Titolo originale: Game of Thrones , uscita: 17-04-2011. Stagioni: 9.
Recensione | Il Trono di Spade: 8×06 – The Iron Throne
21/05/2019 recensione serie tv Game of Thrones di William Maga
Dopo 73 episodi, la serie della HBO chiude i battenti. Comunque la si pensi su come è stata portata a termine, resta una delle più intense cavalcate (a dorso di drago) della storia recente della TV
Il tempo vola e dopo sette giorni di attesa che sono volati veloci come draghi, è infine giunto il momento del commiato da Il Trono di Spade (Game of Thrones). Avevamo naturalmente ipotizzato che avremmo continuato a commentare ed elaborare l’episodio 8×05 (la nostra recensione) per molto tempo ancora ed è giusto dire che questo processo è ancora agli inizi, nonostante l’istrionismo online di fan che richiedono una riscrittura integrale della stagione 8. Se la stagione finale della serie TV più popolare del decennio ha indubbiamente avuto numerosi problemi, è stato nei suoi ultimi due capitoli, e specialmente in quello che ci accingiamo a commentare, che le trame hanno assunto dimensioni nuove e spesso amare. Alcuni passaggi potrebbero esser stati affrettati, altri avrebbero avuto bisogno di ulteriori dettagli, eppure – fate uno sforzo – questi due tasselli conclusivi sono forse stati i più vicini a catturare il tono e la visione di George R.R. Martin da quando Hodor ha fatto quella brutta fine.
Certo, anche in nella 8×06 – intitolata non casualmente – The Iron Throne c’è stata profonda tristezza, ma anche speranza e una grazia a lungo assenti nelle ultime due stagioni. Potrebbe non essere stato il finale che tutti volevano (non è certo stato quello che ci eravamo immaginati), ma è stato sufficiente a dare una chiusura appropriata, anche se non sbalorditivo, alle Cronache del ghiaccio e del fuoco.
Non si può quindi che partire, purtroppo, col tragico destino finale di Daenerys Targaryen (Emilia Clarke), orchestrato quasi sicuramente dalla mente dello scrittore americano, che ha guidato la sceneggiatura degli showrunner David Benioff e D.B. Weiss. La madre dei draghi si trasforma in un conquistatore altrettanto assetato di sangue quanto i suoi antenati. Una brutta conclusione per il suo arco narrativo, ma una tristemente credibile. Se è vero che la stagione 8 non è riuscita a pianificare al meglio il momento preciso della sua ‘svolta’, è più difficile contestare che non si potesse intuire guardando alla sua storia, una monarca che ha sempre abbracciato il mantra del Fuoco e del Sangue del motto della sua casata.
Molti sono gli indizi disseminati in passato sulla sua volontà di soddisfare il desiderio di suo padre di “bruciarli tutti”. Daenerys fin dall’inizio ha minacciato di bruciare città fino alle macerie coi suoi draghi una volta che fossero cresciuti, e ha promesso ai Dothraki come loro Khaleesi che avrebbero potuto spartirsi il lauto bottino dei Sette Regni solo se l’avrebbero aiutata a demolire le case di pietra degli uomini color del latte. Non si trattava allora di mera spavalderia e accettammo senza porci troppe remore la nascita del suo mito, mentre crocifiggeva gli uomini e bruciava vivi possibili innocenti. In realtà, tutti presagi di ciò che sarebbe accaduto a Westeros una volta che le cose fossero andate meno lisce di quanto immaginato. Invece di una felice fantasia che termina con il legittimo sovrano restaurato al suo posto legittimo, l’orrore e gli incubi delle realtà della guerra (e dei crimini di guerra che spesso li accompagnano …) hanno spezzato le nostre speranze e le nostre aspettative.
Che è esattamente da dove The Iron Throne riprende. Una quantità sconosciuta di tempo dopo il massacro di Approdo del Re, cenere e neve si mescolano al di sopra della capitale in rovina. Sinceramente c’è un po’ da meravigliarsi che ci siano molti sopravvissuti, anche se parecchi non respireranno ancora a lungo, come vediamo subito. Jon Snow (Kit Harington) e Tyrion Lannister osservano la devastazione portata dalla loro regina. È una sequenza magistrale per Peter Dinklage, il cui arco recitativo – una volta staccatosi dal materiale dei libri – è cresciuto esponenzialmente quanto più a fondo si è addentrato nel suo solitario isolamento e nella disillusione. Stasera, il suo cammino è arrivato alla meta.
Intorno a lui c’è la città che un tempo aveva salvato da Stannis Baratheon, il cui annientamento ha lui stesso però invitato a braccia aperte. Si era considerato addirittura “un regalo” per Dany, e per tutte le imbarazzanti decisioni prese come suo primo cavaliere, forse lo è pure stato. Perché un folle che riesce a smussare le difficili relazioni con alcuni alleati – come Jon all’inizio del corteggiamento – è davvero molto utile fino a quando le sue richieste di “far suonare le campane” non possono essere ignorate. Ora, tuttavia, è comunque sopravvissuto con la sua inutilità a una regina che ha tradito. Qualcuno potrebbe aver pensato che Jon Snow fosse preoccupato per la sicurezza di Tyrion – da Daenerys – quando si offre di mandare alcuni uomini con l’ultimo Lannister nella Fortezza Rossa. Ma era solo una precauzione verso dei fantasmi. Quelli che l’Imp trova quando attraversa le rovine e va dritto nel punto in cui Cersei (Lena Headey) e Jaime (Nikolaj Coster-Waldau) hanno provato a fuggire.
A ripensarci, sarebbe stato decisamente più cinematografico se i due fratelli / amanti fossero stati consumati dal fuoco del drago nella sala del trono piuttosto che nelle cripte della Fortezza Rossa. Ad ogni modo, comunque, la sostanza non cambia: quando l’eroina su cui abbiamo puntato tutto cede ai suoi demoni personali, chi se ne importa dei cattivi troppo patetici per salvarsi fino a quando tutto non è perduto? Cersei è morta nel modo in cui ha vissuto, dimentica che il potere del Trono di Spade era solo una sottile illusione che avrebbe potuto crollare sulla sua testa da un momento all’altro. E così è stato.
Tuttavia, se lo scenario di quella fine ‘ingloriosa’ è del tutto insoddisfacente, ha però riguadagnato una certa potenza lirica quando Tyrion ha avvistato i loro cadaveri grazie allo stesso oggetto che aveva salvato l’anima di Jaime nella terza stagione e che lo ha maledetto nella stagione 8 quando gli Immacolati l’avevano notata: la sua mano d’oro. Stando in piedi sopra i corpi del fratello che amava e della sorella che odiava, Tyrion può ironicamente relazionarsi maggiormente con Daenerys in questo momento: è l’ultimo di una famiglia tribolata e complicata. È solo al mondo ora. Era troppo buono per loro, ma questo non rende più facile sopportare il dolore. In ogni caso, prende la sua prima decisione saggia nella stagione 8 di Il Trono di Spade, dimettendosi dalla carica affidatagli dalla regina, scegliendo di farlo imbarazzandola davanti al suo esercito festante. Si tratta dell’altro grande momento della notte di Perer Dinklage (nuovamente senza dialoghi), quando lancia via, nella neve e nella cenere, la spilla che una volta aveva significato per lui tutto. “Hai massacrato una città”, dice Tyrion, ma l’espressione sul suo volto la accusa anche di aver massacrato tutte le nostre speranze per un mondo migliore – i personaggi e il pubblico allo stesso modo.
Il che ci porta a chi sia Daenerys nell’episodio di stasera e alle dolorose verità e mancanze che ne conseguono. Probabilmente, l’aspetto su cui si pensavo si sarebbe maggiormente concentra questo finale di Il Trono di Spade era quello di vendere, o almeno giustificare, il cambiamento radicale del personaggio. Un “colpo di scena” che avrebbe dovuto essere intrecciato organicamente lungo questa stagione lungo almeno tre episodi ‘ponte’ tra le due principali battaglie a cui abbiamo assistito, e che invece è stato colpevolmente compresso nel frustrante 8×04, Gli ultimi Stark (la recensione). E negandoci uno scorcio del volto di Daenerys mentre bruciava vivi gli innocenti e i colpevole di Approdo del Re – lasciando che “siano i miei draghi a decidere”, come aveva in precedenza pensato di fare a Meereen nella quinta stagione – ricade in The Iron Throne il compito di ‘spiegare’ la sua logica.
