Voto: 5.5/10 Titolo originale: La virgen de la tosquera , uscita: 27-01-2025. Regista: Laura Casabé.
The Virgin of the Quarry Lake: la recensione dell’oscuro coming-of-age di Laura Casabé
20/10/2025 recensione film La virgen de la tosquera di William Maga
Un viaggio tra desiderio, paura e magia nera raccontando l’adolescenza ferita nella Buenos Aires del 2001

The Virgin of the Quarry Lake (La Virgen de la tosquera) di Laura Casabé è un oggetto affascinante e contraddittorio: un racconto di formazione intriso di superstizione, desiderio e ferite sociali, che promette magia nera e orrore psicologico ma fatica a tenere insieme le sue anime.
Ambientato nelle periferie di Buenos Aires nel 2001, tra caldo opprimente e precarietà diffusa, il film segue Natalia – Nati per gli amici – (Dolores Oliverio), adolescente che sogna Diego (Agustín Sosa) mentre osserva con inquietudine l’arrivo di Silvia (Fernanda Echevarría), più grande, sicura di sé, capace di catalizzare sguardi e invidie. Accanto a lei vivono la nonna Rita (Luisa Merelas) e il piccolo Kechu, accolto in casa per necessità. Un litigio di quartiere con un senzatetto e il suo carrello insanguinato, rimasto come residuo maledetto sull’asfalto, alimenta voci e paure: si parla di morti al lago della cava, di un cantiere fermato, di una sorta di maleficio che abita il rione. Respinta e gelosa, Nati inizia a cercare risposte nei segnali e nelle pratiche stregonesche, convinta che un sortilegio possa spostare i desideri e piegare la realtà.
Da qui scaturisce il cuore del film: l’ansia di diventare donna in un contesto dove il corpo è misura di valore, la prova da superare per “stare al passo” con le coetanee, e al tempo stesso un terreno di potere ambiguo, dove la seduzione s’intreccia alla violenza simbolica e materiale.
La Casabé visualizza questa transizione con tatto visivo: luce sudata, ombre dense nelle case basse, riverberi acquatici del lago che sembrano promettere una rivelazione e poi la negano. L’attrazione verso Diego e lo scontro con Silvia sono il motore apparente; in realtà, ciò che brucia è la domanda di Nati sul proprio posto nel mondo, sotto l’ala della nonna e in una città che vibra di tensioni economiche e sociali. Quando il soprannaturale si affaccia, non esplode mai del tutto: rimane vibrazione, indizio, increspatura dell’aria. È una scelta coerente con il realismo magico a cui il film guarda, ma qui diventa anche limite, perché la promessa di terrore resta spesso sospesa.
Le tre direttrici principali – dramma adolescenziale, allegoria sociale, incursione nel perturbante – non si fondono con la precisione che servirebbe. Da un lato, la regia privilegia il clima: l’estate elettrica, il desiderio che cresce, la paura che serpeggia nei cortili e nei corridoi dei laboratori di informatica dove si chatta e si spiano gli altri. Dall’altro, il racconto accumula fili narrativi che appesantiscono l’andamento: i pettegolezzi sulle morti alla cava, il carrello “stregato”, le compagne in cerca di iniziazione, la parabola familiare di Kechu.
Molti elementi sono forti isolatamente – l’immagine del sangue sull’asfalto, la sicurezza abrasiva di Silvia, lo sguardo magnetico di Nati – ma l’intreccio li fa coesistere più che reagire davvero. La struttura derivata dal racconto breve da cui nasce l’adattamento si avverte: episodi incisivi e suggestioni potenti non sempre trovano una cucitura che li spinga verso un’unica necessità drammaturgica.
La protagonista tiene insieme il film più di chiunque altro. Dolores Oliverio compone una Nati inquieta e imperscrutabile, capace di passare dalla fragilità al controllo con un cambio di pupilla. Quando “succede qualcosa” – lampi di violenza, segni che sfiorano il prodigio – il suo volto regge il patto con lo spettatore e rende credibile l’idea che la crescita sia anche una negoziazione col mistero.
La Merelas, nei panni di Rita, porta un calore ruvido che ancora la storia a un quotidiano credibile; la Echevarría tratteggia una Silvia seducente e spietata, meno antagonista monolitica che specchio deformante dei desideri di Nati. Al contrario, le amiche della protagonista e alcuni rivoli del quartiere rimangono figure-funzione: servono a qualificare il contesto, raramente a farlo detonare.
Sul piano tematico, il film è ambizioso. Vuole parlare di iniziazione e perdita, di corpo femminile come enclave da difendere e da esplorare, di classi marginali che convivono con miti urbani e piccoli culti per spiegarsi l’insopportabile. L’Argentina del 2001 non è semplice scenografia: incide sullo sguardo dei personaggi e sulle loro paure. Eppure l’allegoria sociale e il fantastico non si saldano in modo pieno.
L’ansia del quartiere e la pressione di genere restano parallele alla trama amorosa, invece di rileggerla dall’interno. Ne deriva un andamento intermittente: momenti di tensione forte, immagini memorabili, quindi un ritorno a spiegazioni o transizioni che rallentano, fino a un finale violento e appagante sul piano sensoriale, ma percepito come arrivo tardivo più che conseguenza inevitabile.
Dal punto di vista formale, Laura Casabé mostra mano sicura: costruzione dell’atmosfera, gestione dei silenzi, invenzioni visive che sfiorano il delirio senza abbandonare il reale. È nella progressione che il film inciampa. L’equilibrio tra suggerire e mostrare pende spesso verso il trattenere: il soprannaturale resta in sordina troppo a lungo, e quando finalmente prende corpo è più un colpo di coda che un fiume che esonda. La violenza fa sobbalzare, ma non sempre nasce da un’architettura emotiva preparata; la paura affiora come un brivido locale, non come una corrente che trascina tutto.
Insomma, The Virgin of the Quarry Lake appare come un’opera a metà tra rivelazione e occasione mancata. Rivelazione per la presenza magnetica della Oliverio e per la capacità della regia di tradurre in immagini la febbre dell’adolescenza, con la città e il lago a funzionare da specchi impuri del desiderio. Occasione mancata perché il groviglio di piste narrative e l’indecisione nel calibrare l’elemento arcano diluiscono l’impatto, lasciando spesso la sensazione di una promessa sfiorata.
È un film che rimane nella memoria per frammenti – il calore, gli sguardi, il sangue, il lago, l’umiliazione e la vendetta – più che per la forza del suo insieme. Per chi cerca un racconto di crescita contaminato da ombre e credenze popolari, l’esperienza è ipnotica a tratti; per chi desidera un abbraccio pieno con l’orrore o una parabola sociale compatta, il cammino risulterà meno soddisfacente.
Il trailer di The Virgin of the Quarry Lake:
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