Voto: 5/10 Titolo originale: 功夫瑜伽 , uscita: 27-01-2017. Budget: $65,000,000. Regista: Stanley Tong.
Kung Fu Yoga | La recensione del film di Stanley Tong (con Jackie Chan)
30/03/2017 recensione film Kung Fu Yoga di William Maga
La star cinese è l'invecchiato protagonista di un'avventura che nel suo voler essere divertente e frenetica si dimentica i tempi comici, annegando nei clichè e nel cattivo gusto
C’è qualcosa di più triste che guardare l’inspiegabile tentativo di una superstar ormai non più giovanissima di rinverdire i vecchi fasti? Se siete cresciuti guardando i film Jackie Chan e avete imparato ad amarlo per i suoi tempi comici e l’accattivante goffaggine o per il suo stile di combattimento, Kung Fu Yoga vi lascerà con la tristezza addosso.
Questa prima coproduzione tra Cina e India inizia con una sequenza piuttosto scadente motion-capture ambientata nell’anno 647. Siamo nel regno di Magadha, dove un generale disertore sta combattendo le forze della sua principessa. Chan interpreta il generale della dinastia Tang inviato ad aiutare la sovrana. Si salta quindi ai giorni nostri, in cui Chan è il più grande archeologo della Cina, Jack Chan (…), lo stesso identico personaggio presentato anche nell’ultimo film del regista Stanley Tong, The Myth – Il risveglio di un eroe (2005).
Quando una professoressa indiana, Ashmita (Disha Patani), si presenta alla sua porta con una sgualcita mappa per i tesori perduti della dinastia Magadha, Jack e i suoi assistenti decidono di mettersi subito sulle loro tracce. L’avventuroso viaggio li porterà così da una destinazione esotica all’altra, dove dovranno fare di volta in volta i conti con nemici armati fino ai denti capeggiati da Randall (Sonu Sood), che vuole mettere le mani su un preziosissimo e favoloso diamante viola.
Kung Fu Yoga è un esercizio di mero accumulo che tralascia del tutto la qualità: è un tentativo di ritorno alle radici dello slapstick d’azione dell’epoca d’oro di Hong Kong di Jackie Chan, che assembla in modo casuale pezzi da I Predatori dell’Arca perduta, dalle commedie con furto in stile La Pantera Rosa e dalle pellicole meno amate della star cinese di metà anni 2000, come il già citato The Myth (del quale è quasi una sorta di bizzarro remake), con un l’aggiunta di una sequenza di battaglia che scimmiotta nel modo più povero il fantasy stile Il Signore degli Anelli, di uno sfrenato quanto approssimativo inseguimento tra bolidi di lusso in terra mediorientale alla Fast & Furious, dell’immancabile numero danzante scuola Bollywood coreografato da Farah Khan e di non uno, non due, ma ben quattro diverse sequenze che coinvolgono animali in brutta CGI gettati nella mischia per il solo gusto di farlo.
Sulla carta questi elementi avrebbero pure potuto sembrare buoni, ma Tong, che ha anche scritto la sceneggiatura, decide di puntare tutto sulla grande semplicità e sugli stereotipi (che suonano più razzisti che divertenti). Non ci troviamo davanti a un’opera che tratteggia adeguatamente – o credibilmente – nessuna delle due culture in gioco. E’ progettata solo come un giro senza pause sulle montagne russe, ma non quelle di Disneyland, quelle del Luna Park squallido e decadente in periferia.
E Jackie Chan non è più il ‘giaguaro’ di una volta, i 62 anni cominciano a pesare sulla sua frizzante energia scenica. Emblematica è una scena ambientata in una caverna di ghiaccio, in cui il talento cinetico della star prova a fare capolino, rimanendo però confinato entro entro certi limiti. Il suo tempismo non spacca più il secondo ora. E così, Stanley Tong carica – sciaguratamente – l’azione sulle spalle dell’imbalsamato cast di supporto (gli spaesati Aarif Rahman, Yixing Zhang e Amyra Dastur), che oltretutto scompare tra dialoghi superficiali – spesso in inglese (lingua neutra) – e nei rapidi e implacabili cambi di costume del film (tra i più bizzarri e di cattivo gusto della storia), che il regista abbraccia pienamente palesando il gusto per il kitch più sgargiante e appariscente.
Anche le avventure più cartoonesche però pretendono un minimo di coerenza, la cui assenza potrebbe garantire certo imprevedibilità, non mancassero completamente le emozioni e le risate che sarebbe lecito aspettarsi … Inoltre, non soltanto a parte una vaga menzione a una speciale tecnica di respirazione, il film non ha alcun legame di sorta con lo yoga del titolo, ma Stanley Tong avrebbe fatto bene a rileggere un po’ i libri di storia.
Una pellicola che parla dell’impero Magadha non avrebbe potuto/dovuto essere girata in location dove questo si è effettivamente sviluppato, come ad esempio la città di Patna? In definitiva, Kung Fu Yoga è l’equivalente cinematografico di quelle action figures taroccate che hanno il corpo di Batman, la testa di Goku e una foto di Naruto sulla confezione, malsanamente affascinanti ma che mai vi sognereste di comprare, di giocarci per 102 minuti.
Di seguito il trailer internazionale di Kung Fu Yoga:
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