Sarebbe stato preferibile forse che si fosse trattato di un freddo calcolo machiavellico, dopo aver compreso che la sua richiesta sarebbe stata sfidata dai signori di Westeros a causa del tradimento di Varys e Sansa. Quello che ha fatto è un’atrocità e un crimine di guerra ben più grave di qualsiasi cosa sia stata commessa da Cersei o Tywin Lannister (come più tardi ci ha ricordato utilmente Tyrion …), ed entrambi avevano messo alcune zone della capitale a ferro e fuoco! Eppure, confrontando una simile crudeltà a cosa accadeva solitamente nel Medioevo, questo scenario assomiglia di più al terrore della guerra nucleare del mondo moderno, con le immagini di Hiroshima e Nagasaki richiamate dalla pioggia di cenere del post esplosione almeno quanto Pompei o la New York dell’11 settembre. In modo simile, il massacro di centinaia di migliaia di giapponesi è stato il fondamento su cui l’America ha costruito un nuovo mondo, uno in cui si è ritagliata il ruolo di superpotenza e la sua forza militare è rimasta indiscussa. Probabile che i libri di storia del liceo si concentrino maggiormente su come l’uso di ordigni nucleari su città abitate abbia portato ad una rapida fine della Seconda Guerra Mondiale (e rapidamente inaugurato l’alba della Guerra Fredda ….) piuttosto che sulle vite perse.
L’analogia non calza comunque del tutto, dal momento che Approdo del Re si era arresa prima che la proverbiale bomba preventiva fosse sganciata. Comunque, non può non esserci delusione dal fatto che Il Trono di Spade abbia deciso banalmente di gettarsi a capofitto sull’aspetto della “Regina Pazza” gentilmente garantitole dal suo retaggio Targaryen. Quando finalmente la vediamo in posizione dominate sopra alla distesa di Immacolati e Dothraki, Daenerys è più composta di quanto Aerys II fosse alla fine, ma una luce folle e tracotante brilla nei sui occhi. Ha vinto “L’ultima Guerra”, ma ora desidera molte altre ultime guerre. Chiamando i suoi eserciti “liberatori”, ha deciso di voler liberare più di un semplice Approdo del Re. Anche Winterfell e quell’insolente ragazza Stark dai capelli ramati devono bruciare, e poi forse Dorne, anche se sono suoi alleati. La regina vuole “Liberare” (neologimso per “conquistare”) ogni città.
Va dato – stranamente – credito ad Emilia Clarke di aver interpretato questo momento (e i suoi attimi finali), con insperato livello di sottigliezza attoriale. La star – pur con grossi limiti – è comunque migliorata nel corso delle 6 stagioni, arrivando a padroneggiare il personaggio in modo sfumato, più grazie ai gesti e alle espressioni che ai dialoghi. Non ci sono in lei espressioni palesi che denotino “pazzia” sopra le righe. Questo è chiaramente il finale pensato per lei da George R.R. Martin. Le stagioni 7 e 8 di Il Trono di Spade non sono riuscite a preparare correttamente questo cambiamento cruciale, ma è sempre stata una probabile direzione del suo arco che i fan hanno da sempre discusso, ed Emilia Clarke lo vede con acuta chiarezza ora.
Il resto ricade su Jon Snow e Tyrion nell’altro punto debole di The Iron Throne. Mentre Emilia Clarke supera qui le lacune della stagione 8, Kit Harington non riesce – tanto per cambiare … – a ritrarre adeguatamente il conflitto di un uomo ridotto a piagnucolare “È la mia regina” una manciata di volte di troppo. Vede che Verme Grigio (Jacob Anderson) giustizia senza pietà i sopravvissuti per le strade e, rendendosi conto che se avesse tentato di fermarlo, avrebbe solo aggiunto il suo corpo alla pila, si zittisce tranquillamente. Si spererebbe che questa possa essere l’ultima goccia, o anche quando Arya (Maisie Williams) sottolinea che lui – e soprattutto Sansa (Sophie Turner) – saranno i prossimi a finire sul ceppo, ma Jon continua a trascinare i piedi verso l’inevitabile conclusione di questo gioco di passioni. È lasciato a Tyrion il compito di fare da portavoce a David Benioff e D.B. Weiss, accompagnando Jon e il pubblico all’inevitabile esito.
Peter Dinklage se la cava alla grande in questa scena, e forse le sue parole devono essere pronunciate poiché molti spettatori sembrano aver dimenticato la predilezione di Daenerys per la tortura e il terrore. Come egli dice, “Ovunque lei vada, i malvagi muoiono e noi ci rallegriamo per lei di questo,” riassumendo la complicità del pubblico e dei lettori che avevano creduto nella ragazza. Ha fatto conquiste con facilità, ma il suo dominio nelle stagioni 5 e 6 di Il Trono di Spade è stato quanto meno traballante. Aveva pur rinchiuso i suoi draghi, ma li usava ancora per minacciare e spaventare i suoi nemici a Meereen, anche se questi erano davvero uomini malvagi. È facile non voler vedere che il tuo eroe molto imperfetto sta diventando non un supereroe, bensì un leader con un complesso del Messia, quando gli unici che soffrono per i suoi capricci sono persone che pensiamo se lo meritino.
Eppure, è un trucchetto consueto di sceneggiatura che Tyrion possa articolare tutti quei campanelli d’allarme che abbiamo consciamente ignorato. In ogni caso, il suo discorso è probabilmente la macchinazione politica di maggior successo che è riuscito a elaborare in tutta questa stagione finale della serie, poiché costringe Jon Snow a smettere di rimuginare e ad affrontare la dura verità. Avremmo preferito l’ambiguità che non fosse affatto matta, ma l’episodio almeno non dimentica che lei è ancora la Daenerys che tutti abbiamo imparato ad amare. È ancora la giovane donna che un giorno avrebbe voluto vedere il Trono di Spade di cui suo fratello le parlava sempre con ardore, e che alla fine regredisce a qualcosa di vicino a quella fanciullezza quando finalmente se lo trova davanti. In una sorta di ‘remake visivo’ della sua visione della stagione 2, quando si avvicinava a un trono coperto di neve e cenere.
È questa la donna che Jon Snow deve affrontare e, sì, uccidere. Si tratta a ben pensarci di un momento agghiacciante, quello in cui un uomo uccide la sua amata come atto di eroismo in televisione. Considerati i tempi in cui viviamo, la scena è ovviamente ‘politicamente scorretta’. Valutando il percorso di Dany unicamente dal modo in cui appare eroica o divina salvatrice, fa perdere di vista il senso di ciò che si sta dicendo su un sistema di governo feudale – e sul nostro persistente bisogno di essere “salvati” da un leader forte, anche se questi invadono i nostri diritti per arricchire il proprio potere e costruirsi un mito personale. Allo stesso modo, valutando la sua morte unicamente dal fatto che sia un uomo ad ammazzarla, fa perdere di vista il punto malinconico della scena.
Daenerys ha ciò che ha sognato, ma non è abbastanza. Vuole andare avanti e continuare quello che sa fare meglio, incapace di accettare di averne già abbastanza. Ciò che lei alla fine accetta è che non è più sola. Da quando Viserys è morto, la consapevolezza di essere l’ultima Targaryen è diventata una sorta di diritto di nascita e un’ulteriore pressione. Scoprire Jon era suo nipote, non è poi stata una notizia gradevole, per non parlare del lato passionale; l’ha vissuta solo come un altro ostacolo sulla sua ricerca di potere … forse il più grande di tutti. In questo momento però offre a Jon Snow qualcosa che Viserys non le ha mai dato: l’accettazione della famiglia.
Jon Snow, povero idiota che sia, la ama, come regina, come amante, e forse anche come ultimo legame con un patrimonio che non sapeva di condividere fino a qualche mese fa. Ma è ancora costretto a tradirla. Qualcuno potrà riconoscervi una connessione come la profezia di Azor Ahai che accoltella sua moglie per forgiare una spada che avrebbe sconfitto gli Estranei. E probabilmente c’è altro da capire, considerando anche che hanno già salvato il mondo dal diventare una distesa di ghiaccio, ma ora la sta pugnalando per salvarlo dal fuoco … Ma la più grande tragedia è che un uomo sta uccidendo una donna che ama, che è incidentalmente anche l’ultima componente della famiglia Targaryen.
C’è un significato soprannaturale da considerare: il tradimento amoroso di Jon Snow riecheggia una profezia della stagione 2 di Il Trono di Spade in cui a Daenerys veniva stato detto che sarebbe stata tradita prima per l’oro (Jorah), poi per il sangue (Mirri Maz Durr) e infine per l’amore (Jon). Nella sete di Daenerys per “spezzare la ruota” ha finito per diventare la guida più spietata che il mondo abbia mai visto. Si è fatta consumare dalle proprie mancanze umane invece di arrivare a quelle divine che si era prefigurata. Qualunque significato profetico nel tradimento di Jon ci sia nascosto, diventa immateriale rispetto al costo umano e psicologico di ciò che compie. È stato fatto notare che la parte preferita di George R.R. Martin di Il Signore degli Anelli del collega J.R.R. Tolkien è “Percorrendo la Contea“, un epilogo così prolisso che persino Peter Jackson ha deciso di non adattarlo al termine del film Il Ritorno del Re. Anche dopo aver sconfitto Sauron, i problemi del mondo continuarono quando scoppiò una guerra civile addirittura nella Contea, per motivi troppo contorti da essere elencati in questa sede.
Il punto, tuttavia, è che la fine di Il Trono di Spade rispecchia la fine del Signore degli Anelli letterario, con la baruffa nella terra natale di Frodo che diventa più importante della storia del distruggere il Grande Male (Sauron o i White Walkers). La meschinità dell’umanità sopravvive, e la donna che ha reso possibile la sconfitta del Male continua a soccombere ai suoi demoni molto meno fantastici, lasciando l’ultima persona rimasta nel mondo che ama quasi altrettanto in uno stato di totale rovina. C’è grande conflitto nel lasciare che Daenerys ceda ai suoi peggiori impulsi e che Jon Snow uccida la donna che ama. I personaggi muoiono entrambi in quel momento.
Qui entra in gioco Drogon. Probabile che il motivo per cui non arrostisca sul posto Jon Snow è che sa che lui è un Targaryen, ma il drago che si dice abbia l’intelligenza di un umano non uccide l’assassino di sua madre, forse perché coglie la disperazione dell’uomo per la perdita di Mhysa. Il drago opta quindi per fondere il dannatissimo Trono di Spade che ha fatto impazzire molti, troppi, uomini e donne. Il monumento al potere dei Targaryen torna alla polvere. Poi, con una dose sorprendente di dignità, solleva il corpo esanime di Dany e vola di nuovo verso dove entrambi furono più felici.
Gli eventi successivi alla morte di Daenerys avrebbero potuto facilmente essere contenuti facilmente in un episodio a parte, invece qui costituiscono un epilogo soddisfacente, anche se un po’ sbrigativo. Come gran parte della stagione 8 di Il Trono di Spade, sarebbe stata auspicabile la scelta di passare un’ora in più in compagnia dei Lord e delle Ladies di Westeros intenti a decidere i destini del mondo, mentre si stavano abituando al nuovo status quo.
Dopo un ulteriore e non quantificato salto temporale, con la neve e la cenere che sono state spazzate via, Tyrion Lannister viene richiamato dalla sua cella per quello che sembrerebbe un processo; che si trasforma invece nel consiglio di guerra più gioviale mai apparso nella serie. Per capire la vera devastazione che la guerra ha portato tra le casate dei Sette Regni, basti pensare che ci sono così poche famiglie rimaste che Samwell Tarly, Edmure Tully e Robin Arryn sono tra i più potenti e influenti del continente ora. I sette ci aiutano tutti. C’è persino un principe di Dorne che nessuno ha mai visto. È evidente che questi nobiluomini e donne si sono riuniti per cercare di distendere i rapporti e porre fine a tutti i litigi. Come gli spettatori, sono giustamente stanchi dopo aver bevuto profondamente dal pozzo dell’Apocalisse. Gli Immacolati e i Dothraki hanno apparentemente trasformato le mure crollate di Approdo del Re in una nuova roccaforte, ma senza Daenerys mancano la leadership o la volontà di combattere davvero un’altra guerra. Vogliono semplicemente allontanarsi da quella terra maledetta e tornare a casa, e usano Jon Snow e Tyrion Lannister come pedine per la contrattazione. Forse non sorprende che riservino anche un maggiore livello di animosità per l’uomo che ha immerso il coltello nel petto della loro regina rispetto al traditore che lo ha convinto a farlo.
Davanti alla triste visione dell’attuale classe dirigente di Westeros, Tyrion afferma l’ovvio su cosa dovrebbero fare in seguito per trovare una guida: “Siete le persona più potente dei Sette Regni. Sceglietene una.” L’umorismo viene elargito a piene mani qui, sia dal vedere Edmure (Tobias Menzies) tentare goffamente di proclamarsi re che con Samwell Tarly, sempre bello pacioso, quando suggerisce essenzialmente una forma di ‘innovativa’ democrazia. La risata sghignazzante e beffarda che ne segue è un buon metodo per sdrammatizzare dopo tutta la cupa disperazione dei primi 45 minuti. E una sorta di frecciata indiretta al pubblico della rete da parte di David Benioff e D.B. Weiss
Alla fine si accordano per qualcosa di simile a quello che in molti avevano previsto, ma non del tutto. Chi non aveva pensato che Sansa Stark sarebbe stata la scelta migliore? L’intero arco del personaggio è stato sostanzialmente una prova del fuoco per la sua leadership politica, stando al fianco di tremendi re e regine (Joffrey e Cersei), brave regine (Margaery), eccellenti amministratori (Tyrion) e magistrali intrallazzatori (Ditocorto e Roose Bolton). Chi può vantare un curriculum del genere? Senza contare che è di gran lunga la più regale quando intima allo zio Tully di sedersi e stare zitto. È persino seduta al centro di questo consiglio di guerra.
Tuttavia, previsione errata. La vera risposta per il futuro sovrano dei Sei Regni è … Bran Stark (Isaac Hempstead-Wright) ?! Alzi la mano chi lo aveva immaginato … Tyrion Lannister fa ancora una volta le veci degli showrunner quando afferma che una storia ha il valore più grande per raggiungere il potere politico. E se questo è vero fino a un certo punto, molti risponderebbero che, coi giusti accorgimenti, anche quella di Sansa o Arya sarebbe altrettanto (o francamente di più …) interessante di quella del fratello. In ogni caso, l’incapacità di Bran di generare figli permette ai monarchi di essere eletti tra tutti i nobili per voto, una sorta di fusione tra la monarchia e quello che fa ora il Parlamento britannico.
Comunque, Sansa si ritaglia il diritto di governare nel Nord libero, qualcosa che sia Robb che Jon non erano riusciti a conquistare con la forza. E lo fa ‘sacrificando’ una sola vita, quella di Jon. Anche se il fatto che suo fratello sia il re dei Sei Regni dà una certa mano quando si decide di uscire con certe richieste …
Gli ingredienti per un tipico lieto fine ci sono quindi tutti … anche per Jon Snow. Mentre Bran Stark comnvince Verme Grigio ad accettare che Tyrion Lannister sia ancora una volta il primo cavaliere del Re, il ‘bastardo’ viene rispedito ai margini del mondo tra i Guardiani della notte. Il ‘quasi re’ probabilmente è estasiato dal fatto di non dover più partecipare in alcun modo alla vita politica, sia nel Nord che nel Sud. Tyrion, Arya e Sansa in realtà gli hanno concesso il suo più grande desiderio … di allontanarsi da questi pazzi e lasciarlo da solo a giocare con il suo metalupo Ghost – redivivo – e i fratelli Corvi. Nondimeno, è una scena agrodolce quella in cui i fratelli Stark si dicono addio, forse per sempre. Si sono ritrovati per combattere i gelidi venti dell’inverno, ma ora che la primavera è imminente, sono destinati vivere separati. Arya – come previsto da molti – salpa verso Ovest, in cerca di un destino avventuroso e pieno di meraviglie. Proprio come i Vichinghi raggiunsero le Americhe prima di Cristoforo Colombo e vi morirono, è possibile che ci siano nuovi mondi da scoprire dove cala il sole.
Sansa, la ragazzina che avav lasciato il Nord ansioso di vivere nel caldo sud, dimostra infine di essere la ‘più Stark’ tra tutti i figli di Ned. Né Dany né Jon Snow hanno ottenuto l’ambito trono di spade, mentre lei ottiene qualcosa di forse più impressionante che cavalcare un drago. Di tutti gli scorci del montaggio finale, Sansa Stark che prende il suo legittimo posto come Regina al Nord è facilmente il più delizioso, perché è anche il più rivelatore. Da giovinetta ingenua a donna saggia e politicamente astuta, ha partecipato al gioco dei troni meglio di chiunque altro nelle ultime stagioni e ha vinto l’indipendenza con la diplomazia piuttosto che con la guerra. Ha superato Robb e Jon ed ha eliminato le ultime vestigia del dominio Targaryen dalla sua terra natia.
Un altro gradito respiro di sollievo viene dal destino dell’esercito di Daenerys e di Verme Grigio, che vivrà col peso dei peccati di cui si è macchiato. Potrebbero volerci anni, decenni oppure tutta la vita prima che ammetta di aver bevuto inutilmente dalla coppa del nichilismo, ma potrà prendere quell’indimenticabile senso di fallimento e metterlo a frutto a Naath, onorando la morte di Missandei proteggendo la patria che amava e che pensava non avrebbe più rivisto. È un piccolo passo verso la penitenza, ma significativo. Lui e gli Immacolati sono saggi abbastanza da volersene andare al più presto da Westeros. Gli viene offerto lo spazio per viverci, ma questi ‘diavoli bianchi’ rimarranno terribili vicini. Eppure, si potrebbe sospettare che, sebbene gli Immacolati non abbiano accettato nessun incentivo, molto oro sia stato messo nelle tasche dei Dothraki per convincerli a salite sulle navi dirette ad Essos – che è anche un finale più felice per coloro che sono sopravvissuti, che potranno mantenere viva la fiamma della loro cultura quasi estinta. Andate e moltiplicatevi.
Scopriamo anche che Bran apparentemente avrà successo come re nello stesso modo in cui è riuscito a diventare il re, ovvero sedendosi nelle retrovie senza fare nulla, lasciando che tutti gli altri provino a capirci qualcosa. Strategia che vince non si cambia. E così abbandona la prima riunione del Consiglio Ristretto composto da Tyrion, Brienne, Ser Davos, Sam e Ser Bronn di Altogiardino. La sequenza ricorda come Tywin Lannister formò il suo Consiglio Ristretto nella terza stagione di Il Trono di Spade, con Tyrion che si era assicurato che tutti avessero lo stesso posto a sedere, e rivela inoltre che Sam ha lasciato che l’Arci Maestro scrivesse da solo il libro definitivo della storia delle loro vite (con Sam che offre un suggerimento di titolo alla maniera di J.R.R Tolkien). Assistiamo quindi a una sequela di momenti divertenti, tra cui Tyrion che apprende che i suoi meriti sono stati ridotti al minimo (proprio come il personaggio storico di Riccardo III), ma l’aspetto più interessante di questa sequenza sta nel vedere che Brienne (Gwendoline Christie) si è guadagnata il posto di Capitano della Guardia Reale e che probabilmente presto sarà uno dei più rispettati e cantati cavalieri della sua generazione. Alcuni spettatori potrebbero chiedersi perché Brienne sia una guardia reale di Bran, invece che al fianco di Sansa. Tirando a indovinare, è perché lei è di Tarth e i Sette Regni ormai sono separati. Narrativamente, è l’unico modo per letteralmente voltare pagina dopo Jaime in una scena commovente. A differenza del periodo in cui i Lannister regnavano, le brave persone ora vengono finalmente ricollocate in posizioni di autorità – e persino vedere Podrick (Daniel Portman) in versione cavaliere è una gioia, anche se probabilmente è lo spadaccino più scarso che mai indosserà il mantello bianco.
Il pensiero finale però va ovviamente Jon Snow. Finisce proprio dove ha iniziato, alla Barriera, proprio mentre la serie termina da dove è iniziata – un fratello dei Guardiani della Notte che vaga oltre nella gelida distesa bianca oltre l’enorme muro. Eppure, invece che andarci per dare la caccia e uccidere i bruti (e gli Erranti …), Jon cammina in sicurezza al fianco del Popolo Libero verso un nuovo mondo lasciato incompiuto. La Barriera non serve più letteralmente a nulla ormai. Jon potrebbe addirittura pensare di tornare a Grande Inverno quando gli Immacolati se ne saranno andati. Ma quello non è il suo stile. Ha giurato di trascorrere la sua seconda vita alla Barriera. Il suo inginocchiarsi e finalmente accarezzare l’amato Ghost è Il Trono di Spade che dà al pubblico – e a Jon allo stesso modo – ciò che vogliono. Tutti avevamo dato per spacciato il metalupo, ma pare proprio che lo scopo della scena fosse ammettere che Jon stava ignorando la sua vera natura quando gli era passato davanti. Ora però è davvero a casa, privo del peso di responsabilità di titoli e lignaggio che non ha mai voluto. Conducendo il Popolo Libero tra gli alberi si apre comunque anche alla possibilità che potrebbe un giorno diventare l’ennesimo un Re-Oltre-la-Barriera, esattamente come Mance Rayder prima di lui. Chissà.
È una perfetta conclusione per Jon Snow e un finale discreto per la serie.
In definitiva, la stagione conclusiva di Il Trono di Spade ha sicuramente avuto la sua bella dose di dossi e contusioni. Troppi a volte. Nove o dieci episodi di storia sono stati stipati in soli sei capitoli, e affrettati momenti di epifania o di rassegnazione hanno danneggiato la fine della stagione … ma non dell’intero show. Il quinto e il sesto episodio probabilmente invecchieranno meglio di quanto lascino pensare le reazioni ‘di pancia’ di delusione e ‘tradimento’ di queste ore. Ritornando allo schema narrativo di George R.R. Martin, la serie è ritornata ai suoi momenti topici agrodolci e feroci che l’hanno contraddistinta in passato. Non è sfociata nel nichilismo, se non per uno dei beniamini. Gli Stark prosperano, e Jon ha trovato la pace.
Il Trono di Spade non è stato uno show perfetto, ma è indubbiamente stata una cavalcata straordinaria, forse l’ultimo che saprà mobilitare un così vasto e affiatato pubblico. Attraverso il dolore e il trionfo, la devastazione e l’ilarità, e persino la delusione e la gioia, ci ha guidato attraverso un viaggio che nei suoi momenti migliori ha agito da specchio del nostro mondo, e che anche nei suoi punti deboli ha garantito una narrazione squisitamente riconducibile al miglior fantasy senza tempo. Anche quando è stata dalle parti del “molto male”, ha raggiunto comunque – se non altro a livello di sforzo produttivo – un risultato notevole, che è volato sopra ogni altra cosa abbiamo visto in televisione.
E poi resta da vedere cosa accadrà nei libri.
Di seguito trovate la storica sigla di Il Trono di Spade, ricantata in qualche modo dal cast e più sotto il video di commiato:
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