L'affabile Wil Wheaton trascina la mente instabile del solitario Brian Landis Folkins in una discesa verso l'abisso
La solitudine logora chi la prova. La mancanza di una amico, di un amore, di qualcuno su cui contare crea nell’individuo una sofferenza profonda e dilaniante, e conduce, in certi casi alla follia. Proprio questa necessità spasmodica di un rapporto con gli altri – fino alle sue estreme conseguenze – è il centro e il motore della narrazione di Rent-A-Pal, horror scritto e diretto dall’esordiente Jon Stevenson, prodotto da IFC Films e presentato a Sitges 53.
Protagonista è David (Brian Landis Folkins), uno scapolo di circa quarantanni che assiste l’anziana madre (Kathleen Brady) affetta da una grave forma di alzheimer. Prendersi cura di lei è un lavoro sfiancante, totalizzante, che occupa interamente le sue giornate e gli impedisce di avere una vita normale o di conoscere altre persone. L’uomo dichiara di essere felice di dedicarsi a un altro essere umano, di essere naturalmente portato a ‘dare’; eppure, nonostante ciò, è palese che ci sia un vuoto incolmabile nella sua vita, che sia infelice. Proprio per questo, si rivolge a un’agenzia di appuntamenti per cuori solitari, la Video Rendez-vous che, attraverso la registrazione di video-messaggi su VHS (siamo a Denver nei primi anni ’90) e un processo di matching, aiuta a trovare l’anima gemella (un Tinder ante litteram in pratica).
Lo straniamento dell’individuo e il rapporto malato con le nuove tecnologie – videocassette nella fattispecie – sono tematiche per nulla nuova nei thriller e nella fantascienza. Basti pensare alle implicazioni funeste della visione del misterioso filmato pirata al centro di Videodrome di David Cronenberg (il nostro dossier). Un film può quindi rendere folli? Rent-A-Pal si basa sul medesimo presupposto, abbandonando però le declinazioni smaccatamente fantascientifiche del cult del 1983 per deviare verso il dramma psicologico con derive psicotiche. La psiche, infatti, e non la scienza, in questo caso costituisce la causa ultima della discesa verso la pazzia. Il percorso è lento e logorante, fatto di piccole amarezze quotidiane, di disperazione, di disillusione, di piccole vessazioni che via via emergono dai dialoghi allucinati di David con l’individuo imprigionato nello schermo del suo televisore.
L’effetto è grottesco, surreale, ma soprattutto trasmette una profonda sensazione di squallore e tristezza. Un uomo di mezza età praticamente murato in casa con la vecchia madre e si prodiga per accudirla, ma non ha nessun riconoscimento per i suoi quotidiani sforzi. Anzi, la donna, che peraltro (come si desume da più di un dialogo) ha maltrattato il figlio a livello fisico e psicologico quando era un bambino, nemmeno lo riconosce e lo scambia il più delle volte per il marito deceduto dieci anni prima. L’insoddisfazione è palpabile in Rent-A-Pal; il risentimento sale, anche se David cerca di auto convincersi che la sua vita sia in realtà appagante.
Ne risulta un personaggio complesso, la cui sfaccettata psicologia è perfettamente resa da Brian Landis Folkins, il quale, pur non ricadendo mai nell’overacting o nel patetico, riesce comunque a comunicare tutto il disagio interiore che pervade chi incarna. Lo stesso vale per l’alienazione e la psicosi. Prima sono solo piccoli indizi: uno sguardo, una smorfia, una risata. Poi le stranezze diventano sempre più manifeste fino alla veemente esplosione finale, in cui tutto il risentimento sfocia in gesti estremi.
Ad acuire l’idea di malessere e monotonia è l’ambientazione asfissiante. Gran parte di Rent-A-Pal è girato tra le mura domestiche di una casa squallida e scialba. Negli interni vigono colori spenti (giallino slavato nel salotto, azzurrino nel il seminterrato dove David vive…), dove il mobilio è minimale e domina una luce diafana (di giorno e di notte). Il protagonista trascura sé stesso e i suoi bisogni, e l’ambiente in cui vive ne è una proiezione (e la fotografia di Scott Park ne cattura perfettamente l’essenza). In tal maniera, emerge ancor più il contrasto con le immagini proiettate nella stanza in semi-ombra dal televisore.
Da una parte, – come detto – la veste estetica come la caratterizzazione e lo sviluppo psicologico sono dunque estremamente curati in Rent-A-Pal e mirati a generare nello spettatore un crescente disagio e di rabbia, condividendo così il vissuto del protagonista. Dall’altra, anche i personaggi secondari, la madre in particolare, ma anche la centralinista di Video Rendez-vous dalla voce stridula e dai modi falsamente affabili (incarnata da Adrian Egolf) concorrono a incrementare il crescendo di angoscia e risentimento. Perfino la dolce e iper-disponibile Lisa (Amy Rutledge), che per qualche sequenza pare essere la risposta a tutte le preghiere di David, risulta in ultimo petulante e fastidiosa.
Sono gli scambi interpersonali con queste donne, i dialoghi e le azioni in loro presenza a nutrire la tensione che cresce blandamente. Non il ritmo, difatti, ma i dettagli nella caratterizzazione dei soggetti in scena e dei rapporti che tra loro si creano (tra David e Andy, in primo luogo, ma non solo) stanno alla base della suspense fino all’apice conclusivo, fatale quanto inevitabile (e facilmente prevedibile). A rappresentare il principale punto di forza di Rent-A-Pal non è allora il punto d’arrivo finale, né i colpi di scena, ma come viene raffigurato lo svolgimento degli eventi fino a quel momento … e la maestria con cui viene ricreata la miseria della mente umana e il degenerare nella follia non è cosa da tutti.
Di seguito il trailer internazionale di Rent-A-Pal: