Il regista Lior Geller esordisce al lungometraggio con un thriller urbano che permette al campione belga 59enne di mettere in mostra il suo lato meno atletico e più drammatico
La volta scorsa vi avevamo parlato del primo film da protagonista in carriera di Jean-Claude Van Damme, quel Senza Esclusioni di Colpi (la recensione) finito di diritto tra i diversi cult presenti sul curriculum dell’attore belga. Oggi vi raccontiamo invece di We Die Young, la sua ultima fatica. Dopo una presentazione al Mammoth Film Festival il 7 febbraio del 2019, aveva goduto di una release streaming negli USA a partire dal successivo 1 marzo, seguita poi da una distribuzione internazionale graduale. Una delle ultime tappe del percorso distributivo riguarda il nostro mercato – come spesso succede, ma volendo vedere il bicchiere mezzo pieno (e conoscendo come vanno le cose da queste parti) ci si può ritenere fortunati che almeno sia arrivato – dove viene trasmesso un anno dopo, ovvero il 13 marzo in prima TV assoluta italiana grazie a Rai 4, in attesa della distribuzione dvd e bluray targata Koch Media che partirà il prossimo 23 aprile.
We Die Young è il primo lungometraggio per il regista Lior Geller, che ne scrive anche soggetto e sceneggiatura, oltre che curare il montaggio e firmare due canzoni da compositore e performer. Geller cresce tra il New Jersey ed Israele, esordisce nel 2007 con Roads, un corto che fa incetta di riconoscimenti e gli permette addirittura di entrare nel Guinnes World Record per il maggior numero di premi vinti da uno short student film; successivamente realizza un documentario ed ha diverse esperienze televisive prima di questo esordio alla regia di un film.
La trama di We Die Young è semplice, probabilmente non brilla per originalità, ma si rivela funzionale al suo scopo emozionale. Una storia di dolore e malavita, il cui fulcro è la redenzione, un comune denominatore in cui confluiscono le vicende dei vari personaggi. Tutto ruota intorno al giovane Lucas che, dopo aver perso il fratello (in guerra, nella speranza di ottenere la cittadinanza americana), deve occuparsi del fratellino Miguel; Lucas è combattuto dalla voglia di scalare posizioni all’interno di una gang malavitosa come unica speranza di riuscire a guadagnarsi da vivere e tenere fuori Miguel, giovanissima promessa del baseball, da quell’ambiente. Nella sua orbita si muovono Rincon, spietato boss di quartiere che lo prende a cuore come un figlio, e Daniel, reduce di guerra (durante la quale ha perso l’uso delle corde vocali) che vive di lavoretti onesti e prende a cuore la sorte dei due ragazzi.
Lucas è interpretato da Elijah Rodriguez, che avevamo già visto un anno prima in Soldado di Stefano Sollima (la recensione), in cui era un personaggio per certi versi simile (inizialmente sembra quasi uno spin-off a lui dedicato …), salvo poi mostrare dei valori e compiere scelte completamente diverse. Come in Soldado, Rodriguez indossa un volto carico di rabbia nei confronti della vita, il ragazzo è taciturno, eppure comunica esplicitamente tutto il suo disagio. Sempre nel film di Sollima era presente anche David Castañeda, che qui interpreta Rincon, un criminale in ascesa diviso tra la crudeltà nei confronti dei nemici e i nobili sentimenti verso i legami familiari (soprattutto la sorella, ma anche legami acquisiti, come l’affetto per Lucas).
Un personaggio che compie un percorso di redenzione, decide di buttarsi in una battaglia che non è sua per esorcizzare i demoni della guerra a cui aveva partecipato in precedenza, salvare le vite dei ragazzi a costo della propria, come espiazione dell’orrore a cui ha preso parte in passato. Un riscatto che, dicevo, diventa in We Die Young punto d’incontro delle strade dei protagonisti, da Lucas che per amore di Miguel sceglie di mollare la malavita, allo stesso Rincon che, quasi in extremis, mostra magnanimità dopo aver sbattuto il muso sulla facciata dolorosa di una vita che credeva gli avrebbe portato solo gloria.
Lior Geller costruisce un credibile contesto di degrado e povertà, malavita di quartiere in cui gangster giovani e dalle misere origini credono di poter gestire faccende più grandi di loro. Cura il quadro, tra violenti riti di iniziazione e visi iper tatuati (anche se a volte si nota troppo la finzione di alcuni tattoo …). Il regista predilige rapidi movimenti di macchina, utilizza spesso la camera mano alla ricerca di un senso di realismo. L’approccio alla violenza in We Die Young è crudo, come dimostrano alcune scene di pestaggi a morte. Nonostante un mood settato su un tono prevalentemente drammatico e serioso, non mancano due o tre sequenze d’azione ben assestate.
In definitiva, We Die Young non raggiunge i livelli del predecessore The Bouncer (e viste alcune differenze di impostazione forse non è giusto neanche paragonarli), ma si rivela una visione emotivamente coinvolgente, scandita da un buon ritmo e una regia diligente, nonché una tappa interessante della carriera di un Jean-Claude Van Damme, che alla soglia dei 60 anni continua a mettersi in gioco con performance passionali e tutt’altro che facili. Che noi puntualmente apprezziamo.
Di seguito il trailer internazionale di We Die Young: