La ricerca di una identità precisa è ancora in corso, ma i 10 nuovi episodi dimostrano che la crescita dei personaggi è costante e promettente
Poche persone hanno saputo perfezionare la tipologia della commedia ‘quotidiana’ meglio di Matt Groening. Cosa sono infatti I Simpson e Futurama se non serie (animate) incentrate su individui che provano a farsi strada borbottando tra gli alti e i bassi delle loro vite? Eppure, con Disincanto (Disenchantment), l’autore sembra aver scelto di imboccare un’altra via rispetto ai suoi precedenti lavori, poco inclini alla trasformazione / evoluzione dei rispettivi personaggi (specie il primo). Per questo, lo show fantasy originale di Netflix può apparire come un oggetto anomalo all’interno del suo mondo.
Come lasciato intravvedere dai primi 10 episodi lo scorso anno (la recensione), questa ‘parte 2’ rende ancora più chiaro che il meglio arriva quando viene lasciato spazio ai protagonisti per crescere e cambiare piuttosto che nel fossilizzarsi in determinati stereotipi. Il che può essere un bene o un male, sia chiaro.
Tiabeanie si rende quindi conto del terribile errore di valutazione e comincia a dedicarsi a rimediare ai torti arrecati a chi ha involontariamente offeso, il che include riportare in vita il suo migliore amico Elfo (doppiato da Nat Faxon), trovare una cura per gli abitanti pietrificati del regno di Dreamland e fare ammenda con il padre rozzo e crapulone.
Sono molte le cose che la ragazza deve sistemare, e quando cerca di migliorare se stessa, la serie indubbiamente funziona. Disincanto può saltapicchiare senza soluzione di continuità tra alcune delle più elaborate sequenze d’azione nell’animazione televisiva moderna e freddure più o meno efficaci senza tuttavia mai perdere il filo emozionale della ‘nuova’ Bean. Quando invece temporeggia per puntare sul mero lato comico, perde miseramente quanto costruito con cura. A volte si ha la sensazione che ci siano due tipi di show nascosti in Disincanto che duellano per emergere: una classica situation comedy con episodi singoli slegati tra loro e una narrazione a lungo termine sciocchina ma ambiziosa. Ed è impossibile capire quale prenderà il controllo di un episodio fino ai suoi ultimi istanti.
Questa dicotomia può risultare frustrante, perché quando Disincanto si appoggia alla struttura serializzata la crescita dei suoi personaggi ne guadagna. Proprio la bionda Bean è quella che ottiene i più vasti benefici in questa forma, evolvendosi lentamente in un personaggio sfaccettato. La prima volta che l’abbiamo incontrata, era una ragazza fondamentalmente sola, estremamente piena di sé e un po’ ottusa, che non aveva un obiettivo preciso nella vita. Anche se l’amicizia coi bizzarri Luci ed Elfo aveva poi assolto al suo lato solitario, gli episodi passati a infilarsi nei guai con loro erano stati sostanzialmente insoddisfacenti. Questo era un personaggio che voleva cambiare, ma non poteva – o non voleva – a causa di un freno nel suo sviluppo.
Gli stessi Re Zøg (doppiato da John DiMaggio) e la matrigna lucertola di Bean, la Regina Oona (la voce è di Tress MacNeille), traggono un vantaggio evidente dalla scelta di Matt Groening di concentrarsi sulla crescita delle sue creature in questa parte 2 di Disincanto. La prima volta che abbiamo incontrato Zøg era un sovrano crudele e sconsiderato. Lo è ancora naturalmente, ma dopo aver valutato la rivelazione che la sua prima moglie era davvero malvagia, emerge nei nuovi 10 episodi più gentile e meno tollerante delle ingerenze della sua stessa corte. Re Zøg ha sempre avuto un debole per Bean, e in questa stagione iniziamo a vedere cosa ciò significhi esattamente: ascolta lei di più, e i suoi consiglieri di meno.
In uno dei cambiamenti più significativi di questa seconda stagione di Disincanto, lei fa metaforicamente il dito medio a Dreamland – e al suo passato – e senza paura si dirige verso l’orizzonte per iniziare una nuova e avventurosa vita, sicuramente più appagante e vicina alle sue aspirazioni così a lungo represse. Pensandoci bene, è difficile pensare a un personaggio che in così poco tempo sia passato da facilmente trascurabile a rilevante come arco narrativo.
In definitiva, Disincanto – che si chiude nuovamente con un cliffhanger – dà il meglio quando ignora bellamente i cliché e le dinamiche predeterminati del passato di Matt Groening e si appoggia alla propria identità. Così come Bean, la serie animata non sa ancora esattamente cosa voglia essere, ma guardarla mentre cerca di scoprirlo può risultare appagante.
Di seguito trovate il trailer internazionale di Disincanto parte 2, nel catalogo di Netflix dal 20 settembre: