Owen Campbell e Charlie Tahan sono gli ottimi protagonisti di un fosco coming of age che purtroppo non riesce appieno a dare un volto al Male
Ambizioso negli intenti, ma piuttosto banale nel portarli sullo schermo, Super Dark Times, primo lungometraggio diretto da Kevin Phillips, si limita a vagheggiare quella che avrebbe potuto essere un’intrigante incursione in una giovane mente criminale, ma resta solo in superficie e finisce per essere solo un vacuo insieme di buone idee senza forma definita.
Congerie di problematiche adolescenziali con un tocco macabro, Super Dark Times ha tutti gli ingredienti del teen drama, tr amicizia e fanciulleschi screzi per la stessa ragazza, Allison (Elizabeth Cappuccino). Intuizione intelligente, tuttavia, la pellicola messa a catalogo da Netflix vira repentinamente al ‘lato oscuro’, quando ai motivi ritriti e un po’ nostalgici alla Stand by me di Stephen King viene conferita una connotazione ben più psicotica. Da normale e ingenuo ragazzino ad assassino, il passaggio è brusco e accattivante, ma latita un’opportuna analisi psicologica che possa realmente motivare tale profondo cambiamento. Partendo con l’idea di un’indagine dei più oscuri lidi della psiche umana, i presupposti più che esaltanti sono però vanificati dall’inconsistenza nel raffigurare il turpe deterioramento di un animo travagliato che sceglie una sanguinosa via. Come si può passare dall’essere un liceale medio americano a serial killer? Tale pare essere la domanda di fondo, ma, eccezion fatta per qualche incubo, un po’ d’insonnia e qualche eccesso di rabbia, gli eventi sono tratteggiati solo a livello epidermico, mentre l’anima nera rimane celata tra dialoghi mediocri e qualche urlo, guardando solamente a distanza e frammentariamente al soggetto più interessante dell’intera storia; d’altra parte la prospettiva della presunta vittima, in uno sviluppo piuttosto farraginoso, non riesce nemmeno a costruire la giusta suspense. Intelletualistico, ma incapace di ottemperare ad uopo l’intellettualismo agognato, Super Dark Times vorrebbe essere insieme una riflessione sulla banalità del Male, come l’assai migliore Bowling a Columbine di Michael Moore (che infatti vinse l’Oscar nel 2003 tra i documentari) e il recente coming-of-age di un omicida seriale alla My Friend Dahmer di Marc Meyers, risultando però ben più confuso e caratterizzato da una rappresentazione assai più sommaria e abbozzata del presunto mostro.
Indiscutibile è che, in potenza, Super Dark Times avrebbe potuto essere un indie cupo, truce ed esaltante, capace di combinare ingenuità e pura malvagità, adolescenza e omicidio, ma non riesca ad andare a fondo nell’abisso, a costruire una credibile e spaventosa raffigurazione del Male, che invece resta lì solamente all’orizzonte, per emergere in alcuni immotivati momenti topici e poi tornare ad acquattarsi nell’ombra. Esiste in parte un crescendo, i giusti presupposti per la costruzione di una reale angoscia, ma è quasi come se si saltassero alcuni passaggi di tale discesa nella tenebra, e così l’entità mostruosa che ci attende diviene solo un vago miraggio rarefatto.
Di seguito il trailer originale: