Il diario da Venezia 82 (2025), episodio 0: dove eravamo rimasti?
26/08/2025 news di Giovanni Mottola
Sulla Mostra aleggia lo scandalo del tax credit nel cinema italiano, tra film fantasma, sprechi di fondi pubblici e crisi del settore

La frase che abbiamo scelto come titolo ha un primo significato letterale: vogliamo infatti cominciare queste corrispondenze dalla Mostra del Cinema di Venezia dal punto esatto in cui avevamo terminato quelle della scorsa edizione, perché l’argomento con cui ci accomiatammo non soltanto è ritornato di prepotente attualità, ma ha avuti sviluppi clamorosi. Riproponiamo perciò, pur sapendo che nulla è più ridicolo di un’auto-citazione, il poscritto con cui si chiuse questa rubrica l’anno passato.
“Mentre scriviamo queste righe finali dalla Mostra, ci giunge notizia delle dimissioni del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. Non abbiamo la competenza né la voglia per commentare il suo operato complessivo e tantomeno le vicende che hanno portato a questa decisione. Ci limitiamo a segnalare che Sangiuliano, meritevolmente, aveva intrapreso una riforma finalizzata a rivedere i finanziamenti a pioggia nel mondo del cinema, dove si elargiscono milioni di euro di fondi pubblici, tramite contributi diretti e crediti fiscali, a opere che incassano poche migliaia di euro per il solo fatto che vengano realizzate dai soliti noti. Nel caso in cui si dovesse scoprire che Sangiuliano è stato vittima di un complotto, avremmo forti indizi su quali ambienti vagliare per trovare i suoi carnefici.”
Siamo fieri di aver preso le difese di Sangiuliano nei giorni in cui questi veniva messo alla gogna per uno scandalo palesemente farlocco, consistente in presunti tentati – ma non realizzati! – favoritismi a beneficio di una squinzia di nome Maria Rosaria Boccia. Com’è andata a finire? L’ex ministro, nel frattempo costretto alle dimissioni, è stato prosciolto da tutte le accuse; la signora rischia ora un rinvio a giudizio per stalking, lesioni e diffamazione ai suoi danni.
A questo punto qualcuno avrà capito anche il secondo significato del nostro titolo di oggi.
Non vogliamo paragonare Sangiuliano a Enzo Tortora, che pronunciò quella frase al suo ritorno a Portobello, dopo aver subito ingiustizie di natura ben più profonda. Le due vicende però si somigliano per la superficialità con cui i media e l’opinione pubblica si sono schierati per la colpevolezza del soggetto coinvolto, pur in assenza di qualsiasi valido elemento accusatorio. In realtà, come sospettammo, la ferocia con cui fu trattato Sangiuliano nascondeva il fastidio perché stava scoperchiando lo scandalo (questo sì) del sistema di finanziamento pubblico dei film italiani e si era messo a lavorare per porvi rimedio, alla faccia della potente lobby dello spettacolo.
Il tempo è stato galantuomo con Sangiuliano, perché nonostante le sue dimissioni lo scandalo alla fine è emerso ugualmente. Chi lo ha sostituito, Alessandro Giuli, ha infatti continuato il lavoro del predecessore, e non è stato neanche possibile farlo inciampare in un’altra Boccia perché, nel frattempo, la farsa si era trasformata in tragedia.
È accaduto infatti che un americano di nome Francis Kaufmann abbia ucciso la sua compagna Anastasia Trofimova, 28 anni, e la di lei figlia Andromeda, di appena 2 anni, nascondendone i cadaveri nel parco di Villa Pamphili, a Roma, dove sono stati ritrovati il 7 giugno scorso.
Quello che sembrava “soltanto” un caso di cronaca nera ha invece dato il la allo smascheramento del sistema dei finanziamenti. Si è scoperto infatti che il suddetto assassino, con il falso nome di Rexal Ford e appoggiandosi alla società romana Coevolution di Marco Perotti in qualità di produttore esecutivo, aveva presentato domanda per un credito fiscale relativo al suo film “Stelle della notte“, ottenendo la bellezza di 863.505,90 euro. Peccato che il film non esisteva.
Com’è possibile? Presto detto.
Il tax credit, come riformato nel 2016 dall’allora Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, prevede per le produzioni uno sconto fiscale tra il 20 e il 40% del costo del film.
Il credito fiscale, rivenduto a una Banca che ne tratteneva una quota, può poi facilmente essere convertito in denaro liquido. A questo punto ci si immaginerebbe che lo Stato, prima di elargire così grandi benefici, avesse previsto un rigido sistema di controlli. E invece no: il budget del film viene dichiarato con un’asseverazione prodotta da un revisore contabile scelto dal produttore stesso. Un po’ come la vecchia storia dell’oste che garantisce sulla bontà del suo vino.
Sul fatto che i costi dei film siano stati gonfiati non abbiamo prove, ma a pensar male ci si azzecca di sicuro. E non è finita qui.
Allo scopo di favorire investimenti in Italia, le produzioni straniere godono di due ulteriori agevolazioni rispetto a quelle italiane. Primo, non sono tenute a depositare copia del materiale già girato per dare una prova tangibile dell’esistenza dei costi di produzioni, ma soltanto a presentare il progetto e un elenco di costi; secondo, il credito elargito non viene ritirato in caso di mancata uscita del film nelle sale cinematografiche italiane (se vi siete domandati perché molti film nostrani escono al cinema per soli tre giorni, ecco la spiegazione).
Il caso Kaufmann ha fatto scoprire allo Stato di aver regalato 863.505,90 euro a un assassino. Nicola Borrelli, direttore generale Cinema e Audiovisivo del Ministero dei Beni Culturali, si è difeso sostenendo che la domanda rispettava tutti i requisiti necessari per accedere al credito. Noi gli crediamo, anche se alla fine in un sussulto di dignità si è dimesso. Ma considerando che il film non esisteva, il regista non era un vero regista e per di più si è presentato con un nome falso, beh ci domandiamo quali siano i requisiti e chi li abbia concepiti.
Dopo il caso Kaufmann, a poco a poco sono emerse tutte le storture di un sistema che gli addetti ai lavori avevano imparato benissimo a spremere, a discapito dei contribuenti.
Si sono scoperti altri film sovvenzionati ma mai realizzati, nonché moltissimi mai nemmeno usciti in sala. Ma in fondo qui siamo al di là del bene e del male, ai livelli di qualche Bruno e Buffalmacco che si fanno beffe di uno Stato Calandrino. Quel che davvero c’indigna sono i soldi percepiti non da chi i film nemmeno li fa, ma da quelli che li fanno. Una mirabile inchiesta condotta da Davide Perego del quotidiano La Verità ha mostrato i dati relativi a costi complessivi, quota elargita dallo Stato e incassi di tutti i film italiani dal 2018 al 2024. In molti casi, a fronte di alcuni milioni di euro di finanziamento pubblico, il botteghino ha risposto con poche migliaia di euro.
Naturalmente il cinema è arte, perciò non può essere il mercato l’unico metro di valutazione. Intanto però, negli ultimi 15 anni, il numero dei film prodotti è raddoppiato e la qualità media è crollata. Il cinema italiano, con la scusa di fare cultura, è diventato una vera e propria mangiatoia. Quando Sangiuliano prima e Giuli poi, prima ancora che si verificasse il caso Kaufmann, avevano iniziato a mettere mano al settore, la cricca dei cineasti, capitanata dal solito pasionario Elio Germano, li aveva trattati come dei censori in camicia nera.
Noi invece sosteniamo a spada tratta queste riforme ministeriali, e nulla ci toglie dalla testa che chi le combatte vuole soltanto mantenere in vita la greppia.
D’altra parte, già nel 2022, il Direttore della Mostra Alberto Barbera aveva lanciato un grido d’allarme, lamentando un numero esagerato di produzioni italiane annue e di infima qualità.
Quest’anno, pur premettendo che la Mostra non è il luogo ideale per affrontare un tema complesso come il tax credit, ha rincarato la dose, denunciando l’esistenza di 140 film italiani realizzati lo scorso anno e a tutt’oggi mai usciti. Le parole di Barbera, dato il suo osservatorio di respiro internazionale, sono sempre interessanti. Fatta la tara a una certa retorica che il ruolo di Direttore di festival gl’impone, in base alla quale alla fine il cinema trionferà sempre, egli stesso ha presentato la nuova edizione parlando di una situazione di confusione e instabilità a livello mondiale per quel che riguarda la Settima Arte.
Ai soliti motivi – crisi post-Covid, concorrenza di piattaforme e altre alternative etc. – si aggiungono i pericoli minacciati dall’arrivo dell’Intelligenza Artificiale. Non è un mistero che le produzioni hollywoodiane ambiscano ad acquisire i diritti d’immagine delle star, allo scopo di realizzare film senza più nemmeno prenderli per recitare.
Problemi gravi e attuali come questi mettono ancor più in ridicolo il dibattito di casa nostra, dove il cianciare di “cinema come presidio di libertà e democrazia”, se non fosse un discorso di convenienza personale, apparirebbe al massimo un retaggio novecentesco. Venezia 82 si apre dunque su questa situazione così disastrata, sia in Italia che per motivi diversi nel mondo intero. Non vorremmo essere nei panni di Barbera. E nemmeno in quelli del Presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco, che della Mostra è la guida suprema.
In fondo però, un episodio della sua giovinezza ci fa pensare che sia la persona giusta al posto giusto.
Nel 1994 il trentenne Buttafuoco, lasciata la libreria che coraggiosamente aveva aperto a Leonforte, si trasferì a Roma per dedicarsi a giornalismo e politica. Si sistemò in un seminterrato dove già abitava Italo Bocchino, col quale condivideva la militanza destrorsa. Nell’alloggio di fronte al loro aveva sistemato il proprio ufficio una prostituta trans dal nome d’arte Ruby. All’epoca queste esercenti pubblicavano sul giornale annunci comprensivi di indirizzo, senza tutte le attuali remore per la privacy. Peccato che, non essendovi un ingresso indipendente, questa Ruby avesse dimenticato d’indicare il citofono.
Non esistevano ancora i cellulari, perciò il cliente, una volta arrivato, non poteva chiamare per chiedere delucidazioni. Lo smarrimento durava però soltanto un attimo: quando tra i citofoni ne vedeva uno con scritto Bocchino, subito credeva di cogliere un indizio malandrino e premeva quello. E così a turno, spesso anche nel cuore della notte, Italo e Pietrangelo si prestavano a fornire indicazioni a voce su dove dirigersi e talvolta, stando attenti a non incorrere nel reato di favoreggiamento, persino ad accompagnare. Questa Ruby aveva molto successo, dunque lo schema si replicò numerose volte. Vista la tanta esperienza accumulata nel guidare chi sta andando a puttane, Buttafuoco ci sembra proprio la persona perfetta per occuparsi di cinema oggi in Italia.
Di seguito la presentazione integrale della Mostra del Cinema di Venezia 2025:
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