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Voto: 8/10 Titolo originale: Videodrome , uscita: 04-02-1983. Budget: $5,952,000. Regista: David Cronenberg.

Riflessione | Videodrome: come David Cronenberg sovvertì le regole del noir thriller classico

20/07/2019 recensione film di Sabrina Crivelli

Nel 1983, il regista canadese prendeva una formula di Hollywood consolidata e ne rimasticava gli stilemi, sputando fuori qualcosa di assolutamente inedito

James Woods in Videodrome (1983) film

Ogni cosa nella vita di Max Renn (James Woods) d’improvviso sembra aver iniziato a pulsare … Tutto nasce da un filmato misterioso in cui una donna viene torturata. Poi arriva il videotape che una certa Bianca O’Blivion (Sonja Smits) gli ha inviato, che sembra addirittura respirare tra le sue mani, non appena lo tira fuori dalla custodia. Subito dopo è il turno della televisione, che all’apparenza gode all’improvviso di vita propria; ne vediamo le strane convulsioni, mentre lo schermo palpita al richiamo di una sensuale voce femminile: “Vieni da me, Max. Vieni da me. Non farmi aspettare …”. Ovviamente stiamo citando di Videodrome, cult diretto da David Cronenberg nel 1983 pieno zeppo di immagini crude, esplicitamente erotiche, scioccanti (o assurde …), un po’ come la sequenza appena descritta.

Un po’ come avveniva in Apocalypse Now di Francis Ford Coppola, la sua stessa narrazione si disintegra gradualmente, man mano che il suo moralmente dubbio protagonista, Max, si imbarca in un viaggio dentro al cuore delle sue stesse perversioni. La fascinazione per le origini di un misterioso segnale video presto sprofondano l’uomo in un mondo di corruzione, di innaturale sviluppo cerebrale, di allucinazioni e di omicidio. Proprio questo è il centro del Videodrome che dà il titolo al film, un programma estremo intriso di torture, sadismo, sesso (e molto altro), direttamente proveniente non dalla misteriosa Malesia, ma – fatto strano – dalla tranquilla Pittsburgh. D’altra parte, “Meglio in TV che sul serio!“.

Indubbiamente, la forza dell’immaginario dispiegato in Videodrome è irrefrenabile e le sue possibili interpretazioni, quali una riflessione sul significato della – all’epoca – ‘nuova era’ delle videocassette, una satira sulla censura dei film, oppure l’esplorazione della più oscura parte del desiderio umano – potrebbero portare a tralasciare il vero nucleo del discorso. In altre parole, i televisori di carne e gli orifizi sulla pancia che ingoiano pistole o nastri sono così accattivanti che sono diventati l’argomento principale del dibattito intorno al lungometraggio in più di un contesto; più della stessa storia.

Messi però per un attimo da parte tutti questi aspetti ‘sopra le righe’ cosa rimane? La verità è che si tratta sostanzialmente di una detective story nera, nonostante David Cronenberg sovverta i motivi tipici del sottogenere talmente bene da renderli per lo più quasi impercettibili a uno spettatore poco attento. Quindi, per comprendere come il regista, volontariamente o meno, abbia reso Videodrome la sua personale interpretazione del noir, è necessario iniziare passando in rassegna i caratteri fondamentali della suddetta tipologia e fare un parallelo con i classici che hanno segnato la sua storia.

Da La fiamma del Peccato a Videodrome

Affermatosi intorno agli anni quaranta tra i generi del cinema classico hollywoodiano, il noir era il perfetto connubio di storytelling all’americana e filmmaking all’europea. Spesso i titoli veniva ispirati da un romanzo hardboiled in stile Raymond Chandler, Dashiel Hammett o James M. Cain, ma erano anche influenzati da un’estetica contraddistinta da un marcato chiaroscuro e dai disorientanti angoli d’inquadratura del cinema espressionista tedesco.

