Recensione libro + intervista | Cinema e Videogiochi di Riccardo Fassone
02/03/2017 news di Sabrina Crivelli
Dagli anni '80 ai giorni nostri, l'autore sviluppa una puntuale indagine sulle molteplici e reciproche influenze tra il settore cinematografico e quello videoludico
Sin dalla sua diffusione quale nuovo media al principio degli ottanta, è subito palese che il videogioco si sia confrontato con la coeva produzione filmica di largo consumo, fatto logico nell’iter di costruzione di un proprio linguaggio, come d’altra parte era già avvenuto per il cinema stesso ai principi del Novecento nei confronti di pittura, letteratura e teatro. Se infatti il videogame ha sin da principio avuto peculiarità tecniche, estetiche e narrative proprie, è pur vero che nella ricerca di un maggiore sviluppo in termini di contenuti e di forma, l’industria videoludica ha iniziato a guardare ai grandi Blockbuster hollywoodiani alla ricerca di spunti inediti, nonché per sfruttare un mercato che al momento era incredibilmente fiorente.
Dunque, due mondi uniti da affinità elettive, la bolla speculativa e il conseguente crollo del 1982-1983 non hanno posto fine a tale felice connubio, né hanno determinato un definitivo crollo del settore videoludico, ma hanno altresì inaugurato un nuovo inizio, connotato da una maggiore attenzione per la qualità, appresa l’amara lezione data dal fallimento di E.T. the Extra-Terrestrial (Howard Scott Warshaw, 1982) e di simili prodotti. In un successivo scambio di reciproci influessi, con il miglioramento della tecnologia e della grafica dei videogame, sono poi questi ultimi ad aver iniziato a loro volta a influenzare il vocabolario filmico, giungendo a pellicole come Hardcore! (Ilya Naishuller, 2015), ribaltando quella sudditanza che molti gli hanno attribuito nel tempo.
Parte dunque dal rapporto tra i due, approfondone le molteplici convergenze e gli attriti, Cinema e Videogiochi di Riccardo Fassone (Carocci editore, 2017), titolare di un PHD in Scienze e Progetto della Comunicazione presso la Università di Torino e ora assegnista di ricerca presso il medesimo Ateneo, dove si occupa di Teoria e Storia dei Videogiochi. L’autore, tra i membri fondatori del gruppo di ricerca «In gioco» e di «Game. The Italian Journal of Game Studies», ha nel suo saggio elaborato una panoramica del complesso intersecarsi dei due media secondo un approccio insieme storico comparativo e teorico, approdando a una disamina compiuta del suo evolversi nel tempo.
Anzitutto è infatti delineata una breve storia che principia dagli anni ’80, dagli adattamenti videoludici dei film di successo quali il sopramenzionato E.T., Star Wars: The Empire Strikes Back (Parker Brothers, 1982), o Halloween (Wizard Video, 1983), passando per il momento di svolta nel 1992 rappresentato da Doom di John Carmack che, seppure non fosse il primo, fu quello che portò in auge la tridimensionalità e la visuale soggettiva nel settore, cambiando in maniera netta l’esperienza di gioco e al contempo costituendo un modello visivo per il cinema. Sebbene, infatti, l’interesse della settima arte per il mondo dei videogiochi ha origine ben prima, nel 1982, quando l’immaginario di quest’ultimo diviene protagonista in Tron di Steven Lisberger, che segue per l’appunto le vicissitudini di un brillante programmatore (Jeff Bridges) risucchiato nel mondo virtuale; è tuttavia con Doom (Andrzej Bartkowiak, 2005), Gamer (Mark Neveldine e Brian Taylor, 2009) e ancor più con il sopracitato Hardcore! che vengono compiutamente integrate forme rappresentative tipiche dei videogame alla regia, complici l’uso di GoPro e telecamere ultraleggere che permettono un certo tipo di riprese.
Dopo il conciso excursus, il medesimo argomento è trattato secondo una prospettiva teorica, ossia vengono nei due capitoli seguenti affrontato le fondamentali questioni di linguaggio e di produzione di significato. Da una parte sono vagliati allora gli elementi di mutuo scambio tra sfera filmica e videoludica in termini di dispositivi estetici e sintassi e narrazione; dall’altra nell’ambito di una più ampia analisi sistemica, è preso in esame il processo stesso di creazione di significato all’interno dei due media, evidenziandone specificità e caratteri affini e riflettendo sul valore stesso, retorico o politico, conferito all’oggetto mediale da suo autore. In ultimo, è proposto quale case study Alien: Isolation (Creative Assembly, 2014), videogame survival horror uscito a due anni di distanza da Prometheus di Ridley Scott (2012) ed esempio di operazione transmediale che, pur discendendo dal franchise, non è accomunato da specifici sviluppi narrativi, ma presenta una certa autonomia, diventando così perfetto banco di prova per gli strumenti d’indagine prima esposti.
