Visita alla mostra Fantasmi Urbani e intervista a Severino Salvemini
01/05/2017 news di Giovanni Mottola
Siamo stati alla galleria Nuages di Milano, dove fino al 13 maggio sono esposti gli acquerelli che ci portano in viaggio tra i cinema che non ci sono più
Prima che architetti e designer venissero elevati al rango di star eravamo avvezzi a una semplicità di luoghi e di oggetti che oggi ci capita spesso di rimpiangere. Uno di essi è la vecchia sala cinematografica, quella spesso polverosa e densa del fumo di sigarette che ancora era permesso di fumare, che Severino Salvemini, professore di organizzazione aziendale e pittore dilettante, ha scelto come ideale proseguimento di una serie di acquerelli da lui dedicati ai citofoni. Con la medesima tecnica ha ora realizzato 52 opere di piccole dimensioni (30×40 cm) che hanno come soggetto le facciate di sale sparse per il mondo, da lui ammirate personalmente o in fotografia, che oggi sono state ‘convertite’ o sono ridotte allo stato di rudere.
Un’iniziativa tanto nobile quanto densa di leggerezza, che la galleria milanese Nuages ha deciso di trasformare in un’esposizione a ingresso gratuito aperta fino al 13 maggio (le opere sono in vendite al prezzo di 600 euro ciascuna e il ricavato sarà interamente devoluto in beneficenza) dal titolo “Fantasmi Urbani – Viaggio nei cinema che non ci sono più“. Salvemini rievoca il momento di massimo splendore del cinematografo, quando le sale avevano uno schermo ciascuna (che poteva essere di prima, seconda o terza visione) e non si era ancora diffuso il diabolico fenomeno della multisala, che dà la sensazione di entrare in un grande magazzino. Ecco che allora, dopo la scoperta del CineFox di Caorso nel 2012, il Professore inizia un viaggio di quattro anni che lo porta a toccare con il pennello i cinque continenti. Per intraprenderlo si spoglia dei panni universitari e li sostituisce con i calzoni corti che indossava da bambino, quando s’innamorò del cinema non solo come spettacolo ma anche come rito e quindi come luogo (“quando non si andava a vedere un film, ma si andava al cinema” cit. del Mereghetti dalla prefazione al catalogo) e trova con questo lavoro un modo originale per riproporre quelle emozioni che da allora non ha mai smesso di provare. Non ha trasformato l’antica magia nella sua attività principale, ma essa ha comunque influenzato la sua strada professionale, spingendolo a far incontrare una disciplina tecnica e rigorosa come l’economia con l’arte e la cultura, regni della fantasia. Da qui è nato il Corso di Laurea in Economia per le Arti, la Cultura e la Comunicazione (CLEACC), che Salvemini ha fondato alla Bocconi e che è la miglior dimostrazione di come egli ami spaziare tra svariati interessi. Oltre che di pittura e spettacolo è appassionato anche di musica e ha curato fino a poco tempo fa per “Sette” (il settimanale del “Corriere della Sera”) una rubrica in cui raccontava i gusti dei personaggi famosi in materia.
Tra i suoi vi è una predilezione per Paolo Conte e non si fatica a crederlo, perché in questa sua mostra si ritrovano le stesse atmosfere che l’ “avvocato-poeta” evoca con i testi delle sue canzoni: come i giardini pensili, quelle sale hanno ormai fatto il loro tempo e rimangono di esse soltanto serrande abbassate, come in un Mocambo dove può entrare ormai soltanto un buon diavolo di curatore. Ma oltre a suggestioni contiane, per tornare al cinema in senso stretto, i suoi quadretti fanno pensare anche al ritorno al paesello del Totò di Nuovo Cinema Paradiso – come lui anche Salvemini torna sui luoghi amati, quelli calcati fisicamente e quelli visitati con l’anima – e ancor più la scena in cui gli tocca di assistere alla demolizione della vecchia sala del paese, alla quale erano legati i suoi ricordi della giovinezza e gl’inizi della carriera. Totò non poteva far nulla per salvare il suo cinema. Con la sua opera, Salvemini ha invece trovato il modo di rendere immortali luoghi che hanno smesso, o smetteranno prima o poi, di esistere.
A corredo della visita abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Salvemini:
Perchè è importante serbare memoria di questi luoghi un tempo così significativi?
Perché essi sono parte importante di una storia delle città, come tutti gli esercizi commerciali che hanno venduto merci significative per gli abitanti del secolo scorso. Inoltre i cinema hanno rappresentato, quando ancora non c’era la televisione, un’occasione di intrattenimento cruciale. Senza contare che l’architettura dei cinema del Novecento è una componente significativa dell’urbanistica della nostra civiltà.
Come sono stati scelti i cinema rappresentati negli acquerelli? Ne sono stati esclusi alcuni?
Questi cinema sono stati fotografati nel momento in cui la programmazione cinematografica si era esaurita e non era stata ancora modificata la destinazione d’uso. Non tutte le fotografie di cui ero in possesso sono poi state trasformate in acquerello, privilegiando invece quelle che per colore o per forma erano più suggestive.
Ha qualche ricordo particolare legato alla visione di film in sale scomparse?
Non particolarmente, perché i miei primi film li ho visti in sale cinematografiche meno interessanti esteticamente o troppo moderne nella loro architettura.
Va ancora al cinema o si è ‘aggiornato/adeguato’ allo streaming casalingo?
Normalmente non vedo film in TV, perché privilegio la “magia del grande schermo”. E sono un consumatore ad alta frequenza (almeno un film ogni 15 giorni).
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