Giusto per fare un veloce ripasso e avere un’idea più chiara degli elementi ricorrenti del noir tipico degli anni ’40 e ’50, potete trovare a lato un’infografica via BFI che riepiloga personaggi, luoghi e situazioni prototipiche (cliccate per ingrandirla). Anzitutto c’era il protagonista, un investigatore di norma avvezzo all’abuso di alcol e sigarette. Poi c’erano la fascinosa femme fatale, spesso infida, che era solitamente legata in qualche modo a uno spietato criminale.

L’azione era quindi collocata in una grande metropoli, molte volte a Los Angeles. Il copione era caratterizzato da una struttura labirintica, e un impenitente cinismo e pessimismo assoluto sulla natura umana vigevano indiscussi sulle pagine; infine, i dialoghi tra i personaggi erano concisi, eppure non di rado poetici e memorabili.

Facciamo adesso una rapida verifica per vedere quanti dei punti presenti nell’elenco sono riscontrabili in Videodrome. Basandoci sui criteri proposti dal BFI, abbiamo un investigatore dalla molto relativa integrità, ruolo incarnato proprio da Max Renn (il presidente di Canale 83, piccola emittente televisiva che offre ogni tipo di violenza e pornografia ai suoi spettatori), un criminale (preferibilmente un omicida), ossia Barry Convex (Leslie Carlson) che lavora per la Spectacular Optical, all’apparenza un produttore di occhiali, lenti ottiche e tecnologia militare, ma che cela attività assai più losche. Inoltre, c’è la femme fatale perversa, Nicki Brand (Deborah Harry), che il protagonista incontra durante un talk show incentrato sui media e di cui diventa presto amante.

L’altro ospite è invece il professor Brian O’Blivion (si tratta del “nome TV” del personaggio interpretato da Jack Creley), anche lui tassello fondamentale per risolvere l’enigma, che prende parte alla discussione attraverso uno schermo TV e che – come poco dopo si scopre – è in qualche modo legato alla produzione clandestina dei filmati di Videodrome. In ultimo, c’è il secondo personaggio femminile positivo, la figlia di quest’ultimo, Bianca O’Blivion.

Videodrome 2Possiamo altresì verificare facilmente nel film altri tratti distintivi del genere noir, come la trama particolarmente complessa e implausibile, un personaggio principale dedito ai vizi, l’umanità messa in scena che è indubbiamente marcia e corrotta, i dialoghi sono essenziali ma significativi, la fotografia è dominata dalla contrapposizione forte di luci e ombre opprimenti, un finale nichilista e senza speranza, con l’azione che è collocata in un ambiente urbano e piuttosto decadente e una locandina che contiene uno slogan di forte presa per attrarre il pubblico (“Prima controlla la vostra mente, poi distrugge il vostro corpo“).

Certo, ci sono anche degli elementi tipici mancanti, come l’assenza di flashback e digressioni, il fatto che non esista un romanzo pulp alla base della sceneggiatura, o che il regista David Cronenberg non sia un europeo emigrato negli Stati Uniti, ma un canadese, e che sia proprio il Canada il paese di produzione. Eppure, sono molte più le affinità che le differenze.

Nel complesso, se analizziamo le varie componenti di Videodrome, è immediato notare che sono innumerevoli le corrispondenze con i classici del noir come La fiamma del Peccato (Double Indemnity, Billy Wilder, 1944) e Il grande sonno (The Big Sleep, Howard Hawks, 1946). Anzitutto, prendiamo per un attimo in esame la storia: le indagini di Max Renn, sempre alla ricerca di nuovo e discutibile materiale d’intrattenimento per riempire il palinsesto notturno della sua emittente. Intento in tale attività, s’imbatte in uno dei filmati di Videodrome, intercettato dal suo tecnico Harlan (Peter Dvorsky). Si tratta di immagini estreme che mostrano le vittime, spesso donne, mentre sono brutalizzate da un gruppo di individui mascherati. Il tutto è collocato dentro a una stanza rossa, priva di alcun arredo o tratto distintivo, a eccezione di un muro d’argilla che funge da background e che rende il tutto ancora più disturbante e surreale.

VideodromeMax è disgustato, ma insieme irresistibilmente attratto. Si interroga sulle origini del segnale. Dopo aver scoperto che non viene registrato in luoghi lontani (Harlan afferma che riteneva fosse girato in Malesia …), ma nella vicina Pittsburgh, è sempre più ossessionato dall’identità di chi lo produce e dal perché. E soprattutto, può entrare affari con loro?

L’uomo assume quindi indossa quindi l’impermeabile del detective sui generis che indaga su Videodrome ed è sempre più disturbato dalle scoperte che via via fa lungo al percorso, ad esempio che la bella Nikki, oltre a dirigere la ‘posta del cuore’ in un’emittente radio, non solo è coinvolta, ma ha direttamente preso parte allo spettacolo e in esso è im-morta-lata. Attratta difatti dal sesso estremo, la donna afferma a un certo punto di volervi prendere parte, persuasa che si tratti di uno show sadomasochistico, ma scopre troppo tardi che va molto oltre a ciò che credeva.

Come anche Max presto apprende, non si tratta di finzione televisiva, ma Videodrome è reale. Lo ammonisce sin da subito Masha (Lynn Gorman), sua amica di vecchia data e produttrice di programmi per adulti. Secondo la donna, “quello che si vede nei loro show è tutto reale, non è uno spettacolo […] è la morte in diretta“; inoltre, “ha una sua filosofia, ed è questo che lo rende così pericoloso“. Tornando a Nikki, ovviamente il vestito rosso che indossa in apertura è un indizio sulla sua natura di femme fatale: è proprio lei ad apparire poche sequenze dopo in più di un filmato e ad attrarre sempre più Max nella trappola intessuta da Videodrome, fino al punto di non avere più vie di fuga.

Come nel già citato Il grande sonno, anche in Videodrome troviamo altresì un vecchio milionario che vive in isolamento. Nel film di Howard Hawks era il Generale Sternwood (Charles Waldron), che assumeva Philip Marlowe (Humphrey Bogart) per indagare su un caso di ricatto. Nel cult di David Cronenberg, invece, è il professor Brian O’Blivion, un filosofo e sociologo interessato al linguaggio dei media e alle sue implicazioni sulla collettività che ricorda le ricerche di Marshall McLuhan e che appare in pubblico solo attraverso delle registrazioni video, mai di persona. Più avanti nel minutaggio, scopriamo che lui stesso ha fatto uso di Videodrome e per questo ha sviluppato un tumore maligno al cervello, che oltre ad avergli provocato terribili allucinazioni, ne ha determinato la morte! Il professore, invero, esiste ormai solo in una forma virtuale, in una nutrita videoteca curata dalla figlia Bianca.

La ragazza rivela a Max che le allucinazioni che sta esperendo sono originate dal fatto che anche lui abbia visto un filmato di Videodrome; è qualcosa nel segnale con cui viene trasmesso che causa una degenerazione dei tessuti cerebrali. Ciò implica che, con ogni probabilità, anche il protagonista in breve tempo soccomberà agli ‘effetti collaterali’ della maligna trasmissione, esattamente come O’Blivion.

Questa specifica parte è assai simile a Due Ore Ancora, classico di Rudolph Maté (1949), successivamente rifatto da Annabel Jankel e Rocky Morton nel 1988. In questo caso, colui che stava investigando sul mistero veniva avvelenato e aveva circa 24 ore per scoprire il colpevole. Max, allo stesso modo, ha i giorni contati e si lancia in una caccia simile, scoprendo un covo di cospiratori e assassini.

Perfino alcuni dettagli secondari in Videodrome corrispondono ad alcuni caratteri largamente riconosciuti della filmografia noir. Max Renn è un discreto bevitore e fumatore, esattamente come i personaggi principali in buona parte dei titoli afferenti al genere. Inoltre, già è parte di un mondo fatto di pornografia e accordi illeciti sottobanco. La Toronto tratteggiata nel film da David Cronenberg è assai affine alla Los Angeles al centro de Il grande sonno dipinta da Raymond Chandler. Un consolidato malessere morale infetta ogni fotogramma di Videodrome, dall’illuminazione squallida che filtra nell’appartamento di Max alla fosca camera in cui i raccapriccianti filmati vengono realizzati. C’è infine un cadavere che svanisce nel nulla, altro elemento presente in noir come nel solito Il grande sonno o I diabolici di Henri Georges Clouzot.