Abbiamo quindi intervistato l’autore del volume, per approfondire alcuni elementi chiave e curiosità, a partire dall’origine della passione per il mondo videoludico, ai migliori adattamenti filmici adattati da videogame, fino ai futuri approfondimenti del fruttuoso scambio tra i due media.
1) Da cosa è nato l’interesse per il mondo dei videogiochi che ha poi portato allo studio della materia a livello accademico?
Ho sempre giocato ai videogiochi, anche se non sono mai stato un vero “hardcore” gamer. Ho lavorato per un po’ di anni nell’industria dell’adattamento, occupandomi soprattutto di videogiochi. Quando ho iniziato il dottorato, dopo un percorso legato alla storia del cinema, ho pensato che sarebbe stato interessante approfondire aspetti stilistici, estetici e narrativi del videogioco. Ho conosciuto diversi studiosi italiani e internazionali che si occupavano già di questa materia e partecipato a un paio di convegni e ho capito che poteva essere la mia strada.
2) Come mai nella fattispecie hai scelto di approfondire in un’ottica multidisciplinare il rapporto tra cinema e videogame?
Principalmente perché ho una laurea in storia del cinema e ho sempre amato il cinema, probabilmente più di quanto ami i videogiochi. E poi perché le convergenze e le divergenze tra questi due media mi sono sempre sembrate estremamente affascinanti.
3) Quali sono i caratteri estetici, narrativi e tecnologici più importanti che il cinema ha derivato dal mondo videoludico?
In generale mi sembra che il cinema contemporaneo abbia in molti casi sperimentato l’idea di “virtual camera” tipica dei videogiochi: un punto di vista mobile, scorporato, fluido. C’è poi, in alcuni casi, una progressione “a livelli” molto chiara (ad esempio in un film come Izo di Takashi Miike) che è certamente di derivazione videoludica.
4) Tra le varie produzioni cinematografiche che attingono a diverso titolo dal videoludico, quali sono a tuo parere i titoli più riusciti e quelli meno? Perché?
In generale l’adattamento da videogioco a film è una pratica piuttosto sfortunata. Trovo interessanti gli adattamenti di Resident Evil, perché tutto sommato si inseriscono nella tradizione del film di zombie più che in quella dell’adattamento. Gli esempi deteriori sarebbero migliaia, a partire da Street Fighter, la cui bruttezza è leggendaria.
5) Dopo essere arrivati con Hardcore! ad un’estetica quanto mai vicina a quella che caratterizza i videogiochi, anzitutto nel first person shot e nei caratteri visivi del girato, esistono delle ulteriori lezioni da apprendere e sviluppi futuri per l’universo filmico? Quali?
Non saprei. Si parla spesso di cinema interattivo, quasi sempre con risultati molto deludenti. Penso piuttosto che il cinema potrebbe apprendere dai videogiochi dei modelli di tipo economico, come le microtransazioni. “Se vuoi vedere il resto del film, paga 99 centesimi” ecc.
6) Esistono possibili sviluppi per il cinema interattivo, possiamo aspettarci in futuro, con il progresso delle tecnologie, un’evoluzione dell’impalcatura narrava filmica che la avvicini alla più aperta struttura narrativa propria dei videogiochi?
Come dicevo in precedenza, il cinema interattivo è da sempre una specie di chimera mediale, che forse non interessa davvero a nessuno realizzare. Non credo ci sia niente di fondamentalmente sbagliato nella forma “chiusa” della narrazione cinematografica e quindi pensare all’interattività come a un’evoluzione è una fallacia secondo me.
7) Con il 3D e i visori di realtà virtuale ci sono nuove possibilità per sperimentare ulteriori ibridazioni? È possibile che in futuro cambi l’esperienza dello spettatore e il livello di iterazione?
Questo è possibile, anche se per ora ho visto per lo più tech demo di buon livello, ma pochi progetti davvero interessanti. Dipenderà molto dalla penetrazione della realtà virtuale e da aspetti prettamente economici.
8) Nell’ambito della Storia e della Teoria dei videogiochi, ci sono altri argomenti che necessitano di un lavoro di approfondimento? Quali?
In generale mi interessano le storie locali, che mettono in crisi il modello americano-centrico tipico della storiografia del videogioco. Si stanno facendo ottimi lavori in questo senso. E poi non si lavora mai abbastanza sugli aspetti problematici del rapporto tra videogiochi e gender, sulle diverse idee di mascolinità presenti nei videogiochi e nelle comunità dei videogiocatori.
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