Continua la nostra disamina di questo complicato e duro momento storico, provando a immaginare quali potranno essere le conseguenze nel mondo dell'intrattenimento
Dopo la prima e la seconda parte, proseguiamo il nostro approfondimento sulle possibili conseguenze della pandemia di coronavirus (COVID-19) sul mondo del cinema e dell’intrattenimento una volta che la situazione tornerà verso la ‘normalità’.
Giovanni Mottola (redattore)
Il genocidio di anziani provocato dal coronavirus comporta, oltre al dolore, una perdita improvvisa di memoria equiparabile all’incendio di una cineteca. Non solo nel senso metaforico della scomparsa di un patrimonio di storia e cultura, ma soprattutto nel senso che la generazione più colpita, quella dei settantenni, è stata in molti casi l’ultima ad aver conosciuto e visto molti film fondamentali per la storia del cinema e per quella del Novecento in senso più ampio, del quale la settima arte ha talvolta così ben raccontato le vicissitudini storiche e i mutamenti del costume da diventarne una parte fondamentale essa stessa.
Troppe case senza libri, troppe scuole piene di docenti ma prive di maestri hanno causato nei più giovani ignoranza e disinteresse per il passato, col risultato che persino coloro che oggi il cinema lo fanno di mestiere spesso non conoscono se non di nome quasi nessun film e nessun autore precedente alla loro epoca. Ecco allora che la morte dei vecchi, assai bruscamente incrementata dal coronavirus, corrisponde alla morte dell’ultima generazione ad aver fatto proprio un patrimonio cinematografico che non potrà più essere tramandato da chi non ha imparato a conoscerlo e ad apprezzarlo. Gli unici a trarne un triste vantaggio saranno quegli autori mediocri e poveri di idee, dediti a remake o scopiazzature più o meno dichiarate, che potranno beneficiare di un pubblico non preparato al confronto con le versioni originali e quasi sempre migliori.
Fin qui il discorso puramente anagrafico/culturale, ma è evidente che l’avvicendamento forzatamente accelerato delle generazioni avrà anche conseguenze più immediate e tangibili, specie se considerato in uno con un’eventuale modifica di abitudini legata al timore di contagi. In teoria verrebbe spontaneo immaginare che l’abbassamento dell’età media della popolazione provochi una più rapida modernizzazione della società; limitatamente al mondo dell’audiovisivo questa potrebbe manifestarsi per esempio con una battuta d’arresto per le televisioni generaliste a vantaggio di Netflix e simili, con ovvie ripercussioni anche sulla distribuzione cinematografica. La letteratura che però ha affrontato nei secoli il tema delle epidemie, a partire dal Boccaccio, ci ha dimostrato che a seguito di esse i superstiti sono andati sempre in una direzione opposta alla modernità, alla ricerca di una vita più semplice e meno mercantile, pur senza arrivare al ritorno alla condizione selvaggia dei primitivi prospettata da Jack London ne La peste scarlatta.
Innanzitutto, se il distanziamento sociale nei luoghi pubblici dovesse essere addirittura imposto per legge, tutte le sale cinematografiche potrebbero ritrovarsi costrette a una ristrutturazione dei posti, con l’eliminazione all’incirca della metà di essi e col risultato di un ribassamento degli incassi, salva la remota eventualità di rincarare i già costosi biglietti. A quel punto molti esercenti finirebbero col chiudere prima d’incorrere in un fallimento certo. Andrebbero poi ripensati completamente i festival, oggi veri e propri ammassi di persone alla rincorsa di un autografo o dell’ultimo posto disponibile per un’anteprima. Inoltre, a differenza dello spettacolo teatrale o musicale, il cinema potrebbe pagare il fatto di non essere un’esperienza dal vivo, dunque relativamente sostituibile con una visione domestica. In fondo, passata l’epoca della sala cinematografica come luogo di sogno e magia, essa è oggi non più lo spettacolo in sé, ma solo “la stanza” in cui vi si assiste.
In questo senso la paura suscitata dall’epidemia non farà altro che dare una picconata violenta a un edificio già crepato dalle alternative domestiche (le varie piattaforme) e dalla qualità sempre più concorrenziale dei televisori rispetto al grande schermo. A queste considerazioni bisogna poi aggiungere quelle sull’aspetto economico della questione, dal momento che almeno nel breve/medio periodo, citando Winston Churchill, passeremo da un’ingiusta distribuzione della ricchezza a un’equa ripartizione della miseria. Chiunque ne uscirà colpito nel portafogli, basti pensare che il settore del cinema ad oggi ha perso 5 miliardi di dollari, 2 dei quali in Asia, con ovvie ripercussioni per la distribuzione hollywoodiana su quel mercato.
Se l’austerity dovesse durare a lungo, essa provocherebbe un probabile ridimensionamento del fenomeno dei blockbuster hollywoodiani e una certa riduzione del numero delle produzioni, oggi abnorme a discapito della qualità. Soprattutto in Italia, dove per un po’ saranno destinati a spese più urgenti quei denari pubblici da sempre elargiti con tanta facilità a film che per il solo fatto di propinare le solite banalità impegnate venivano spacciati per opere d’interesse culturale. Purtroppo ciò comporterebbe anche la perdita del lavoro per tanti degli artigiani che il cinema rendono possibile. Scomparirebbe poi un gran numero di sale: tra esse resisterebbero incredibilmente soprattutto quelle piccole, di quartiere, o quelle che saranno capaci di offrire un servizio aggiuntivo ai pochi cinefili rimasti, come per esempio l’incontro con attori e registi o la riproposizione di opere introvabili. Per farla breve, pur con tutte le incertezze del caso, dobbiamo a malincuore cominciare a mettere in conto che il cinema come lo abbiamo sempre conosciuto potrebbe stavolta essere arrivato al capolinea.
Continua …