Harlan, da dove viene?

Naturalmente, David Cronenberg si discosta anche dalle convenzioni del genere noir e del romanzo poliziesco abbastanza liberamente in Videodrome. D’altronde, il genere noir stesso ha confini piuttosto ampi e flessibili. Con il suo universo visionario di deliri carnali, allucinazioni viscerali e violenza, il regista è risalito alle origini, all’oscuro inconscio collettivo dispiegato dagli espressionisti tedeschi. Pensate solo a Il gabinetto del dottor Caligari (Das Cabinet des Dr. Caligari, 1920) di Robert Wiene, o a Nosferatu il vampiro (Nosferatu, eine Symphonie des Grauens, 1922) di Friedrich Wilhelm Murnau.

Non solo, Videodrome è anche ispirato a un’esperienza personale. L’idea di scegliere un programma particolarmente disturbante trasmesso via satellite è presa da suoi ricordi infanzia, quando David Cronenberg si sintonizzava dal suo televisore su strane trasmissioni provenienti da emittenti e luoghi lontani.

Per di più, è possibile che suo padre Milton Cronenberg gli abbia fornito degli spunti per la detective story al centro di Videodrome. Scrittore e giornalista, l’uomo contribuì infatti a diverse pubblicazioni pulp e fu lui stesso autore di racconti quali Greatest Detective Cases o Famous Crime Case. Stando a quanto riportato da Tim Lucas, che ha realizzato un ottimo commento audio all’edizione americana in DVD per la Arrow Films, il suddetto ha anche curato negli anni ’40 una rivista che si chiamava Big Detective Cases. Non è quindi folle pensare che il lavoro paterno abbia avuto una qualche influenza sullo sviluppo di Videodrome, che David Cronenberg ne fosse conscio o meno.

In ultimo, anche Philip K. Dick è da annoverare plausibilmente tra i modelli del filmmaker canadese. Ad esempio, in Un oscuro scrutare, lo scrittore parte dalla detective story tradizionale per creare qualcosa di fantascientifico e surreale. Se pensate poi agli adattamenti cinematografici dei suoi Blade Runner (Ridley Scott, 1982) e Minority Report (Steven Spielberg, 2002), avrete un altro paio di casi in cui sci-di e noir vecchia maniera si mescolano alla perfezione.

Videodrome 1Gloria e vita alla nuova carne!

Indiscutibilmente, gli elementi noir in Videodrome sono solo una parte del disturbante, viscerale insieme. Ciò che più affascina ancora oggi del film di David Cronenberg è proprio il come sia capace, senza alcuno sforzo apparente, di fondere diversi generi e stili. Esattamente come nei suoi precedenti lungometraggi – tra cui Il Demone sotto la Pelle, Rabid – Sete di sangue, Brood – La covata malefica e Scanners – erano ibridati horror e fantascienza, nell’opera del 1983 il regista si appropria di alcuni elementi del noir e della detective story per creare qualcosa di assolutamente personale e inedito.

Molti registi dovrebbero apprendere tale lezione cronenberghiana: è possibile riproporre qualcosa di estremamente familiare e travisarlo / sconvolgerlo fino a portarlo quasi al punto di essere una parodia di se stesso, oppure rielaborarlo a un grado tale da renderlo virtualmente irriconoscibile, almeno a un primo sguardo superficiale. Videodrome è la prova tangibile che non sono la caratterizzazione o il repertorio di genere che contano in una grande storia, quanto piuttosto l’immaginazione di chi la racconta, e il mondo in cui questi decide di sovvertire e allontanarsi dal modello originario.

Così David Cronenberg ha ribaltato quasi 40 anni fa la ‘forma’ del noir thriller trasformandola in qualcosa di insolito e grottesco: più Max Renn ci svela i misteri del Videodrome, più la sua connessione con la realtà inizia a sgretolarsi. D’altronde, proprio come il Professor O’Blivion dice al protagonista, mettendolo in guardia: “Dovrai imparare a vivere in questo mondo così assurdo!

Di seguito il trailer internazionale:

Fonte: DoG