C'è la Blumhouse dietro a questo lungometraggio diviso in tre parti con Radhika Apte e Manav Kaul, che si appoggia a un contesto politico distopico prima di scatenare lo splatter
Dopo Sacred Games, prodotta dalla Phantom Films (prima serie televisiva originale indiana distribuita da Netflix nel 2018 e tratta dall’omonimo romanzo di Vikram Chandra, che vedeva un ispettore della polizia di Mumbai ricevere una telefonata anonima da parte di un boss della mafia locale scomparso 16 anni prima e ancora latitante, che lo avverte dicendogli che gli mancano solo 25 giorni per capire come salvare la sua città e da che cosa …), il potente servizio di streaming ha deciso di continuare su questa strada, collaborando con la nota Blumhouse Productions per Ghoul, miniserie diffusa solo con sottotitoli in italiano (ma non preoccupatevi), che in sostanza è un unico film della durata di 133 minuti complessivi, diviso però in 3 segmenti (o ‘atti’ se preferite).
Siamo in un’India dal retrogusto distopico, vessata da un potere nazionalista e totalitario che non lascia spazio a nessun elemento eversivo, a seguito di un periodo di incessante terrorismo interno. Tutto ciò che non è di esclusivo interesse per il paese, come ad esempio i libri per bambini o anche l’università, viene pertanto considerato sovversivo, immorale e quindi contrario alla legge. La popolazione che intende opporsi allo status quo viene prontamente “rieducata” e “re-istruita” alle rigide imposizioni dall’alto. La protagonista è Nida Rahim (Radhika Apte, peraltro già presente in Sacred Games), una specialista in interrogatori, membro delle forze armate, fieramente leale e devota alle cause della nazione, che viene scelta per assistere all’interrogatorio del capo dei ribelli Ali Saeed (Mahesh Balraj), un pericoloso terrorista detenuto in uno dei numerosi centri di detenzione locali. Fino a qui niente di prettamente orrorifico, siamo più dalle parti del thriller a tinte forti e dai risvolti politici incentrati sulle libertà individuali di ciascuno. Però, durante il ‘colloquio privato’, il prigioniero – oltre a rivelare le innumerevoli atrocità compiute dai suoi carcerieri -, si svela anche per quello che realmente è: un essere demoniaco soprannaturale, un ghoul!
Facciamo un po’ di chiarezza. Il “gul”, poi americanizzato in “ghoul”, è un demone di origini arabe, risalente a prima dell’avvento dell’Islam. Assetato di sangue, viene attirato delle colpe degli uomini, crea un clima di sfiducia tra le sue prede e una volta invocato dai malcapitati in questione, divora le carni dei suoi nemici e ne assume le sembianze fino a compiuta missione. Il suo significato etimologico, non a caso, è ‘catturare’, ‘afferrare’, ‘uccidere’. Il clima sociale in questa miniserie ha un ruolo predominante. Ci troviamo infatti in un paese con un governo dittatoriale, che preferisce mantenere la popolazione analfabeta e ignorante, ma mansueta, così da poterla indottrinare a piacimento – pena la tortura, gli interrogatori condotti da aguzzini spietati, che selvaggiamente mettono in atto vessazioni e punizioni corporali al limite della sopportazione umana, tra violenze, ingiustizie (e non solo) nei confronti del singolo individuo, ma anche dei membri della sua famiglia. Tutto questo per far crollare sia psicologicamente sia fisicamente la vittima. Questo sottotesto politico – vagamente attuale – perde tuttavia sempre più forza con l’andare dei minuti, soppiantato dall’entrata in scena della trama prettamente soprannaturale.
Ghoul non è comunque esente da problemi. Innanzitutto, come si diceva in apertura, è un film a tutti gli effetti, con Netflix che ha scelto di distribuirlo sotto forma di miniserie in tre parti, una soluzione che si ripercuote forzatamente sul modo di fruirne la visione e sul ritmo. Il primo episodio ad esempio è piuttosto lento, volutamente introduttivo per i personaggi e le loro peculiarità, oltre che per descrivere l’ambientazione. La situazione viene stravolta totalmente invece durante il secondo, anche se un po’ tardi, con l’ingresso in scena di Saeed, che nonostante sia un colpo ben assestato, capace di aumentare a dismisura la suspense, si conclude molto presto e rivelando troppo e tutto insieme, con conseguente affievolimento della tensione.
In definitiva, Ghoul, attraverso scelte drastiche e twist improvvisi riesce a delineare un terrore crescente nello spettatore. Punta sull’aspetto psicologico e politico della situazione in principio, per poi concedersi pienamente al soprannaturale, coinvolgendo, stimolando e terrorizzando chi segue la storia fino alla sua conclusione, non sapendo bene mai cosa aspettarsi.
Se vi avanzano un paio d’ore di tempo, provate a dare una possibilità a questa miniserie, che coi suoi personaggi, i suoi luoghi putridi e viscidi e le sue tinte scure, vi trasporterà in un’India ben diversa da quella che siete abituati ad immaginare nei classici di Bollywood.
Di seguito il trailer originale (sottotitolato in inglese) di Ghoul: