Un ottavo capitolo di luci e ombre, rassicurante e trito, che prova a rompere col passato e a rendere imprevedibile il futuro della saga, ma senza equilibrio
A un anno esatto dall’interlocutorio Rogue One (la recensione) e a due dal cripto-remake Il Risveglio della Forza, questo dicembre è il turno di Star Wars: Gli ultimi Jedi (Star Wars: The Last Jedi), ottavo capitolo della fortunatissima saga iniziata nel 1977 e secondo della terza trilogia (già …). Sappiamo tutti che a non parlare in termini entusiastici di ogni nuovo segmento preparato con grande dispendio di mezzi finanziari e di marketing dalla Disney si rischia di finire dritti in una delle categorie ‘hater’, ‘non capisci un ca**o’, ‘se non ti è piaciuto cosa lo commenti a fare’ o ‘ecco, è arrivato quello che vuole andare controcorrente per fare il figo’. Ma la galassia è bella perchè è varia (ancora per qualche tempo almeno …).
Il Primo Ordine – guidato in diversa misura dal Generale Hux (Domhnall Gleeson) e dal Leader Supremo Snoke (Andy Serkis) – conosce infatti la posizione dei ribelli superstiti – tra cui si annidano Leia (Carrie Fisher) e Poe Dameron (Oscar Isaac) – e un battaglione di Star Destroyer è costantemente sulle loro tracce, con il carburante della flotta che si sta esaurendo, pregiudicando quindi una fuga a velocità luce. Fortunatamente, Finn (John Boyega) e la sua nuova amica Rose (Kelly Marie Tran) pensano a un piano che potrebbe risolvere la complessa situazione.
Come gestire la disamina di un titolo che tanto, a prescindere da come se ne parli, incasserà milioni (probabilmente un miliardo) di dollari, il cui ennesimo sequel è a un passo dell’entrare in lavorazione e i cui spin-off continueranno a uscire per i prossimi X anni? Si dovrebbe prescindere da queste considerazioni, ma forse no. Ogni parere è naturalmente soggettivo, e come tale non andrebbe preso mai come oro colato.
Ma si possono pure trovare spunti per costruire un dialogo costruttivo no? Senza scordare inoltre che è assai facile parlare bene o male di un film quando tutti la pensano allo stesso modo (e allora, anche e specialmente in questo caso, perchè parlarne?). Più difficile è trovarsi in disaccordo e provare a convincere (di cosa poi …) l’altra parte con qualche argomentazione.
Ci sono la consueta introduzione ‘a scorrimento’, le musiche di John Williams (quelle classiche e quelle appositamente arrangiate per l’occasione), i cammei più o meno riusciti di personaggi del passato più o meno recente e più o meno attesi, un paio di duelli topici con le spade laser, un paio di missioni quasi suicide, la visita di nuovi mondi e città, Chewbecca + Millennium Falcon + ammiraglio Ackbar + C-3PO & R2-D2 + Leia & Luke oldies but goldies (come dicono in certi posti), gli effetti speciali pratici amalgamati con quelli in CGI (sulla scorta dell’intuizione di J.J. Abrams), il messaggio ecologista, gli ‘strangolamenti Sith’ in remoto, le razze animali aliene dall’aspetto buffo e/o dalla parlata incomprensibile (ottime per il merchandising) e soprattutto la lineare imperitura lotta del Bene contro il Male, tra sacrifici dolorosi e l’eternamente rinnovata consapevolezza che non bisogna mai smettere di sperare e di credere che Davide un giorno potrà abbattere Golia.
Serve altro a un film di Star Wars?
Non bastassero la sorprendente e inaspettata pochezza di Snoke e di Phasma (Gwendoline Christie), ci si mettono momenti improbabilmente comici che sembrano scimmiottare Balle Spaziali di Mel Brooks (vedere i primi 5′) e che toccano anche personaggi che nulla ci azzeccano, lezioncine moraleggianti sulla mostruosità del lucroso traffico di armi intergalattico gestito da una percentuale infinitesimale della popolazione (i ricchi chiaramente) e soprattutto dinamiche narrative fin troppo note e abusate, su tutte il penetrare all’interno di una nave dell’Impero per sabotarla e la fuga costante degli sparuti ribelli da un capo all’altro dell’universo dalla colossale armata nera (o bianca?), che sa sempre dove e come trovarli ma che non ha mai abbastanza mira per distruggere le astronavi (o avamposti o basi …) su cui per puro caso si trovano i protagonisti (tutte le altre comparse invece finiscono malissimo, senza che nessuno ci versi troppe lacrime).
Nemmeno Laura Dern, nei panni del Vice Ammiraglio dai capelli milka Amilyn Holdo riesce a lasciare un segno indelebile del suo passaggio.
Dove si colloca allora in questo quadro il regista – e sceneggiatore in solitaria – Rian Johnson (Looper)? Più coraggioso di Abrams, ha fatto probabilmente il massimo col materiale approvato da mamma Disney a disposizione (se così non fosse sarebbe sicuramente incorso nell’epurazione riservata recentemente al collega Colin Trevorrow, troppo ‘spocchioso’ pare), portando a casa il risultato alternando spunti ai limiti del blasfemo per gli stilemi della saga e puntate sicure, perdendosi tra lungaggini, momenti inspiegabilmente (auto)ironici e pathos mal giocato.
Minions Porg, delle quote rosa e delle minoranze sono prepotentemente lampanti, Johnson gestisce bene – a livello visivo – l’intrigante rapporto a distanza tra Rey e Kylo Ren, come pure la battaglia su un pianeta ricoperto di sale, dove eroi e cattivi lasciano tracce color sangue sulla superficie a loro passaggio.
E poi c’è Luke Skywalker. Hamill è più vecchio, più saggio e sempre avvincente avvolto nella cappa del personaggio che ha plasmato la sua carriera. Non è un eroe, ma un uomo in là con gli anni riluttante a utilizzare la Forza come un tempo. Il suo arco è affascinante ed è un esempio di uso raffinato di un personaggio classico per fare da ponte tra i vecchi e i nuovi capitoli.
Insomma, poteva andare meglio? Certo. Poteva andare peggio? Difficile. Star Wars: Gli Ultimi Jedi resta un capitolo di passaggio, che prende in qualche modo le distanze da quanto venuto prima e getta le basi per un nono capitolo più incerto e imprevedibile di quanto avremmo prospettato fino a ieri (anche se il ritorno di J.J. Abrams in regia … ).
Di seguito il trailer in italiano del film, nei nostri cinema dal 13 dicembre: