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Voto: 8/10 Titolo originale: Manhunter , uscita: 14-08-1986. Budget: $15,000,000. Regista: Michael Mann.

Recensione story | Manhunter – Frammenti di un omicidio di Michael Mann

25/09/2019 recensione film di William Maga

Nel 1986 il regista dirigeva il libero adattamento del romanzo Il delitto della terza luna di Thomas Harris, scaraventando William Petersen sulle tracce del sadico serial killer 'Dente di fata'

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A tre anni di distanza da La Fortezza, nel 1986 il regista Michael Mann tornava nei cinema con Manhunter – Frammenti di un omicidio, un thriller sorprendente, inquietante, stilizzato e deduttivo. Non c’è quindi da meravigliarsi se negli Stati Uniti venne accolto piuttosto freddamente dal pubblico – al pari di Vivere e morire a Los Angeles di William Friedkin -, incassando appena 8 milioni di dollari al botteghino nazionale (il budget fu di 15 milioni). Questo film era infatti probabilmente troppo sofisticato nella forma e inconsueto nella struttura per fare concorrenza alle prodezze muscolari del coevo Cobra con Sylvester Stallone e consimili. Lo stile nervoso e barocco del regista era ampiamente noto già allora (grazie alla serie TV Miami Vice e a lungometraggi come La corsa di Jericho e Strade violente), ma sarebbe
un peccato ridurre Manhunter a un vuoto esercizio calligrafico. Perché il formalismo esasperato, qui, fa tutt’uno con l’intreccio giallo e con le psicologie dei personaggi e da solo non funzionerebbe; darebbe anzi fastidio con quel suo profumo di «Armani Style», ma fuso nella storia assume un ruolo di prim’ordine.

Manhunter - Frammenti di un omicidio (1986) posterLo spunto è da manuale (alla base c’è il romanzo Il delitto della terza luna di Thomas Harris). Scottato anni prima da un caso che lo mise a dura prova sul piano fisico e politico, il detective dell’FBI Will Graham (William Petersen) si è rifatto una vita in Florida con la moglie Molly (Kim Greist) e il figlioletto Kevin (David Seaman). Ma c’è in giro per l’America un maniaco sanguinario (Tom Noonan) – soprannominato ‘tooth fairy’ (Dente di fata) – che massacra famiglie intere in coincidenza con i cicli lunari.

Non c’è altro da fare che richiamare in servizio Graham, è lui l’esperto in ‘squinternati’, l’unico capace di scovare nuove tracce da seguire. Avrete capito che anche Graham, però, non ci sta del tutto con la testa, la sfida a distanza che ingaggia con quel maniaco che squarta le vittime con frammenti di vetro dopo averle allineate l’una vicina alle altre come in una macabra messa in scena è una sfida anche contro se stesso.

Sta qui l’intuizione del film nel fare del segugio uno Sherlock Holmes yankee sempre a un passo dal crollo nervoso e quindi più esposto alla strategia diabolica dell’omicida. Non è un caso, del resto, che il pazzo criminale che Graham arrestò anni prima e al quale ora chiede una specie di consulenza, il Dott. Hannibal Lecktor (Brian Cox), gli risponda con l’acre battuta «Vuoi ritrovare il tuo fiuto? Annusa te stesso!». Detto fatto. Sarà proprio annusando se stesso, cercando cioè di immergersi nella psicologia malata e immatura dell’assassino che Will Graham riuscirà in extremis — la luna sta per tornare piena — a sventare un ennesimo brutale delitto.

Poliziesco sul generis che balza da uno Stato all’altro degli USA poiché il maniaco agisce ora in Georgia e ora in Missouri, Manhunter – Frammenti di un omicidio è un congegno a orologeria che si perde volentieri nelle digressioni di una regia atipica, insinuante, che spesso contraddice se stessa (la descrizione dell’assassino ha momenti commoventi). Potrà pure non piacere questo detective fragile e testardo che usa il cervello al posto della pistola, ma bisogna apprezzare il progetto di Michael Mann, che è poi quello di rovesciare gli schemi classici del noir hollywoodiano per condurre lo spettatore verso un intenso coinvolgimento emotivo.

Lo stile — tutto un delirio di carrelli, campi e controcampi desueti, riprese dall’alto e filtri cromatici astratti — serve proprio a spezzare la banalità della ‘caccia all’uomo’ e a concentrare l’attenzione sugli indizi che il regista – e sceneggiatore – dissemina sullo schermo (come sceglieva le vittime il maniaco? E perché sapeva tutto delle consuetudini casalinghe delle famiglie trucidate?).

manhunter frammenti film 1986 william petersenIntessuto di non peregrine riflessioni sull’odierna società voyeuristica, Manhunter è dunque, nel suo genere, un piccolo capolavoro, alla cui felice resa contribuiscono la virtuosa fotografia del nostro Dante Spinotti, le minacciose partiture elettroniche di Michel Rubini e le calibrate prove degli attori (William Petersen, bello e irrequieto al punto giusto, è lo stesso che l’anno precedente, proprio In Vivere e morire a Los Angeles, spingeva la sua indagine verso l’autodistruzione, bruciando infine con essa).

Non è affatto facile sottrarsi all’emozione che trasmettono le immagini, sempre restituiteci a distanza ravvicinata con un persuasivo corredo musicale. Avvalendosi delle scenografie sontuose del Mel Bourne caro a Woody Alien, Michael Mann assume tutto il senso del racconto nella sua forma, stilizzata secondo modelli sofisticati che replicano per qualche verso, sul versante «giallo», l’operazione condotta da Adrian Lyne lo stesso anno col suo 9 settimane e 1/2. Prevale forse lo smalto, ma con una stringatezza di tempi e un’inventività figurativa d’insolita forza.

Insomma, chi preferisca l’arrosto al fumo potrà guardarlo con sospetto, ma chi è sensibile agli effetti spettacolari d’una messinscena che punta per tre quarti sui valori audiovisivi ha ragione di comprendere Michael Mann fra i piccoli maestri assoluti della sua generazione.

Di seguito il trailer internazionale di Manhunter – Frammenti di un omicidio: