Voto: 6.5/10 Titolo originale: Bølgen , uscita: 28-08-2015. Budget: $5,904,067. Regista: Roar Uthaug.
Recensione story: The Wave di Roar Uthaug (2015)
12/10/2025 recensione film The Wave di Gioia Majuna
Il regista firmava un disaster movie sobrio e credibile, che trasformava la catastrofe naturale in un dramma umano intenso, visivamente potente e sorprendentemente emotivo

Una frana colossale si stacca dal monte Akerneset e provoca un’onda anomala che travolge il fiordo di Geiranger, costringendo un geologo e la sua famiglia a una disperata corsa contro il tempo per sopravvivere.
Il cinema catastrofico ha sempre oscillato tra due estremi: il kolossal spettacolare e l’intimismo drammatico. The Wave (Bølgen), diretto da Roar Uthaug, appartiene con decisione al secondo filone, trasformando il disastro naturale in un’esperienza umana e collettiva, più che in un’esibizione di effetti. L’onda, letteralmente e metaforicamente, diventa una prova di tenuta per individui e comunità. Il regista costruisce la tensione con pazienza, evitando le derive iperboliche del cinema americano, e ancorando l’emozione alla credibilità fisica del paesaggio e delle reazioni.
Il ritmo, calibrato in tre movimenti – attesa, impatto, sopravvivenza – regge per compattezza e coerenza interna. L’incipit, che introduce il geologo Kristian e la sua famiglia alla vigilia del trasferimento in città, prepara il terreno con una misura rara nel genere. Quando gli strumenti di rilevazione segnalano l’anomalia, la regia non accelera subito: prolunga la sospensione, creando un tempo d’attesa che amplifica l’angoscia. Quando la montagna cede e il fiordo si solleva, la catastrofe arriva come un’inevitabilità naturale più che come spettacolo annunciato.
Uthaug sfrutta al massimo le location reali, e la fotografia di John Christian Rosenlund restituisce la doppia natura del paesaggio norvegese: sublime e minaccioso. Il realismo visivo, ottenuto con un uso misurato degli effetti digitali, produce una tensione palpabile. Non è l’enormità dell’onda a impressionare, ma il modo in cui l’acqua invade spazi quotidiani – un corridoio, un’automobile, una cucina – cancellando l’idea stessa di rifugio.
Kristoffer Joner interpreta il protagonista con una fragilità credibile: non un eroe d’azione, ma un uomo comune che alterna esitazione e istinto. Ane Dahl Torp gli fa da contrappunto con una lucidità che resiste anche nel terrore. I figli rappresentano due modi opposti di affrontare la catastrofe, e la loro parabola diventa il cuore emotivo del film. L’intensità cresce proprio quando la storia si restringe: dal paesaggio immenso si passa a spazi chiusi, al respiro trattenuto, al corpo immerso nell’acqua come simbolo di rinascita.
Il film non innova la formula, ma la nobilita. Rinuncia alla retorica del sacrificio eroico e alla spettacolarità fine a se stessa, per privilegiare il senso di misura e la tensione morale. Qui la Natura non è un nemico ma un sistema vivente che ricorda la nostra vulnerabilità. L’acqua non punisce: riporta tutto a una scala più umana.
Il limite di The Wave è forse la riduzione del disastro a vicenda familiare, che priva la storia di respiro corale. Tuttavia, questa scelta funziona come lente intima sul concetto di perdita e di sopravvivenza. Il film si chiude su una quiete ambigua: la tragedia è finita, ma resta la consapevolezza che accadrà ancora.
Ad ogni modo, con la sua tensione costante, la coerenza visiva e la sobrietà narrativa, The Wave dimostra che il cinema catastrofico può tornare a essere un dramma dell’uomo dentro la natura, non sopra di essa.
Il trailer:
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