Il regista rielabora col suo stile alcuni classici del passato, realizzando un thriller che soddisfa lo spettatore di questo genere di prodotto
Con The Collector (2009) – e il suo seguito The Collection (2012) – Marcus Dunstan ha dimostrato una certa maestria nel creare atmosfere claustrofobiche e suspense all’interno di un ambiente domestico. In linea con quanto già fatto, il suo ultimo lavoro, intitolato The Neighbor, rappresenta allora una sua peculiare variazione sul tema, che mantiene e rielabora alcuni degli elementi principali dei precedenti film.
In un complesso insieme di influenze con opere sue personali e non solo, il regista riprende anzitutto, oltre che The Collector, anche La finestra sul cortile (e di riflesso il più recente Disturbia). Uno degli elementi centrali è difatti proprio il reciproco controllo, l’osservazione da lontano attraverso una lente ingrandente degli eventi occorsi nel vicinato, in un’allegorica riproduzione delle dinamiche visive del cineocchio. Non solo. Viene riproposto un secondo elemento diegetico fondamentale del classico di Alfred Hitchcock: l’introduzione nell’altrui abitazione, quivi però per soccorrere la propria consorte e non per sapere la verità sul presunto omicidio di una conosciuta scomparsa misteriosamente. In ultimo, una forte somiglianza è riscontrabile anche nelle maschere indossate dai sequestratori, che sembrerebbero richiamare in qualche modo la silohuette facciale del Jigsaw di Saw – L’Enigmista, di cui Dunstan ha sceneggiato gli ultimi quattro capitoli, ma anche di Most Likely to Die. Se dunque si tratta dell’elaborazione di molteplici spunti, il regista riesce ad amalgamare tutto con una certa armonia, inserendo tra l’altro, come inframezzi, alcuni spezzoni di girato vintage, che creano un senso di stacco e al contempo contribuiscono a destabilizzare lo spettatore.
Sebbene nulla di eccezionale, The Neighbor rimane un thriller ben strutturato e ritmato, che dà allo spettatore il prodotto che ha cercato quanto ha iniziato la visione.