Diamo uno sguardo a un periodo unico nella storia dello studio cinematografico fondato nel 1923, caratterizzato da scelte insolite, tematiche più adulte e incassi altalenanti
Quando George Lucas iniziò a scrivere Star Wars nei primi anni ’70, la saga spaziale avrebbe dovuto nelle intenzioni andare a riempire quel vuoto lasciato dal western, dai film sui pirati e dalle fantasie sci-fi dei vecchi serial mattutini. “La Disney ha abbandonato il suo posto sul trono nel mercato dei bambini,” disse Lucas, secondo il libro di Peter Biskind, Easy Riders, Raging Bulls, “e nulla l’ha rimpiazzata”.
“Questo è un film della Disney” disse al tempo Lucas. “Tutti i film Disney incassano 16 milioni di dollari, quindi questo film farà 16 milioni. È costato 10 milioni, quindi andremo sicuramente in perdita al momento dell’uscita, ma spero di rientrare un po’ grazie ai giocattoli”. La previsione di Lucas era completamente sbagliata. Star Wars raccolse infatti più di 400 milioni di dollari alla sua uscita. Insieme al merchandising, il film di George Lucas non fu niente meno che un fenomeno globale, il tipo di successo che lasciò gli altri studi di Hollywood a raschiare il fondo del barile per i loro personali progetti sci-fi.
Aver rifiutato Star Wars, deve aver indotto molto più di un esame di coscienza alla Walt Disney Productions. Per gran parte degli anni ’70, la loro produzione di film sembrava essere entrata in un periodo di depressione. Mentre i film d’animazione come Robin Hood (1973) e Le Avventure di Bianca e Bernie (1977) furono un successo, i live action come Pomi d’Ottone e Manici di Scopa e Il Mistero del Dinosauro Scomparso furono deludenti al box-office. Ironia della sorte, il modello di uno scheletro di dinosauro proveniente da quest’ultimo film, rimasto dalle riprese agli Elstree Studios, è finito per essere usato come sfondo per i set in Tunisia di Star Wars. D’altra parte, un pubblico più giovane, in particolare i teenager, era alla ricerca di intrattenimento più sofisticato, e mentre Lo Squalo e Una Nuova Speranza facevano record d’incassi, i film dal vivo della Disney andavano sempre più in disaccordo con i gusti della gente. Per questo motivo, alla fine degli anni ’70 la Disney intraprese un nuovo approccio al film-making , sfociato in una serie di pellicole che, per gli standard dello studio, risultarono insolitamente dark.
L’ex giocatore di football Ron Miller assunse il ruolo di presidente della Walt Disney Production, durante uno dei suoi periodi più turbolenti. Nel 1978, la società si stava ancora riprendendo dalla morte del suo fondatore, Walt Disney, nel 1966, e di Roy O. Disney, nel 1971. Miller, genero del primo, lavorò come produttore fin da gli anni ’50, in film come Un Professore A Tutto Gas e F.B.I. – Operazione Gatto (un breve tentativo di avviare una sua carriera d’attore fu presto stroncato sul nascere da Walt).
“Ve lo dico io, candidamente”, disse Miller a Starlog in quegli anni, “sembra esserci un limite ai nostri prodotti. La fascia di età alla quale solitamente facciamo appello non ci garantirà le grandi presenze che altri studi riescono a ottenere”.
A tal fine, la Disney iniziò a lavorare sul film più costoso della sua storia: The Black Hole – Il Buco Nero (la recensione). I lavori per l’avventura sci-fi cominciarono a metà degli anni ’70, partendo come racconto inedito dal titolo Space Station One. Per anni, il progetto aveva continuato a rimbalzare tra gli uffici della Disney, con sceneggiatori che andavano e venivano e con il titolo che cambiò da Probe One al definitivo The Black Hole. Non fu fino al gennaio del 1978 che la pre-produzione iniziò sul serio e, a questo punto, Star Wars aveva ormai creato un solco di dimensioni planetarie attraverso la coscienza pubblica, per cui la sci-fi era improvvisamente il genere più amato. Il budget di 20 milioni di dollari, allora immenso, per The Black Hole non fu l’unico precedente che il film creò. Infatti fu il primo film targato Disney a guadagnarsi un Rating PG.
Questo potrebbe non sembrare una grossa cosa oggi, ma a quel tempo, era piuttosto inconsueto. Tradizionalmente, la Disney attuava la politica di distribuire solamente film G-Rated, cosa che li marchiò in modo rigido – per fare un esempio, quando la pellicola del 1950 L’Isola del Tesoro (Treasure Island) venne ridistribuita nel 1975, una ferita causata da un proiettile venne tagliata per evitare un Rating PG da parte della MPAA. Con The Black Hole, la Disney – o in ogni caso Ron Miller – stava effettivamente spingendo un film provocatorio. Molto prima che venisse terminato, cast e troupe discutevano già di quanto Black Hole fosse diverso da qualunque precedente film della Disney. “Immaginate…”, disse una truccatrice con l’intenzione apparente di catturare l’orecchio di un giornalista, “un film Disney PG-Rated!”.
“Non penso che ci sia qualcosa in The Black Hole che offenda qualcuno”, raccontò Miller a Starlog, prima di aggiungere che non sarebbe stato un problema se il film avesse ricevuto un R-Rating. “Se è buon film,” disse Miller con fiducia, “avrà successo indipendentemente dal visto censura”. Non tutti erano felici della nuova linea Disney tuttavia. Miller ammise di aver ricevuto lettere da persone che erano preoccupate che The Black Hole sarebbe diventato una sorta di macchia sulla memoria di Walt Disney. “Abbiamo ricevuto un sacco di lettere, e ne riceveremo molte di più,” confidò Miller. “Ne ho ricevuta una da un medico, donna, ed un paio di giorni dopo dal marito o figlio, che diceva che speravano in un flop della pellicola”.
“Questo potrebbe essere il nostro Esorcista”
Come produttore, Ron Miller continuò con il suo interesse nel portare progetti più “dark” alla Disney. Basato su un romanzo di Florence Engell Randall, Gli occhi del parco (la recensione) ci fece immergere nel puro horror gotico, con una famiglia americana che si trasferiva in una casa padronale britannica infestata da una presenza maligna. Con un cast eccellente, tra cui Bette Davis e David McCallum, il film fu afflitto da diversi conflitti nel dietro le quinte. Miller si scontrò spesso con il regista John Hough (Miller, ironia della sorte, voleva avere una parte più centrale in alcuni dei momenti più violenti), e il film finì per essere ritirato e distribuito nuovamente con un altro finale.
I toni horror di The Black Hole e di Gli occhi del parco proseguirono in Il drago del lago di fuoco (Dragonslayer), un film fantasy con alcune splendide sequenze animate da Phil Tippett. Dragonslayer fu la seconda joint venture tra Disney e Paramount, che avevano in precedenza unito le forze nel costoso Popeye – Braccio di Ferro di Robert Altman, il cui risultato fu il racconto sorprendentemente grintoso di un uomo contro un serpente gigante. Se la Disney aveva ricevuto numerose lettere per le parolacce presenti in The Black Hole, possiamo solo immaginare quello che potevano aver pensato nella scena di morte e sacrificio di Dragonslayer: in una sequenza iniziale, una giovane donna lotta con le sue catene per quella che sembra essere un’eternità, il sangue le scorre dai polsi, mentre un drago si avvicina per ucciderla. Per un breve secondo, pensiamo che lei possa sfuggirne, ma invece no, viene carbonizzata dal respiro infuocato della creatura. Dragonslayer fu tutt’altro che un successo, ma rimane un’opera superba per il suo aspetto, e il mostro di Tippett, Vermithrax Pejorative, è uno dei pochi draghi veramente imponenti visti sul grande schermo.
Anche Tron di Steven Lisberger, che sulla carta doveva essere un’altra avventura per famiglie ricca d’azione, adottò un approccio audace, caratterizzato da CGI innovativa e scene colorate e disegni astratti che non sarebbero affatto stati fuori luogo in una mostra d’arte moderna. Anche in questo caso, il film non arrivò ai livelli di Star Wars, ma il suo tentativo colorato di catturare “l’età d’oro delle sale giochi” si guadagnò un seguito molti anni più tardi.
continua … (la seconda parte)