un ragazzo sull’orlo della trasformazione, mentre Keean Johnson, Daniel Zolghadri e Neustaedter danno vita a un microcosmo credibile, dove ogni gesto tradisce vulnerabilità e desiderio. Shea Whigham, nei panni del sergente Kent, rappresenta un’autorità stanca, quasi marginale, ma necessaria come specchio morale.
Se Low Tide ha un limite, è forse nella fretta con cui si avvia alla conclusione. Dopo una costruzione lenta e intensa, il climax si consuma rapidamente, lasciando alcuni fili narrativi irrisolti. Ma anche questo squilibrio, in fondo, riflette l’imprevedibilità della giovinezza e la brutalità con cui certi momenti cambiano tutto.
In un panorama indie spesso ingabbiato tra estetica e citazionismo sterile, Low Tide emerge allora come un’opera sincera, disturbante e profondamente americana. Non è un’ode agli anni Ottanta, né un omaggio al cinema d’avventura giovanile: è un racconto morale travestito da thriller estivo. E, proprio per questo, lascia il segno.
Il trailer di Low Tide:
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