Jared Harris, Stellan Skarsgård ed Emily Watson sono i protagonisti dell'ennesimo prodotto televisivo di assoluta qualità, capace di riflettere sul disastro nucleare del 1986 con fermezza
Neanche il tempo di riprendersi dal controverso finale di Il Trono di Spade, che la sempre eccellente HBO (una emittente che negli ultimi 20 anni ha regalato agli spettatori classici del piccolo schermo del calibro di I Soprano, Six Feet Under, Deadwood, The Wire, per dirne alcuni) manda in onda la miniserie in 5 parti Chernobyl. Un prodotto, quello creato e scritto da Craig Mazin e diretto interamente dallo svedese Johan Renck di qualità assoluta che è molte cose: la storia di un’immane tragedia del recente passato (siamo nel 1986), uno sguardo sulla oppressiva burocrazia che ha afflitto l’Unione Sovietica nei suoi anni del declino, una profonda immersione negli effetti terrificanti del nucleare (e cosa può fare per aiutarci o distruggerci). Ma, in definitiva, è soprattutto uno studio sul modo in cui una bugia concordata da coloro che detengono il potere può portare alla sofferenza di coloro che essi sarebbero per principio destinati a proteggere – e alle profondità a cui coloro che detengono tale autorità possono arrivare a sprofondare per proteggere una menzogna.
Sarebbe facile vedere Chernobyl – la cui sceneggiatura ha preso grande ispirazione dai resoconti degli abitanti di Pripyat, raccolti dalla scrittrice Premio Nobel Svetlana Alexievich nel libro Preghiera per Černobyl’ del 1997 – come un atto di accusa contro le politiche sovietiche degli anni ’80, o leggere le 5 ore come un attacco diretto all’Unione Sovietica (è anche queste cose, visto che inevitabilmente non può fare a meno di puntare il dito contro la ‘necessità’ di segretezza e l’arroganza insite nella struttura di comando sovietica, dai burocrati al KGB). Al suo cuore, però, questa miniserie punta più in alto: si tratta di uno sguardo su ciò che accade quando un Governo (qualsiasi) non è disposto ad ammettere le proprie colpe / mancanze. Il discorso di Valery Legasov in tribunale durante il quinto episodio – dal titolo Vichnaya Pamyat – mette ben a nudo questo. Si trattò di una tragedia evitabile, ma furono prese delle decisioni per risparmiare, e questo portò alla morte di migliaia di persone. L’insabbiamento che seguì fu assolutamente sovietico, ma non è difficile immaginare una qualsiasi altra superpotenza tentare di fare lo stesso per salvarsi la faccia davanti agli occhi del mondo.
La serie non ha lo scopo di terrorizzarci sull’energia nucleare (Craig Mazin stesso si è detto assolutamente favorevole al suo impiego, ma, almeno a giudicare dai commenti fioriti su Internet, potrebbe averlo fatto …), bensì di mostrarci cosa può accadere quando leader inaffidabili e tracotanti incorrono in enormi rischi quando si trovano per le mani un potere che non sembrano comprendere appieno. Viviamo in un mondo post-nucleare, in cui certe nazioni hanno abbastanza potenza di fuoco da distruggersi a vicenda più e più volte. In molti ormai non ricordano quasi più la paura della Guerra Fredda e hanno cominciato a considerare questo ‘eccesso’ di armamenti nucleari come parte della loro vita quotidiana. Guardando Chernobyl, si ottiene un’eccellente comprensione di quanto orribile possa essere l’energia nucleare quando va fuori controllo, per imperizia e/o superficialità umana. Immaginatevi quindi cosa succederebbe con una bomba atomica sganciata con un intento preciso.
Poi c’è la recitazione. Il sottovalutato Jared Harris (The Terror, Mad Men) è affiancato da un sofferente Stellan Skarsgård (Thor, Mamma Mia!), interprete di Boris Shcherbina, il Vicepresidente del consiglio dei ministeri e capo dell’ufficio per il combustibile e l’energia e dalla tenace Emily Watson (Le onde del destino), la quale raffigurando un personaggio creato ad hoc che incarna una fusione di diversi scienziati nucleari, Ulana Khomyuk, si fa portavoce del lato umano della storia. Osservare il volto sempre più preoccupato dell’attrice londinese mentre assiste impotente ai tagli dal punto di vista medico (e quando sente che l’impianto di Chernobyl era scarsamente equipaggiato per il test richiesto che ha poi scatenato il disastro), dà al pubblico un’idea abbastanza precisa di quanto possa esser stato realmente scioccante quel fallimento sistemico. Senza dimenticare il cast di supporto, con una nota speciale ai soldati Fares Fares, Alexej Manvelov e Barry Keoghan, al centro di una tremenda sottotrama che si dipana nella 1×04, The Happiness of All Mankind, e coinvolge l’abbattimento di animali contaminati.
Ma la chiave del successo della miniserie di Craig Mazin è che non c’è un aspetto in particolare che ne eclissi un altro. Le prove attoriali lavorano sincronizzate e in armonia (in questo, sicuramente, aiuta non poco il livello di talenti a disposizione, a cui è concesso di brillare singolarmente in più momenti – qualcosa che raramente accade nelle produzioni di Hollywood). I set scelti e gli effetti (in CGI e di make-up) contribuiscono a ricreare le atmosfere e una cornice perfettamente – dolorosamente – credibili e in grado di aiutarci a capire cosa sia successo a Chernobyl senza virare mai nel melodramma gratuito.
In definitiva, Chernobyl è una miniserie mirabilmente realizzata, ma è anche uno sguardo meravigliosamente complesso e amaro su un evento storico osservato attraverso un obiettivo moderno. Oggi sappiamo bene cos’è successo e cosa ha causato il disastro quel 26 aprile del 1986 (anche se, a quanto pare, la Russia starebbe pianificando una propria miniserie patriottica che racconterà la ‘vera’ verità … vedremo), e possiamo identificare il severo ammonimento che sta al cuore di tutto: quando i potenti sono disposti a sacrificare la sicurezza e le vite di coloro che sono sotto il loro controllo per i propri interessi personali, possono accadere disgrazie epocali.
Di seguito il trailer internazioanle di Chernobyl, in onda s Sky Atlantic dal 10 giugno: