Il regista dà vita a una peculiare home invasion, che in uno svolgimento troppo cerebrale perde di vista l'azione
Home invasion peculiare e dalla narrazione un po’ confusa, Mercy di Chris Sparling riesce a regalarci un twist finale davvero inaspettato, ma al contempo si ha la sensazione che ci sia qualcosa di incoerente nello sviluppo a piani temporali multipli, una forzatura tesa solo a sorprendere.
La storia procede, l’antefatto prima dell’assalto notturno è piuttosto esteso, ci sono quattro figli, Ronnie (Michael Godere) e TJ Mitchell (Michael Vincent Donovan) anche dell’uomo, Brad (James Wolk) e Travis (Tom Lipinski) di primo matrimonio solo della consorte. I primi due appaiono in scena quasi subito, parlano con il padre di soldi, che vuole tenersi l’eredità tutta e lasciare fuori i figliastri. Successivamente arrivano gli altri due, uno è un ex galeotto appena uscito di prigione, l’altro, accompagnato da una donna, l’unico che pare essere riuscito a costruirsi una vita migliore e meno squallida ed essere dotato di un qualche senso morale. Lo squallore sembra dilagare, nella casa spoglia, come nell’etica e nelle priorità dei membri della famiglia disfunzionale, dopo poco scopriamo che George è molto meno legato alla moglie in coma di quanto appariva in apertura e molto più ai suoi possedimenti, lo stesso vale per Ronnie e TJ Mitchell. I tre più volte ci vengono presentati come disposti a tutto per l’eredità e così ci viene fornita una seconda chiave di lettura degli eventi che seguiranno, un movente per ciò che accadrà dopo, ma sarà davvero così?
Tuttavia se la speranza è quella di imbatterci in uno slasher e in una buona dose di gore, la quasi totale assenza di sangue deluderà alquanto. Si tratta di un thriller piuttosto celebraloide, non ha tutta quella balocchevole fisicità che intrattiene gli amanti dello sgozzamento filmico. Si tratta invece di un racconto molto stratificato, strutturato in tre sezioni, l’iniziale presentazione dei personaggi, delle loro intenzioni e dei fatti, poi l’incursione degli uomini incappucciati vista da parte di alcuni di essi, infine gli stessi eventi, il medesimo lasso di tempo meglio approfondito, dove è mostrato un risvolto finale inatteso; il tutto è inframezzato da flash back e flash forward, giusto per aumentare ancora un po’ la complessità. I piani temporali diversi sono tesi a ricostruire quello che è davvero successo e se il modus è intelligente è proprio l’eccessivo indulgere nel manierismo, dimenticando tutto il resto, che lascia perplessi. E’ l’arrovellarsi in un montaggio non certo narrativo né rispondente a una logica cronologica che portato all’estremo, implica però in qualche modo il perdere di vista l’azione, di conseguenza quest’ultima è meno coinvolgente. Quest’ultima consiste perlopiù in un continuo girare in tondo senza meta, a cui si aggiungono un minimalismo dialettico non trascurabile e le riprese in gran parte in notturna o in ambienti bui, che aiutano a mantenere il mistero, ma concorrono anche a creare un eccesso di confusione visiva come nell’evoluzione della storia.