Voto: 6.5/10 Titolo originale: The Cured , uscita: 24-11-2017. Regista: David Freyne.
The Cured: la recensione del film horror di David Freyne
08/10/2017 recensione film The Cured di Sabrina Crivelli
Ellen Page è protagonista in un inedito zombie movie, che riflette su cosa accadrebbe agli infetti una volta che fossero stati curati
Difficile è, in un sottofilone filmico abusatissimo come quello incentrato sull’Apocalisse dovuta a una qualche pandemia, dire qualcosa di nuovo, sono molti. Riesce tuttavia a esplorare aspetti ancora non triti – pur ricordando molto la recente serie britannica In the Flesh – l’esordiente regista David Freyne con il suo The Cured.
Ad essere anzitutto inedito è il presupposto iniziale: non viene messo in scena il momento in cui tutto degenera, o la distopia seguente in cui pochi superstiti cercano di sopravvivere come possono. In questo caso non il morbo, “The Maze”, ma l’umanità ha vinto e la civiltà è in parte tornata al suo normale corso. Non solo; sconfitta la minaccia è stata perfino trovata una cura capace di riportare indietro la maggior parte (più del 70%) di colore che sono venuti a contatto con il terribile virus (da cui il titolo che rimanda alla loro guarigione).
Tuttavia il rinsavimento non è del tutto senza implicazioni negative: lo scopre sulla sua pelle Senan (Sam Keeley), che ritornato indietro dallo stato ferino in cui il contagio rabbiforme l’aveva gettato, ne ricorda ogni momento e si ritrova a fare i conti con la propria coscienza, con le terrificanti azioni compiute, tra cui l’uccisione del fratello.
Il senso di colpa lo ossessiona ogni volta che chiude gli occhi, sprofondando in continui incubi in cui rivive l’attimo terrificante del suo efferato quanto involontario gesto; ancor più visto, è costretto a tornare nella casa dove la vittima abitava con la moglie (una Ellen Page che indulge in una recitazione e una mimica un po’ troppo marcate, soprattutto nei frangenti tragici) e il figlio. A rendere ulteriormente penoso lo stato del protagonista è il pervadente astio, dato da un misto di paura e di vendetta, che la gran parte della collettività palesa per coloro che sono stati curati.
Molteplici sono quindi le problematiche affrontate da The Cured, che esula ampiamente le solite semplicistiche visioni del simil zombie movie alla 28 giorni dopo, per addentrarsi in lidi ben più profondi e meditativi. Anzitutto c’è l’interrogativo, tutt’altro che scontato, sulla possibile reazione post-traumatica di un ex-infetto, con tutta la declinazione di reazioni possibile, dal suicidio, all’auto-indulgenza all’incapacità di perdonare sé stessi, perché colpevoli di omicidio involontario – viene comunque vagheggiato il dubbio che una qualche volontarietà permanga -; anche qui il convivere con le proprie azioni non è certo semplice.
Poi c’è un secondo livello: l’assoluzione da parte della comunità in cui si è creata tanta sofferenza, tra un più logico scusare gesti involontari e l’umana incapacità di dimenticare. Infine c’è la paura di una nuova epidemia che, seppur non scientificamente supportata, è radicata in quell’irrazionale istinto di sopravvivenza che è antropologico quanto ferino. Ne scaturisce un moto di comune rigetto contro quella che è percepita quale minaccia. D’altra parte il diverso sempre è stato visto con sospetto, soprattutto dopo i grandi sconvolgimenti.
Inoltre, numerose domande poste, non portano mai a indulgere in risposte troppo facili. Ad esempio, la minoranza di coloro che sembrano incurabili sono ancora considerabili esseri umani? La riflessione etica, l’idea di una sorta di pietosa eutanasia, si unisce a quella sui meccanismi politici e decisionali, con tanto di manifestazioni e di repressioni armate, ambedue accomunate da violenza. Fino a che punto è giustificabile la forza, l’atto distruttivo verso cose e perfino persone?
Da entrambe le fazioni, quella degli emarginati che sono guariti, che degenerano in metodi terroristici, e quella della polizia, demandata a mantenere l’ordine, ci sono sostenitori delle maniere brutali. Le problematiche affrontate sono sicuramente complesse e decisamente attuali.
Molto c’è di emotivo, di riflessivo in The Cured, ma non esiste solo quello; a rompere la narrazione altrimenti piuttosto lenta, esistono anche momenti di azione, inseguimenti di infetti e salti sulla sedia decisamente inattesi. D’altra parte, prospettiva inquietante, non solo gli infetti tra loro comunicano e agiscono in gruppo, con una qualche razionalità, ma il medesimo senso del branco permane anche in coloro che sono stati curati quale eredità del morbo (li vediamo in una sequenza in cerchio che respirano innaturalmente all’unisono); e sono altresì riconosciuti dai contagiati come loro simili; in molti passaggi ci si interroga se non sia per certi versi così.
Vero è però che non siamo davanti a un horror ipercinetico, non sono la crudezza delle immagini o la tensione ad essere gli elementi centrali del film, ma David Freyne è più interessato alle molteplici implicazioni soggettive e sociali, avvicinandosi a Contagious – Epidemia mortale per l’insolita sensibilità con cui è trattato un soggetto che di norma è affrontato con ben minore approfondimento e molto più sangue e budella. Che sia preferibile o meno è soggettivo, ma indubbiamente gli si deve in ogni caso riconosce l’originalità, un fatto raro di questi tempi.
Di seguito una scena di The Cured:
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