La banalità del Male ha il volto di Dylan McDermott, padre di famiglia all'apparenza irreprensibile che cela una natura oscura e inaccettabile
Lento come una lama che affonda nelle carni, The Clovehitch Killer diretto da Duncan Skiles (The Last of the Great Romantics) e scritto da Christopher Ford è un thriller che avanza verso una certezza dolorosa, inaccettabile, ma che in fondo è conclamata sin dai primi minuti. Non è sullo stupore, su un meccanismo narrativo sorprendente o inaspettato che si fonda la profonda angoscia trasmessa allo spettatore, ma sulla sensazione, sempre più pressante, che il peggior incubo possibile si concretizzi in un’agghiacciante verità: un membro impeccabile della comunità e tranquillo padre di famiglia è invero un sadico serial killer.
A poco vale il tentativo di lui di spiegarle che il giornaletto libidinoso non è suo e, anzi, non l’ha mai visto prima. Presto la voce circola e lui viene tacciato di depravazione tra i suoi amici. Intanto però rimane un’incognita: di chi sarà davvero la pubblicazione oscena che ha scaturito tanto clamore? La ovvia risposta è che ad avere gusti così spinti sia quello che all’apparenza è il perfetto genitore e marito, Don (un irriconoscibile Dylan McDermott), che dietro la parvenza di uomo dalla indiscutibile moralità e guida per i boyscout locali, cela velleità erotiche – si potrebbe dire – ‘fantasiose’. Fatto inquietante, l’interesse per i ‘nodi’ lo accomuna al killer che terrorizza la zona. Una volta appreso il segreto paterno, l’immagine che Tyler ha di Don inizia a incrinarsi e, come ossessionato da un indefinito sospetto, comincia a ravanare in quelli che potrebbero essere i suoi nascondigli segreti. Come se le sue più oscure paure prendessero forma, pian piano prende forma un evidenza che lui stesso non osava nemmeno sfiorare con la mente.
D’altra parte, il silenzio, lo spaesamento e la paura, sono le naturali reazioni naturali, quando una persona vicina, amata e rispettata, si dimostra un crudele assassino deviato. Ne nasce un ritratto affascinante di un giovane che, incerto, ma coraggioso, combatte non solo le granitiche convinzioni della collettività in cui vive e di cui fa parte, ma riesce anche a trovare la forza di affrontare una figura genitoriale essenziale; e la giustizia vince sull’ipocrisia. Al suo fianco, personaggio ancillare, ma altrettanto sfumato, Kassi (Madisen Beaty), ragazza emarginata e sopra le righe la cui madre è scomparsa nel nulla, lo accompagna nell’indagine.
Altro polo del meccanismo narrativo di The Clovehitch Killer, Don costituisce se possibile un protagonista ancor più complesso nella sua duplice e ambigua natura. L’essenza si rivela piano, man mano che i sospetti acquistano sempre maggiore consistenza e il suo modo di agire, di parlare, perfino la mimica facciale diventano sempre più sinistri.
E’ una dialettica padre-figlio quella in cui si muove, e non solo. In principio, assistiamo a una rappresentazione pubblica e domestica mendace, una maschera, quella del bonario puritano, che l’uomo calza a pennello, ma da cui traspaiono di tanto in tanto impercettibili note stridenti. Poi, quando il suo bluff è quanto meno messo in discussione, la sua indole rapace, aggressiva, emerge: prima nella rimessa, un gesto violento e inconsulto sembra quasi una minaccia a Tyler; successivamente, in una scampagnata con fucili, l’intimidazione è ancor più palese.
Come reagireste se scopriste un giorno che il vostro adorato e affabile papà è uno spietato omicida seriale? Questa è in conclusione l’epicentro del discorso, sconvolgente e conturbante, portato avanti da The Clovehitch Killer, senza necessità di sequenze particolarmente scioccanti o visioni ravvicinate dei crimini (di questo si sente forse un po’ la mancanza). A completare il tutto, l’epilogo è un inno alla cinica e – socialmente – necessaria dissimulazione del vero.
Di seguito trovate il trailer ufficiale del film: