Tye Sheridan e Olivia Cooke ci guidano in una corsa sfrenata sulle montagne russe della nostalgia, in un traboccante frullato di citazioni e camei che stordisce i sensi senza preoccuparsi troppo della satira al momento presente
Tron. Matrix. Ogni generazione ha la sua avventura in VR. E nel momento attuale, così intriso di cultura pop anni ’80, guidato da avatar sociali e dove l’esperienza digitale è ormai assodata, Ready Player One è proprio quello che ci meritiamo. Inoltre, con una coda finale che ricorda al pubblico che potrebbe valere la pena dare un’occhiata anche al mondo reale e dimenticare per un attimo alter ego impossibili, è probabilmente ciò di cui abbiamo bisogno.
Il riferimento è direttamente preso dal monologo conclusivo di Il Cavaliere Oscuro, a ulteriore dimostrazione di come la cultura pop stia fornendo scorciatoie a praticamente ogni cosa. Spingendoci ancora più a fondo nella tana del Bianconiglio, il film del 2008 è della Warner Bros., esattamente così come quello diretto ora da Steven Spielberg. Il che significa che le svariate proprietà intellettuali dello studio hollywoodiano sono ben rappresentate nell’adattamento piuttosto libero per il grande schermo dell’omonimo romanzo di Ernest Cline.
Appassionato, come tutti, di Oasis (Ontologically Anthropocentric Sensory Immersive Simulation), un universo virtuale al cui interno ognuno è libero di scatenare la propria fantasia senza limiti, nonchè abile giocatore, il ragazzo sta tentando di completare le tre difficili sfide lanciate dal celebre e solitario designer di Oasis, James Halliday, nome utente Anorak (l’attuale musa di Spielberg, Mark Rylance), da poco scomparso senza lasciare eredi.
Se conclusa, ogni sfida sbloccherà un Easter Egg che porterà a un successivo livello di gloria in questo paradiso digitale, ovvero un potere illimitato. Chiunque riuscirà a completare con successo tutte le prove, non soltanto si aggiudicherà mezzo trilione di dollari, ma anche il pieno controllo dell’Oasis. Parzival preferisce non ‘fare clan’, cioè unirsi ad altri giocatori per provare a vincere più velocemente, ma è amico di Aech (Lena Waithe), un gigante abilissimo nel riparare le cose che si diletta a costruire veicoli e che sta lavorando a un Gigante di Ferro a grandezza naturale (che sostituisce i complessi copyright legati all’Ultraman dal libro).
Parzival prova nel contempo una certa attrazione verso l’altrettanto solitaria Art3mis (Olivia Cooke), una giocatrice col fascino della giovane Celina Kyle e che ama scorrazzare sulla moto rossa di Akira. A minacciare il divertimento – e il futuro dell’umanità – è Nolan Sorrento (Ben Mendelsohn), CEO della Innovative Online Industries, società che brama il controllo completo dell’Oasis e che vuole invaderlo di banner e pop-up per raccogliere ancora più soldi dalle pubblicità e che per raggiungere questo obiettivo ha ridotto in schiavitù alcuni disperati e una moltitudine di ragazzini, con il compito di spazzare via la competizione.
Il fascino della visione deriva soprattutto dal guardare Steven Spielberg, l’uomo che probabilmente ha plasmato dall’argilla la cultura pop moderna insieme all’amico George Lucas, interpretare a suo modo il romanzo originale di Ernest Cline del 2011 (co-adattato qui dall’autore stesso insieme a Zak Penn) e scherzare con così tanti personaggi tanto amati.
Come qualcuno che decide di fare zapping selvaggio tra i trailer dei canali di cinema su YouTube, Batman, il bambolotto assassino Chucky (con Freddy Krueger e Jason di Venerdì 13), King Kong, il Mechagodzilla, il Gundam, Harley Quinn, Beetlejuice, Alien, Punto di Non Ritorno e dozzine di altri (molti naturalmente dai videogames, su tutti Street Fighter, Mortal Kombat e Halo …) sfilano sullo schermo su panorami digitali talmente colmi di dettagli che bisognerebbe mettere in pausa per identificare tutti i volti celati in bella vista (e non è difficile immaginare che uno degli extra dell’edizione home video sarà proprio qualcosa del genere …).
Poi, nel miglior momento della pellicola – che paradossalmente nel romanzo non esiste -, il regista condensa l’eredità multimediale di un film classico dello stimato Stanley Kubrick in una meravigliosa quanto irriverente rivisitazione 3.0 di Shining (il acconto del regista sulla nascita della scena).
Una corsa sfrenata, questa è la sintesi di Ready Player One. Ci sarebbe molto da discutere sulle svariate ‘proprietà intellettuali’ che invadono lo schermo. E a proposito della narrativa classica nell’epoca moderna. O della competenza culturale pop come moneta sociale. O delle aziende tecnologiche che mungono e manipolano le masse (il logo della Apple rimbomba per la sua assenza). Ma Steven Spielberg lascia queste considerazioni su ciò che sta accadendo nel mondo ai lati, fuori dai finestrini della nostra DeLorean.
Vuole piuttosto che lo spettatore si concentri sull’avventura che sta passando davanti al paraschermo / parabrezza una volta indossati gli occhiali per la realtà aumentata. Forse troppo superficialmente, la vicenda si dipana con passo spedito (toccando i 140 minuti di durata) semplificando le ‘prove’ e le relazioni, riuscendo però tendenzialmente a rendere il duraturo valore culturale della sua miriade di riferimenti, anche se non è chiarissimo come questo universo intriso di nostalgia organizzato in set dal production designer Adam Stockhausen possa fare presa sugli spettatori under 20, totalmente digiuni dell’universo descritto e dei suoi codici.
Anche perché la contraddizione centrale qui risiede proprio in un’opera ambientata nel 2045 e ossessionata dai reperti degli anni ’80, anche sonoramente: si parte con Jump dei Van Halen e si prosegue con il compositore Alan Silvestri che cita la sua stessa colonna sonora di Ritorno al Futuro, fino a Take on Me degli A-Ha e i Bee Gees.
Neanche la saga di Harry Potter, peraltro di proprietà della Warner Bros. Meno sorprendentemente invece, Matrix non viene mai apertamente citato.
Presumibilmente, sarebbe stato troppo sfacciato fare riferimento diretto a qualcosa che questa pellicola ricorda fondamentalmente per intero nell’assunto di base. Steven Spielberg aggira inoltre abilmente il pericolo di avatarizzazione, sprofondando il reale nell’Oasis e la sottotrama di una rivolta cittadina nel mondo reale contro la tirannica Corporazione IOI fa solo vagamente da sfondo al terzo concitato atto, in cui l’azione – fotografata dal due volte premio Oscar Janusz Kaminski – si divide tra la sporca e grigia vita vera (ricostruita a Birmingham, Regno Unito) – catturata su pellicola – e le frizzanti pianure virtuali dai colori fluo – filmate in digitale.
Tye Sheridan è sufficientemente carismatico – senza eccessi sia chiaro – da non evaporare completamente quando diventa Parzival, mentre Ben Mendelsohn che non può fare a meno di essere disneyanamente odioso nei panni del villain di turno. T.J. Miller – irriconoscibile – dà vita a uno scagnozzo interessante, I-R0k, quando si fa cenno alla serie TV Spaced (e alla sua menzione nel libro) con la presenza di Simon Pegg in un ruolo minore, ma fondamentale. I compagni di gioco di Watts / Parzival, Daito e Shoto, sono tratteggiati invece con tocco leggero e solamente la rossa Art3mis di Olivia Cooke colpisce nel segno, sebbene un’evidente imperfezione sul suo viso, presente nel mondo reale, ma di cui è chiaramente priva nell’Oasis, sia gettata lì alla buona, senza soffermarsi troppo sulle implicazioni.
Se registi come Robert Zemeckis (citato peraltro apertamente) – o addirittura Joe Dante – sarebbero forse stati in grado di dare maggior spessore anche al messaggio allegorico e satirico della vicenda, il personaggio principale di Ready Player One risulta in definitiva lo stesso Steven Spielberg. Limitando – purtroppo – le auto-citazioni al cameo di un T-Rex da Jurassic Park e a un poster di I Predatori dell’Arca Perduta sullo sfondo, riesce a prendere per mano lo spettatore e non lo molla nemmeno per un secondo, mentre la macchina da presa sterza e schiva, mentre gli avatar combattono i mostri, mentre i veicoli sfrecciano attraverso percorsi a ostacoli e solcano i campi di battaglia.
In fondo, a volte ci si può accontentare anche di una corsa sulle montagne russe della memoria, crogiolandosi semplicemente al pensiero di quanto l’infanzia di noi millennial sia stata unica e irripetibile. O almeno così vogliamo ricordarla.
Vi invitiamo a visitare il nostro approfondimento per controllare tutti gli Easter Egg e omaggi celati nel film.
Di seguito il trailer italiano di Ready Player One: