Dopo una lunga gavetta in TV, il regista esordisce al lungometraggio omaggiando a destra e a manca classici degli anni '80, provando a inserire nel mentre un blando messaggio sociale
La reputazione di strada di fratelli Frog riecheggia fino nei quartieri ‘bene’ in Vampires vs. The Bronx, ultimo titolo horror adolescenziale ad entrare direttamente nel catalogo di Netflix senza passare dai cinema, che inaugura la 30 giorni che ci condurrà dritti ad Halloween. Immaginatelo come uno Scappa – Get Out per paradolescenti, poiché i veri succhiasangue in questo racconto ambientato nel ‘terribile’ Bronx sono degli imprenditori edili senza scrupoli (e bianchi) che cercano di riqualificare il Concourse (un melting pot di ispanici e neri). Si vestono addirittura come ‘proprietari terrieri’. “I ragazzi di Murnau stanno rimasticando il quartiere”, avverte il suo gruppo Miguel (Jaden Michael), orgoglioso esponente della strada. L’agenzia immobiliare Murnau non cerca nemmeno di nasconderlo, usa la faccia di Vlad l’Impalatore come logo.
Miguel è conosciuto come Lil Mayor (tradotto incredibilmente come ‘Piccolo Sindaco’ nello straziante doppiaggi italiano) nella zona che, a malincuore, sta cambiando pelle. Il ragazzo è in missione per salvare la bodega di Tony, dove è praticamente cresciuto. È il leader di fatto di una banda composta dai suoi due migliori amici. Bobby (Gerald W. Jones III) è stato appena espulso dalla scuola per aver litigato e il predicatore locale (Method Man) lo sta tenendo d’occhio. Figlio di un gangster morto ammazzato, anche una gang criminale di Concourse lo sta pressando, visto che sono a caccia di nuove reclute, ma il ragazzo è riluttante. Luis (Gregory Diaz IV), o come Slim lo chiama “l’Harry Potter portoricano”, è invece un fanatico del cinema horror, di cui sa tutto. Appena arrivato da Tampa, dopo tre mesi di Disneyficazione forzata a quanto pare, è il più strambo del mazzo, e lo esprime in un soliloquio quasi shakespeariano alla Neil Simon.
Anche i criminali di Vampires vs. The Bronx sono tutto sommato educati, esprimendo dissenso per gli usi ‘vintage’ degli intrusi non morti con dei sommessi “Non ho detto che mi piacciono” invece che ricorrendo a un più plausibile fiume di slang e parolacce. Quasi tutti i personaggi, anche quelli minori, fanno battute o tirano frecciate sagaci. Ma Bobby ha probabilmente la migliore – e la più sottovalutata – del film: “Non quello che pensavo avresti detto”. Non sembra molto efficace, ma dopo la suspense nell’edificio, è una frase assolutamente perfetta.
Persino il famiglio personale del capo dei vampiri, Frank Polidori (Shea Whigham), proietta intorno a sé un’aura fredda e sobria. Mentre rinchiude i cacciatori di vampiri negli uffici della Murnau, nota come la luce del giorno possa essere nociva. Frank potrebbe essere un discendente di quel John William Polidori che nel 1819 presentò il racconto Il Vampiro a un concorso esclusivo in mezzo ai poeti Mary Shelley, Lord Byron e Percy Shelley (e che venne sconfitto da Frankenstein o Il moderno Prometeo).
Il primo personaggio che incontriamo in Vampires vs. The Bronx è però Vivian (Sarah Gadon), una donna bianca che si è trasferita dopo aver ricevuto lo sfratto nel suo vecchio quartiere. Si sta facendo le unghie per la prima volta nel Bronx da una manicure che, al contrario, sta per abbandonare dopo anni quel luogo. Ha venduto il salone e si sta trasferendo nei sobborghi. C’è un colpo di scena per il suo personaggio, ma lascia un po’ interdetti a pensarci bene.
I vampiri sono ‘standard’ e abbastanza insignificanti, ovviamente pallidi e abbastanza innocui, del tipo che potresti trovare nell’adattamento per la TV di La Notti di Salem di Stephen King. Fortunatamente, il libro fa una comparsata, e lascia il segno. È piuttosto inquietante come i vampiri in Vampires vs. The Bronx levitino e intanto mordano durante una sequenza introduttiva particolarmente impressionante ambientata in un parcheggio sotterraneo. Si sta anche dicendo come tutti sappiano che i poliziotti non farebbero nulla per trovare Slim. Non perché sia un gangster, ma perché è del Bronx. Alcune parti del film si presentano come una sorta di diario di viaggio che ci dice come arrivare a Sesame Street. I vampiri hanno una gerarchia e un piano. I ragazzini scoprono però molto (troppo?) facilmente come l’edificio che la compagnia di Murnau sta costruendo sarà alto 13 piani. Tuttavia, non è questa la rivelazione importante. Ogni piano conterrà infatti una dozzina di bare, il che significa che 156 vampiri affolleranno presto il 4 Train.
Più o meno come avveniva nello slasher Slice nel 2018 (la recensione), in Vampires vs. The Bronx sono i vampiri ad essere una lampante metafora di una minaccia molto reale e silenziosa: la gentrificazione. Nel film, non sono ‘solo’ dei vecchi uomini bianchi a comprare una proprietà nel Boogie Down. Sono esseri ‘antichi’ che rimangono tali succhiando (letteralmente) il sangue dalla brava gente mentre prosciugano un quartiere di quello che ha di speciale. Nessuno vuole vedere un Butter Store sulla 3rd Ave. La gentrificazione non è l’unica cosa che fa schifo nel Concourse. I vampiri, gli umani e il clero sono anche alla mercé di una minaccia ancora più insidiosa e altrettanto segreta: il product placement della Sprite. Apparentemente è la nuova acqua santa al di sotto della Tremont Ave.
La scena della ‘vestizione’ con le armi, però, è divertente. Se già non bastassero quelli più o meno velati a classici del teen horror come Ammazzavampiri e Scuola di Mostri, guardare i ragazzini rubare l’aglio e riempire i palloncini dell’acqua santa è un omaggio diretto a Ragazzi Perduti. Tra l’altro, Vampires vs. The Bronx mette ‘in discussione’ la scienza. Se il palloncino che i giovani protagonisti usano come ‘bussola’ per trovare i vampiri scoppia fuori da un nido di grande rilevanza, non dovrebbero scoppiare tutti i palloncini dell’acqua santa una volta entrati? E se è vero che i ragazzi si dimostrano dei veri monelli mentre la loro media di battuta sale un volta impugnata la mazza da baseball di Sammy Sosa, la la loro arma definitiva è il trash talk. Un seguace particolarmente fedele dei comandamenti dei vampiri apprende l’errore dei suoi modi solo quando uno dei tre gli fa notare che sarà la “puttanella dei vampiri per tutta l’eternità”.
Il regista, cresciuto nella Repubblica Dominicana, Oz Rodriguez (esperto di Saturday Night Live) vuole evidentemente mostrare il multiculturalismo e la forza della gioventù del quartiere considerato più povero e sfigato della città.
Se state cercando il nuovo Attack the Block – Invasione aliena, non lo troverete qui. Si, beh, forse sotto le due dita di zucchero e miele che ricoprono Vampires vs. il Bronx. Tra l’altro, il regista non ha fatto nemmeno bene i compiti, visto che nel 1995 Eddie Murphy aveva già rivendicato tutto quanto si trovasse a sud di Fulton Street per i succhiasangue in Vampiro a Brooklyn. Sorvolando anche sulla serie ‘reality’ What We Do in the Shadows di FX, ambientata a Staten Island, Vampires vs. the Bronx è niente di più che una versione leggera leggera e vagamente divertente di una storia vecchia e familiare. Va bene per una risatina serale di inizio autunno, ma non vi terrà certo svegli la notte, a meno che – naturalmente – non vediate negozi storici chiudere improvvisamente e nuovi Starbucks spuntare nel vostro isolato.
Di seguito trovate il trailer internazionale di Vampires vs. The Bronx, nel catalogo di Netflix dal 2 ottobre: