Il classico del 1951 tratto dal racconto di Don A. Stuart anticipa sapientemente il connubio tra sci-fi e horror che John Carpenter avrebbe poi rielaborato a suo modo alcuni decenni più tardi
Ben prima del carpenteriano La Cosa del 1982, nel lontano 1951 un altro libero adattamento del racconto del 1938 di La cosa da un altro mondo (Who Goes There) di John W. Campbell Jr. (sotto lo pseudonimo di Don A. Stuart) riempì le sale americane di spettatori appassionati di fantascienza: il celeberrimo La cosa da un altro mondo (The Thing from Another World) diretto da Christian Nyby (Non c’è posto per i vigliacchi) e nientemeno che da Howard Hawks (che tuttavia compare nei crediti solo come produttore). Il film, in bianco e nero, la cui sceneggiatura fu scritta da Charles Lederer, conta su un cast di tutto rispetto, tra cui Douglas Spencer (Il cavaliere della valle solitaria), Robert Cornthwaite (La guerra dei mondi), Kenneth Tobey (Il mostro dei mari) e Margaret Sheridan (La gang dei falsari).
Insieme di molteplici suggestioni, La cosa da un altro mondo raggruppa molti differenti elementi tematici e visivi, riuscendo a rappresentare la silloge di alcuni dei caratteri essenziali già a quell’epoca consolidati. Anzitutto, protagonista della narrazione è un’oscura creatura aliena dalle sembianze antropomorfe, la quale raccoglie l’eredità per molti aspetti degli iconici Mostri Universal (il nostro dossier dedicato) che a partire dagli anni ’30 e fino agli anni cinquanta popolarono una nutrita filmografia horror di grande successo; in particolare, per conformazione fisica, come per l’incedere e l’aggressività, l’enorme extraterrestre ricorda molto la figura della creatura al centro di Frankenstein di James Whale (1931), senza però la componente umana e tragica che lo contraddistinguevano.
La sua natura ibrida però potrebbe anche riportare alla mente Il mostro della Laguna Nera (il nostro approfondimento sul remake mancato ad opera di John Carpenter). Allo stesso modo, seppur con differente declinazione, emerge un altro tema fondamentale che connotò la letteratura modernista fantascientifica e le sue filiazioni cinematografiche: la riflessione sulla liceità del progresso tecnologico e sui confini etici da porsi alla ricerca scientifica; esempio prototipico è proprio Frankenstein di Mary Shelley. Tornando alla pellicola del 1951, d’altra parte, l’umana hybris espressa nel distruttivo eccesso di desiderio di sapere a scapito dell’autoconservazione, era incarnata dal dottor Carrington, un barbuto e algido Cornthwaite, che per la sacra causa della scienza era disposto a sacrificare sé stesso e tutti gli altri e che addirittura “coltiva” una piccola piantagione di bacelli extraterrestri nutrendoli di sangue umano (da sacche ematiche).
Seppur dunque il deterrente sia costituito da una forza di causa maggiore, ben diversa è la declinazione di un motivo già reiterato della cinematografia horror e che verrà poi ripreso ed esacerbata da John Carpenter in La Cosa. Assai differente però è all’interno di quest’ultimo lo sviluppo del concept letterario, in cui la minaccia dallo spazio assume contorni assai più mutevoli e indefiniti di un Mostro Classico e in cui viene ricercato uno sviluppo più smaccatamente orrorifico e cruento. D’altra parte, i tempi e la società sono mutati e il cinema ne traduce su pellicola il cambiamento.
La cosa da un altro mondo è in ogni caso, senza dubbio, non solo tra i classici sci-fi più famosi degli anni ’50 (incassò peraltro quasi 2 milioni di dollari su mercato domestico, cifra rimarchevole per l’epoca), ma anche una pietra miliare imperdibile per coloro che vogliono avere una cultura completa della filmografia di tale genere.
Di seguito il trailer ufficiale: