Vincitore per la miglior sceneggiatura a Venezia 76, il primo lungometraggio disegnato del regista cinese 71enne avanza al ritmo di un bradipo letargico. Ma, accettando di sperimentare in prima persona la relatività del tempo, si verrà rimunerati con anticonformismo, eros, poesia. E con quel tocco di spirito rivoluzionario, così irresistibile in una donna elegante
Hong Kong, 1967. Le vie sono scosse dalle rivolte dei comunisti locali contro il governo britannico. Ziming è uno studente di letteratura inglese dell’Università di Hong Kong, nonché ottimo tennista. Bellissimo e fascinoso come il protagonista di uno shojo manga, ha il raro dono di risvegliare gli ormoni di ogni essere vivente che incontra, non importa che si tratti di donne uomini o animali. Superate le avances del creato e varie peripezie, lo studente raggiunge l’elegante abitazione di un’area tranquilla e residenziale della città. Ad attenderlo, una bellissima e composta donna dall’aspetto ancora fresco. La signora Yu, questo è il suo nome, vuole che Ziming dia lezioni private alla di lei figlia Meiling, in quel momento assente.
Per ingannare il tempo, i due iniziano a parlare di letteratura, scoprendo di avere in comune molto più di quanto non lascerebbero supporre le apparenze. Yu è infatti una raffinata e colta antiquaria comunista in autoesilio da Taiwan, sfuggita al “Terrore Bianco” di quegli anni. Col passare delle ere, ehm… Col passare delle ore, fa il suo ingresso la splendida e seducente figlia diciottenne della pur affascinante Yu. Prende così finalmente le mosse il cuore del racconto, fatto di quotidianità letteraria, scambi intellettuali e film visti al cinema, rigorosamente in due. Ma il cinema è malandrino, si sa, e quando a condividere immagini di grandi film d’amore sono quattro occhi, la chimica ci mette del suo. La nota eroica del film è che il ménage sopravvive alle incursioni della vicina di Yu, impicciona e famelica gemella di Moira Orfei.
Il regista (classe 1947) non nasconde di aver intriso la sua prima opera d’animazione con un tocco profondamente intimo e autobiografico. “No.7 Cherry Lane parla soprattutto di me. Si tratta della storia di un amore disperato, farcito di ingredienti contraddittori: dentro e fuori, alti e bassi, vizio e virtù, guerra e pace, la bella e la bestia, est e ovest, eterodosso e classico, spirituale e fisico … il tutto mescolato a migliaia di immagini realizzate a mano che costellano l’intera pellicola”. Purtroppo i disegni realizzati a mano sono inframmezzati da qualche animazione digitale di qualità veramente scadente, e non se ne capisce il motivo, dato il loro costo ormai contenuto.
Anche a livello contenutistico, forse Yonfan ha troppa fiducia nella riuscita di No.7 Cherry Lane: tutta la sua decantata dualità infatti, non si percepisce. A meno di non intendere la parola come sinonimo di “ambiguità”, ma non è così. Della dialettica violenta fra guerra e pace, a tutti i livelli (quello interiore in primis) non vi è traccia. I personaggi sono tutti convinti e ostinati nelle proprie scelte. Talmente tanto da risultare spiritualmente (e anche fisicamente …) immobili. Ma probabilmente il regista 71enne è troppo coinvolto nella sceneggiatura, il che gli fa perdere un po’ di oggettività. O forse è solo che la sensibilità del pubblico occidentale è molto diversa da quella degli spettatori dell’estremo oriente. Il dubbio rimane, ma la benevolenza dello spettatore per quest’animo creativo e gentile, vince. Poi, nelle parole di Yonfan, si fa strada la commozione. “È il mio primo tentativo nell’ambito dell’animazione, perché è solo attraverso questa forma d’arte che posso trasmettere il mio sentimento di desolazione nello splendore. È la mia lettera d’amore dedicata a Hong Kong e al cinema. Una storia che parla di ieri, oggi e domani. E soprattutto, è un film che parla di liberazione”.
Il trailer internazionale di No.7 Cherry Lane: