Voto: 7/10 Titolo originale: Kubo and the Two Strings , uscita: 18-08-2016. Budget: $60,000,000. Regista: Travis Knight.
Kubo e la Spada Magica: la recensione del film animato di Travis Knight
28/11/2016 recensione film Kubo e la spada magica di Alessandro Gamma
La Laika firma uno dei vertici dell'animazione in stop-motion, profondo e visivamente illuminante
Incredibilmente bello e immensamente vero, uno dei migliori film d’animazione del 2016 – e uno dei migliori di ogni genere – è la favola in stop-motion di un ragazzo con un occhio solo nel mitico Giappone che è stato realizzato da un gruppo di talentuosi visionari all’interno di un magazzino dell’Oregon. La Laika, studio indipendente già dietro a morbosi incantesimi animati come Coraline e la Porta Magica e ParaNorman, si è affermata come formidabile baluardo contro l’invasione sempre più accelerata dei cartoni animati 3D generati al computer, ma Kubo e la Spada Magica (Kubo and the Two Strings) fa sembrare anche il più minuzioso dei loro film precedenti come un giro di prova.
Racconto epico – ispirato da La Fortezza Nascosta di Akira Kurosawa – sul potere supremo della narrazione, la più imponente pellicola della Laika ad oggi è anche la sua più emotivamente acuta. Non è cupa quanto Coraline (anche se alcuni dei cattivi sono un vero e proprio incubo), o pungente come Boxtrolls – Le scatole magiche, ma scava negli angoli più oscuri del cuore umano con un grado di coraggio che raramente si trova nei film per famiglie, e con una forza che ancora più raramente si trova nei lungometraggi orientati a un pubblico adulto.
Fondendo un’incomparabilmente espressiva arte dei burattini con i morbidi svolazzi degli effetti digitali, Kubo e la Spada Magica inizia con un prologo che introduce i suoi personaggi direttamente nella materia mitica. Da lì, si dipana il viaggio consapevolmente familiare di un eroe: Kubo (doppiato da Art Parkinson di Il Trono di Spade, in italiano da Giulio Bartolomei), è un coraggioso – anche se un po’ malinconico – undicenne che vive con la madre traumatizzata in una grotta ai margini di una piccola città.
Il padre, gli è stata raccontato, era un grande guerriero di nome Hanzo, che ha sacrificato la sua vita per risparmiare l’occhio rimanente di Kubo, anche se il ragazzo lo conosce solo attraverso le storie che sua madre decide di rendergli note.
Se i dettagli delle sue origini possono essere annebbiati, è chiaro che Kubo non è un tipetto ordinario. Durante il giorno, lui picchia sul suo shamisen (uno strumento musicale giapponese a tre corde) per rallegrare le folle di curiosi che si assiepano per ascoltarlo nella piazza del paese, e – attraverso l’impiego della magia che ha ereditato – ogni colpo sullo strumento fatto in casa ha il potere di trasformare e animare gli origami che tiene nelle maniche.
Mentre Kubo racconta del potente Hanzo e dei suoi tre pezzi della sua armatura invincibile, i foglietti di carta volano nell’aria diventando modellini meravigliosamente intricati del samurai e dei suoi nemici.
L’accompagnamento musicale rigoglioso e vivace di Dario Marianelli (V per Vendetta) aiuta a vendere lo spettacolo su piccola scala messo in piedi dal ragazzino, mentre la sbalorditiva abilità artigianale della Laika – che si avvale dei recenti sviluppi nella stampa 3D per aumentare in modo esponenziale il numero di espressioni che i suoi personaggi sono in grado di fare – ispira lo stesso felice stupore nel pubblico in sala di quanto Kubo fa con il proprio.
Il giovane cantore non raggiunge però mai del tutto la fine della storia. All’arrivo della notte – al primo accenno di tramonto per la precisione – è costretto a correre a casa per nascondersi nella sua caverna fino al mattino, per timore che il malvagio Moon King lo individui e gli strappi l’unico occhio rimastogli. Inutile dirlo, non passa molto tempo prima che Kubo infranga questa regola d’oro.
Sedotto dall’Obon Festival del villaggio (una pratica buddista in cui le persone evocano gli spiriti dei loro antenati e poi illuminano la loro via del ritorno verso l’aldilà), e sopraffatto dal desiderio di parlare con il padre, Kubo rimane fuori un po’ troppo a lungo. Viene così immediatamente trovato dalle malefiche zie, due Sorelle gemelle (doppiate da Rooney Mara / Domitilla D’Amico) che galleggiano a mezz’aria, hanno il volto coperto da inquietanti maschere Noh senza espressione, e aspirano sbuffi di fumo nero dalle pipe kiseru che premono contro la loro labbra dipinte.
La madre di Kubo si precipita per salvarlo, pagando il prezzo più alto, e il passaggio successivo è vedere suo figlio seduto nelle viscere di una carcassa di balena mentre ascolta una scontrosa scimmia (Charlize Theron / Chiara Colizzi) dirgli che deve trovare l’armatura mistica della sue storie e uccidere il Moon King.
Chiunque abbia giocato a un RPG giapponese (ad esempio Final Fantasy), sarà in grado di prevedere come la storia andrà avanti da lì: Kubo e Monkey / Scimmia si fanno strada lungo la mappa, attraversando ogni diverso tipo di terreno, beffandosi dei boss di turno in vari scontri e aggiungendo nuovi membri alla loro squadra nel percorso (vale a dire, uno scarabeo smemorato doppiato da Matthew McConaughey / Neri Marcorè).
Non bastasse la potente e struggente sceneggiatura che Marc Haimes e Chris Butler hanno scritto da un’idea di Shannon Tindle, Kubo e la Spada Magica sarebbe comunque uno spettacolo da vedere. Sono presenti singole sequenze in questo film – molte – che offrono abbastanza piacere per gli occhi da garantire appagamento per giorni. Il Moon King potrebbe sostenere la virtù dell’essere cieco in un mondo che ha visto troppe cose terribili da sopportare, ma lo splendore visivo messo in mostra qui è sufficiente a dimostrare che ha torto.
Debutto alla regia del CEO della Laika Travis Knight (un ragazzo che ha chiaramente prestato attenzione durante le produzioni precedenti della sua compagnia, e compone ogni splendida inquadratura con un chiaro intento narrativo), l’opera viene portata in vita con una cura maniacale per i dettagli. Gli animatori che l’hanno reso possibile sono dei veri maghi, ed è un piacere vedere il risultato. Si sorride vedendo come la squadra di Knight sia riuscita a utilizzare spessi fogli di carta per realizzare i capelli di Scimmia, e ci si meraviglia ammirando il modo in cui ondeggiano al vento.
Quando Kubo e i suoi amici sono costretti a combattere contro un gigantesco scheletro – il più grande fantoccio in stop-motion mai costruito – si può percepire tutto il peso della sua enormità e il pericolo che rappresenta per i nostri eroi. Innumerevoli film d’animazione sono stati ispirati da Hayao Miyazaki, ma pochi sono stati in grado di eguagliare le meraviglie scaturite dalla sua immaginazione. Il design è talmente ispirato che qualsiasi cosa di lontanamente derivativa (come la forma finale del Moon King) si erge come un terribile svista.
L’animazione più sorprendente ha qui però meno a che fare con l’opulenza di quanto non faccia l’intimità. La nave che Kubo evoca da un mucchio di foglie è impressionante, ma la pignoleria materna con cui Scimmia lecca i capelli del ragazzino fa un’impressione ancora più profonda. E’ il modo in cui l’anziana vedova in città ride quando parla di suo marito; è l’increspatura sul volto di Kubo quando recita e la sua scioccante battuta finale.
La tecnica a passo uno potrebbe sembrare un metodo masochista, ma la vitalità che riesce ad aggiungere a una pellicola del genere giustifica più che mai un processo così arduo. Kubo e la Spada Magica indossa con leggerezza la sua giapponesità presa in prestito – e sì, pur eccellente che sia il cast vocale scelto (per la versione originale ovviamente), è inevitabilmente un peccato che la Laika abbia sperperato un’occasione d’oro per scritturare attori nipponici o nippo-americani – ma la indossa per un enorme proposito. La singolare concezione orientale della morte presente nel film risuona attraverso ogni elemento della storia, mettendo a tacere le potenziali preoccupazioni circa un vuoto esotismo.
Conversando fluentemente con la filosofia estetica del Wabi-sabi, la Laika dota le sue creazioni dell’effettiva consistenza del tempo in movimento. La reale fisicità dei loro personaggi (meglio apprezzata in 3D) trasmette il senso altrimenti impossibile dell’impermanenza, e rivela che la stop-motion è il veicolo perfetto per una storia sulla bellezza di essere finiti. Il cinema ha esplorato l’aldilà quasi completamente praticamente fin da quando è stato scoperto, ma Kubo è così potente grazie alla precisione con cui articola queste idee immortali di transitorietà.
Pochi film hanno parlato in modo così eloquente del ruolo che i genitori possono svolgere nella nostra vita, come ci hanno plasmato prima che arrivassimo e come rimangono con noi dopo che se ne sono andati. Scimmia e Scarabeo possono sembrare un eccessivi in un primo momento (soprattutto il secondo, la cui comicità si fa più divertente e accattivante coi minuti), ma è straordinario vedere come questi personaggi si trasformino in catalizzatori per i ricordi che Kubo ha di sua madre e suo padre, promemoria che anche la memoria dei morti conserva la loro forza. “L’amore l’ha resa debole”, dicono le Sorelle della madre di Kubo, ma la storia del giovane musicista dimostra in modo magnificamente efficace quanto sia vero il contrario.
Non è mai facile guardare un’opera che taglia le nebbie della perdita con la precisione di una katana da samurai, ma Kubo e la Spada Magica è adornato da un grande rispetto per il suo giovane pubblico. Per i bambini che hanno perso una persona cara, la pellicola è pronta a fornire una voce essenziale per la loro tristezza, parlando loro con un candore e un’onestà che la maggior parte dei cartoni animati si fa invece in quattro per soffocare.
Per gli adulti in una posizione simile, il film potrebbe rivelarsi ancora più vitale. Il dolore è la cosa più disorientante che ci sia, e aiuta – tanto – vedere qualcosa che chiarisca così lucidamente quanto la vita sia tanto fragile quanto le persone sono infinite, e che le storie che raccontiamo su coloro che ricordiamo abbiano un modo di dirci qualcosa in cambio.
“I ricordi sono cose potenti,” viene detto a Kubo nelle fasi iniziale, e questo sentimento viene presto portato in vita in un viaggio davvero indimenticabile.
Di seguito il una scena di Kubo e la Spada Magica:
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