Voto: 6.5/10 Titolo originale: Heavy Metal , uscita: 07-08-1981. Budget: $9,300,000. Regista: Harold Whitaker.
Recensione story | Heavy Metal di Gerald Potterton
01/11/2019 recensione film Heavy Metal di William Maga
Nel 1981 arrivava al cinema lo sperimentale adattamento animato delle storie della seminale e avanguardistica rivista Métal Hurlant, col suo carico di invenzione grafica e violenza barocca
Piccola premessa. Fondata il 19 dicembre 1974 da Jean Pierre Dionnet, Moebius (al secolo Jean Giraud), Philippe Druillet e Bernard Farkas, la rivista Métal Hurlant ha segnato un nuovo corso e impresso un’accelerazione all’interno dell’evoluzione della bande dessinée non solo in Francia, La collaborazione più aperta e spregiudicata tra uno sceneggiatore con esperienze editoriali (Dionnet), due disegnatori importanti del calibro di Moebius e Druillet, e un amministratore, consentì alla testata di rompere gli schemi tradizionali e di inserirsi in un mercato certo assai più disponibile di quello italiano, con un discorso originale, incisivo, provocatorio. Gli autori ebbero agio di divertirsi a coniugare nella massima libertà e fantascienza, inconscio e insolito, violenza e orrore.
Le vecchie formule ne uscirono contaminate o stravolte, anche con punte d’esasperazione, eccessi di presunzione e disegni magari più belli che necessari o interessanti. Così Métal Hurlant divenne in breve tempo la pubblicazione leader nel settore del fumetto per adulti o per giovani intelligenti. Nello sviluppo non mancarono neppure errori di gestione, primo tra I quali l’eccessiva produzione di albi cartonati, causa della crisi economica e della conseguente ristrutturazione della rivista.
All’edizione francese si affiancarono, in tempi più recenti, un’edizione spagnola e una italiana — tradotta e stampata in Spagna — che è certo uno degli esempi più curiosi di ‘colonizzazione’ del fumetto. La coedizione statunitense nacque alla fine degli anni ’70, e fu Heavy Metal. E proprio da quella matrice, oltre che dall’interesse per un inserimento nel settore del disegno animato per adulti, sulle orme di Ralph Bakshi (Il signore degli anelli, American Pop) trova origine l’omonimo film.
Una decina d’anni dopo Fritz il gatto (1972), il fumetto per adulti ritorna ai fasti del grande schermo. Non è certo un cartone animato per bambini, Heavy Metal – diretto dal canadese, allora 51enne, Gerald Potterton-, che giungeva sugli schermi italici dopo aver suscitato interesse (e polemiche) negli USA e in Francia: non tanto per le scene erotiche che propone e per i mostri, gli zombi e i cadaveri sbudellati che affiorano qua e là, quanto per la violenza sadomasochista di cui è ripieno.
Una violenza barocca, esagitata, urlata a piena voce, anche se senza dubbio più catartica e meno subdola di quella innocua di cartoons tipo Tom e Jerry. D’altronde, Heavy Metal è dichiaratamente un «fumetto artistico per adulti», e va quindi giudicato come tale. È un film totalmente onirico, volutamente pazzesco, con un filo logico-narrativo molto esile.
L’idea centrale dei suoi 9 racconti (Soft Landing, Grimaldi, Harry Canion, Den, Captain Sternn, B17, So Beautiful, Taarna e poi Epilogo) non è affatto originale, perché si racchiude nella solita lotta fra il Male e il Bene. Ma è espressa in maniera se non altro curiosa: supponendo che nell’universo viaggi ‘ab aeterno’ una sfera, battezzata Loc-Nar, la quale condensa tutti gli orrori e le perfidie sprigionate dalle galassie. Ogni creatura anela a possederla, giacché ha la forma d’una gemma splendente, e c’è chi l’adora come un dio, ma chi è investito dalla sua luce resta fulminato e viene liquefatto.
Prendendo il via da questa funebre circostanza, Heavy Metal racconta alcuni episodi che confermano i poteri della sfera, e che si suppongono da essa stessa narrati ad una bambina alla quale il padre astronauta l’ha portata in regalo dallo spazio senza conoscerne le malefiche virtù. Dapprima in una New York semidistrutta, dove gli uomini convivono con esseri di altri mondi, un tassinaro che ha dotato la sua automobile d’un raggio della morte distrugge la ragazza cui ha salvato la vita perché ha tentato di truffarlo.
Poi, su un pianeta di uomini-bestia, un giovanotto prestante è indotto da un pederasta che aspira a divenire dittatore dell’universo a sottrarre la sfera alla regina ninfomane. Altrove, davanti ai giudici, un poveraccio giura il falso per denaro e diviene un gigante ma finisce punito. In seguito è la volta di un comandante d’aereo, che durante una battaglia precipita su un’isola abitata dai fantasmi degli aviatori giù caduti.
Dopoché uno scienziato e una stenografa del Pentagono sono stati rapiti da una nave spaziale pilotata da cocainomani con proboscide, e la donna ha scoperto gaudi inattesi giacendo con un robot, si assiste a quella che dovrebbe essere la fine della nostra razza, disfatta dalle armate di Satana.
Invece succede che un’amazzone dagli occhi severi, unica superstite del genere umano, in groppa d’uno pterodattilo sconfigga le forze del Male, distrugga la sfera, e si identifichi con la bambina dell’inizio. Almeno per una generazione, i demoni ‘non praevalebunt’.
Costato circa 9 milioni di dollari, scritto tra gli altri da Dan Goldberg e Len Blum (gli stessi sceneggiatori del coèvo Stripes – Un plotone di svitati di Ivan Reitman), basato sui disegni e le storie di Richard Corben, Angus McKie, Dan O’Bannon, Thomas Warkentin e Bernie Wrightson, musicato dall’autorevole Elmer Bernstein (a un passo dal creare la storica OST di Ghostbusters – Acchiappafantasmi) e con l’aggiunta d’una decina di brani che vanno dal pop jazz all’hard rock (ricordiamo i pezzi di Blue Öyster Cult, Nazareth, Chepa Trick e Stevie Nicks), Heavy Metal è un film da non prendere sottogamba.
Diseguale nella qualità stilistica dei suoi episodi, ma dove l’antico patrimonio di leggende e di fiabe, trasfuso negli incubi prodotti dal progresso tecnologico, e apparentato con gli echi di molti altri film fantastici (da quelli di Ralph Bakshi a Excalibur di John Boorman, da Guerre stellari a Barbarella di Roger Vadim), è un incubo liberatorio dai disegni coloratissimi e fantasiosi che trova in una competente equipe di disegnatori chi ha saputo rielaborarlo ed esprimerlo con costante invenzione grafica e frequente ironia.
Se è vero, come diceva un poeta visionario, che la via dell’eccesso conduce al palazzo della saggezza, qui siamo nel regno della sapienza: perché tutto è spinto al massimo degli effetti, al di la del futuro; nel contrasto fra la parola quotidiana e l’immagine delirante. O forse, più semplicemente, Heavy Metal, summa urlante della mitologia di quell’età, confermava a grandi e piccini le risorse offerte al cinema d’avventura dai maghi dell’animazione.
Di seguito il trailer internazionale di Heavy Metal:
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