Titolo originale: Game of Thrones , uscita: 17-04-2011. Stagioni: 9.
Riflessione | Il Trono di Spade: il potere e un finale dove tutto cambia, ma niente cambia a Westeros
21/05/2019 news di Redazione Il Cineocchio
L'analisi di uno dei temi cardine della serie HBO fin dal primo episodio ci spinge a domandarci se quella che abbiamo visto sia una conclusione dolce oppure piuttosto amara
In fin dei conti, Il Trono di Spade (Game of Thrones) si è rivelata una storia epica raccontata senza prendersi troppi rischi. Il finale visto nella 8×06 (la nostra recensione) è stato tutto sommato piuttosto soddisfacente per quella parte di fan che aveva investito tempo e speranze nei giovani Stark e che desideravano un qualche tipo di lieto fine per loro, ma si è anche rivelato un punto di arrivo che ha disatteso la promessa iniziale di coronare in altro modo la serie più popolare del decennio, ovvero di stupire gli spettatori sovvertendo uno dei più classici cliché del genere fantasy, ovvero che l’eroe deve sopravvivere per risolvere la situazione.
Come abbiamo visto, l’Eroe è sopravvissuto e ha portato a casa il risultato. Avremo pur perso Ned Stark già nel finale della stagione 1, ma il Trono di Spade nelle sue 8 stagioni su HBO ha potuto contare su un certo numero di altri potenziali beniamini. In questo senso, Jon Snow (Kit Harington), come successore di colui che lo ha cresciuto nel modo che più sarebbe stato importante, è stato la seconda possibilità di raddrizzare i Sette Regni che Ned Stark non ha mai avuto. Sfortunatamente, quello nello show è descritto come “raddrizzare il regno” assomiglia molto a quanto di più tradizionale la storia potesse raccontarci – e indubbiamente è stata un po’ una delusione, anche se non è stato qualcosa di particolarmente sorprendente, visto quanto era stato tradizionale GoT finora .
La serie termina con Bran (Isaac Hempstead-Wright) non seduto sul fu trono di spade e Tyrion Lannister (Peter Dinklage) come suo Primo Cavaliere, alla guida un gruppo di alcuni tra i personaggi più amati nelle vesti di mgliori consulenti di Westeros. È un finale confortevole, che finge soltanto di “spezzare la ruota”, come Daenerys (Emilia Clarke) aspirava di riuscire (molto inefficacemente …), ma che invece non fa proprio nulla del genere. L’oligarchia, una forma di governo in cui tutto il potere risiede nelle mani di poche persone o di una classe o un gruppo dominante all’interno della società, rimane viva e vegeta nei Sei Regni (oltre a Winterfell).
Gli showrunner David Benioff e D.B. Weiss presentano questo nuovo assetto politico come qualcosa di audace, sovversivo e pieno di speranza, quando, in realtà, è molto simile alla situazione ‘politica’ precedente, solo con a capo quei personaggi che ci è stato detto siano in qualche modo ‘i migliori’ per quei ruoli. Mentre Westeros non può avere una monarchia assoluta, nel senso che Bran non passerà ‘di diritto’ il potere a suo figlio o figlia, è implicito che, quando il giovane Stark morirà, la classe dominante al potere deciderà di nuovo chi sarà più adatto a governare tutti. E, se il series finale di Il Trono di Spade può dirci qualcosa a proposito, si tratterà di una conversazione decisamente veloce. Non dimenticando la grassa risata che tutti quanti si fanno alla proposta di Samwell (John Bradley) di dar voce alla plebe.
Lasciamo Westeros con un ragazzo adolescente e preveggente come responsabile di un intero regno, eletto in gran parte da persone della sua stessa famiglia e da altri membri appartenenti alla sua ristretta cerchia sociale di una classe superiore. Tyrion fa notare che Bran non avrà figli assetati di potere che possano in futuro causare problemi, ma che ne sarà della progenie degli altri? Chi può dire con certezza che uno degli altri membri del ristretto consiglio di potere non avrà un figlio o una figlia che vorrà di più del già immenso privilegio in cui nascerà?
Se Bran finisse per rivelarsi un governante tutt’altro che ideale, mettiamo caso tra quattro o cinque decenni, non ci saranno sul piatto altro opzioni se non le solite (cioè l’assassinio a mezzo ‘bacio della morte’). La precipitosa nomina di Bran, promossa principalmente da Tyrion – che si era dimostrato ben poco accorto nella scelta dei leader da seguire -, privilegia la conoscenza sull’empatia (perché Bran, come Corvo con tre occhi ha mostrato pochissima empatia, anche per le persone che un tempo amava), gli uomini sulle donne (ci sarebbe una perfetto Sansa seduta proprio lì accanto), e gli Stark sopra ogni altra cosa.
Il montaggio finale dell’episodio – dal titolo The Iron Throne – show suggerisce che il mondo sia adesso in mani più sicure, perché è nelle mani della famiglia Stark, la più nobile delle casate dei Sette Regni, ma questa “soluzione” vede ancora una famiglia detenere – praticamente da sola – un’incredibile quantità di potere. In quanto gentili, buoni e con buone intenzioni, come spesso sono stati gli Stark, sono una famiglia con simili valori, esperienze di vita iniziali e interessi. Non dovrebbero maneggiare così tanto potere nella Regione precedentemente nota come i Sette Regni.
Questo è il momento in cui, inevitabilmente, qualcuno salterà in piedi per dire qualcosa sull’accuratezza storica e su come non sia realistico che la democrazia – o qualcosa di ancora più radicale – venga lontanamente preso in considerazione in una serie fantasy. Si potrebbe, visto che spesso segue una contro-argomentazione, sottolineare che nel mondo di Il Trono di Spade si siano visti zombi, draghi e risurrezioni miracolose. Tuttavia, la convinzione critica da queste parti è che ogni storia raccontata riguarda il preciso momento in cui viene raccontata tanto quanto, se non di più, il tempo reale o immaginario in cui è ambientata. Questo show può fare tutto ciò che vuole. Non deve per forza seguire lo status quo, che dice che gli uomini dovrebbero governare e che il potere dovrebbe risiedere nelle mani dei ricchi, potenti e incestuosi, piuttosto che in quelle del popolo.
Viviamo in un mondo in cui il potere, che è ampiamente definito dalla ricchezza, è nelle mani di un numero sempre più ristretto di individui. Il Trono di Spade non è mai stato uno spettacolo televisivo a cui importasse davvero chi non ha già accesso al potere. Gli “sfavoriti” della serie, gli Stark, sono una delle famiglie dominanti dei Sette Regni.
David Benioff e D.B. Weiss si preoccupano della gente comune solamente quando sono vittime, come si vede nella Battaglia di Approdo del Re, in cui veniva ‘usata’ la vita di poveracci innocenti come modo per sostenere l’ “eroismo” di personaggi come Tyrion o Jon Snow che, ricordiamolo, sono stati strumentali nel rendere possibile quel massacro.
Quando è il momento di portare Tyrion o Jon Snow davanti alla giustizia però, nessuno dei due viene sottoposto a processo per i rispettivi ruoli avuti nella suddetta carneficina, ma per aver tradito e ucciso la loro regina. Il Trono di Spade tiene conto soltanto dei crimini commessi contro personaggi ‘di prestigio’. Tyrion e Jon Snow hanno entrambi dimostrato di essere poverissimi giudici di persone e scarsi utilizzatori del loro potere, ma sono ricompensati con ancora più potere.
In questa stagione conclusiva, ci sono state molte discussioni su come questo show abbia deluso il pubblico in merito a trame e sviluppo dei personaggi, ma, forse, la più grande debolezza arriva dal suo fallimento nell’esplorare correttamente uno dei suoi temi portanti: il potere. È un problema dal punto di vista narrativo quando il personaggio che è stato più articolato nelle sue critiche alla monarchia ‘d’ufficio’ e all’influenza corruttrice del potere sia un drago.
In conclusione, cosa ha da dire davvero questa serie in merito al potere? Che va bene che solo poche persone lo amministrino, purché siano prevalentemente maschi, prevalentemente bianchi, e che siano sul lato “giusto” di un storia ben raccontata. In altre parole: nulla di nuovo.
Di seguito trovate la storica sigla di Il Trono di Spade gorgheggiata dagli attori protagonisti e più sotto il video di commiato:
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