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Voto: 6/10 Titolo originale: Butterfly , uscita: 13-08-2025. Stagioni: 1.

Butterfly (2025): recensione della serie con Daniel Dae Kim (su Prime Video)

13/08/2025 recensione serie tv di Gioia Majuna

Un prodotto stiloso e scorrevole; buona l'azione, ma il cuore è poco incisivo

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Butterfly è la tipica serie che sembra avere tutto: Prime Video, Daniel Dae Kim protagonista, un pedigree da graphic novel dei BOOM! Studios, un impianto spy-thriller moderno che incrocia la grammatica dei K-drama con l’efficienza delle produzioni USA, e un’ambientazione coreana sfruttata come vero valore aggiunto.

L’opening lo dichiara senza timori: karaoke su “Mr. Brightside”, inseguimento a rotta di collo per le strade di Seoul, costumi e cover-up in serie, coreografie serrate al ritmo di ABBA e K-pop. È un attacco frontale e, a suo modo, il picco spettacolare della stagione: non perché poi cali la qualità, ma perché fissa un’asticella che il resto dei sei episodi rincorre più che superare. Da lì in avanti Butterfly gioca su due piani, e la sua riuscita dipende dall’equilibrio – talvolta instabile – fra questi.

Il primo è l’azione itinerante, un tour coreografico che usa Busan, Pohang e Daegu non come sfondo da cartolina ma come spazi funzionali ai set: stazioni ferroviarie trasformate in arene, mercati notturni che offrono coperture e fughe, cantieri e cargo che diventano scacchiere verticali. Quando la regia sfrutta davvero gli ambienti, il risultato è teso, leggibile, “fisico”; quando invece subentra l’assemblaggio più televisivo (tagli rapidi, colpi di montaggio che “suggeriscono” invece di mostrare), l’azione resta godibile ma smussa il carattere, soprattutto se paragonata alla messa in scena più rigorosa che il pubblico ha imparato ad amare in altri action contemporanei.

È qui che Butterfly dialoga con modelli come Alias o Burn Notice e Covert Affairs: ritmo alto, world-building abbastanza trasparente, missioni che aprono varchi per rivelazioni future. Il controcanto è che, a forza di correre, qualche scambio si allunga, alcune battute suonano forzate, e il respiro “cinematografico” dell’incipit si assottiglia.

Il secondo piano è il cuore familiare: David Jung (Dae Kim), ex agente creduto morto, riemerge per sottrarre Rebecca (Reina Hardesty) agli ingranaggi della Caddis Private Intelligence, la società black-ops co-fondata con Juno (Piper Perabo).

Il dispositivo emotivo è potente: non c’è salvezza del mondo, c’è la salvezza di una figlia che ti crede cadavere e scopre che l’hai lasciata a 14 anni. La serie innesta il cliché alla Lone Wolf & Cub ma lo capovolge: il lupo anziano non scorta un cucciolo inerme; si trova accanto una Nightwing, non un Robin, una giovane assassina che sa muoversi senza di lui e che ha interiorizzato l’etica spietata di Juno.

Nei momenti migliori – l’artigianale makgeolli che sostituisce il soju in un brindisi di tregua, l’intervento di Rebecca in un corpo a corpo che sfocia in “Daegu-verso-Busan” – la serie trova la sua verità: scatta quella chimica spigolosa ma dolce che dà senso alla fuga, e la posta in gioco emotiva supera il gadget di trama.

daniel dae kim serie butterflyIl limite è che Rebecca a tratti rimane compressa dentro due etichette (docle e letale): la performance della Hardesty riempie i vuoti con sguardi e fisicità, ma la scrittura le concede meno spazio interiore di quanto conceda a David (che resta costantemente “nobile”, anche quando la sua biografia giustificherebbe più ambiguità). Se la serie avesse avuto il coraggio di sporcarsi di più con la sua potenziale sociopatia o con la reale colpa del padre, avrebbe guadagnato profondità senza perdere ritmo.

Sul versante antagonista, Juno è l’arma segreta: Piper Perabo modula una cura tossica che è al tempo stesso affetto strumentale e metodo di controllo. Non è un mostro monolitico; è un manager dell’emozione che sa usare Oliver (Louis Landau), figlio inadeguato e pedina fragile, come leva affettiva e difetto strutturale.

Il risultato è una villain complessa, una “madre” che arma la tenerezza e dimostra come il trauma familiare sia più affilato di coltelli e pistole. In parallelo, l’ecosistema si amplia con figure che promettono un layer politico (il senatore Dawson) e un layer clanico (il suocero di David, “Big Appa”), suggerendo che la seconda metà di stagione voglia far saltare assetti e lealtà per costruire un endgame meno lineare. Anche qui, però, la serie oscilla: quando sceglie la via più leggera – scorci più innocui, logiche elastiche, cliché di contorno – perde la possibilità di trasformare i colpi di scena in ferite.

Il confronto con i K-drama chiamati in causa non è un semplice vezzo citazionista. “Butterfly” prova davvero a mischiare melò e azione: duelli di lealtà, baci rubati, famiglie estese, padri-figli che si inseguono in nome di un passato irrisolto. A volte ci riesce, e allora la serie “scintilla” (la scena madre di rivelazione, il confronto che usa la tortura emotiva come arma più efficace della violenza fisica); altre volte la corrente non passa, e l’accensione resta promessa. Il paragone con l’action occidentale coevo la penalizza quando la coreografia ricorre a scorciatoie; il paragone con il melodramma coreano la penalizza quando teme l’eccesso e rientra nel seminato del “piacevole ma innocuo”.

Detto questo, Butterfly è solida dove conta per un pubblico generalista: 6 episodi che scorrono veloci, location vive e distinte, un protagonista finalmente al centro con Daniel Dae Kim carismatico e vulnerabile, un’antagonista memorabile, un impianto visivo lucido, un soundtrack pop globale che tiene insieme tono e ironia.

Dove può e deve crescere è nei vuoti di caratterizzazione (Rebecca), nel coraggio morale (lasciare che David paghi davvero le conseguenze delle sue scelte), nella variazione dei set (meno montaggi tappabuchi, più invenzione di messa in scena), nell’uso più incisivo dei layer politico-familiari che introduce sul finire.

Così facendo, potrebbe trasformare la sua formula da “buon intrattenimento da weekend” a spy-drama con identità netta. Per ora, Butterfly fa esattamente ciò che promette il suo titolo: resta sospesa tra un annyeong come saluto d’inizio e un annyeong come congedo, comincia e finisce allo stesso tempo, ti porta da Seoul a Busan e ritorno con stile, ma non sempre fa battere le ali abbastanza forte da sollevarti oltre l’azione e l’intrigo.

Se una stagione 2 sceglierà di alzare il rischio emotivo e di lasciare che i suoi personaggi si feriscano davvero (e guariscano male), allora sì, potrebbe davvero spiccare il volo.

Di seguito trovate il trailer internazionale di Butterlfy, disponibile dal 13 agosto su Prime Video:

Fonte: YouTube