La storica saga horror creata da Takashi Shimizu agli inizi del 2000 arriva sul piccolo schermo, rilanciandosi clamorosamente dopo svariati passi falsi
Ju-On: Rancore è stato probabilmente per molti uno dei primi fondamentali titoli arrivati in Italia che hanno aiutato a far ‘scoprire’ l’horror giapponese a inizio degli anni 2000. Questo film, creato da Takashi Shimizu si è evoluto in breve tempo in un prolifico e longevo franchise, arrivando a generare molteplici adattamenti americani e persino un clamoroso crossover con un’altra icona internazionale del J-horror (La battaglia dei demoni, aka Sadako vs. Kayako, del 2016). Ora, con Ju-On: Origins, Netflix Japan ha distribuito la sua prima serie dell’orrore originale, decisa ad affrontare i “veri eventi” su cui si basa la saga, composta – al momento – da ben 13 capitoli.
Diciamolo, il concept e il potenziale sviluppo di Ju-On: Origins naviga inevitabilmente in territori piuttosto familiari per i fan del genere. Tra l’altro, di prequel che parlano di come, dove e quando sono nati i boogeyman più popolari ne abbiamo visti a bizzeffe nel tempo. Per questo motivo, è facile approcciarsi a questa nuova serie con preoccupazione e sospetto, soprattutto dopo l’osceno recentissimo adattamento per il grande schermo diretto da Nicolas Pesce, che ha spostato l’azione negli Stati Uniti e spento ogni possibile speranza per il futuro (la recensione).
Ciò detto, Ju-On: Origins – sorprendentemente – prende quasi subito tutti questi preconcetti su ciò che avremmo potuto aspettarci e li getta giù dal balcone. Grazie a una narrazione pregna di atmosfera, agli effetti di make-up curati dal ‘mago’ Screaming Mad George (Society, Nightmare 4 – Il non risveglio), al senso di mistero e a momenti genuinamente spaventosi, questo piccolo show riuscirà a ridonare il sorriso a chi era ormai disperato, rilanciando e scuotendo il franchise, nonostante l’ultimo episodio presenti curiosamente un’estetica diversa rispetto agli altri cinque.
Ciascuno episodio appare come una mini-storia a se stante, che diventa costantemente più oscura e più cupa della precedente. Mentre i salti temporali e il cambio di personaggi possono sembrare sfuggenti all’inizio, quando iniziano a convergere il minuzioso lavoro di preparazione di Hiroshi Takahashi e la narrazione di Takashige Ichise si manifestano. L’orrore che soffiano in ogni scena e il modo in cui il regista Sho Miyake imposta ogni fotogramma di Ju-On: Origins, permettono al pubblico di comprendere veramente il significato – e il dolore – delle storie di fantasmi orientali (se mai ce ne fosse ancora il bisogno).
Se avete una qualche familiarità coi cosiddetti J-horror di fine anni ’90 / metà anni 2000 (da Ringu a Dark Water, passando per Tomie e The Call), il concetto di spettri vendicativi e maledizioni ‘alla giapponese’ non vi sarà nuovo. Se, invece, non ne avete mai sentito parlare di tale sottogenere (difficile che cominciate ora, e da qui … ma Netflix ha anche questo potere pare …), queste storie ruotano quasi sempre attorno allo spirito di un individuo deceduto di morte violenta che decide di rimanere nella zona del ‘fattaccio’ impregnato di potenti emozioni come l’odio, il dolore, l’amore e simili. Ora ansiosi di elargire morte a loro volta, fungono da nucleo morale delle vicende e portano dosi di violenza più o meno massiccia con se. Ed è su questa nota che Ju-On: Origins eccelle, ma va detto che per alcuni spettatori potrebbe risultare una visione complicata.
Con questa premessa ben chiara in mente, se iniziate questa serie horror con mente aperta e disposti ad essere piacevolmente turbati, vi innamorerete del cupo universo in cui è immerso Ju-On: Origins. Per la maggior parte del tempo, vengono impiegati effetti pratici, ambienti scarsamente illuminati, qualche immancabile jumpscare acustico e il tipico immaginario del J-horror. Per questo motivo, ogni episodio ci trascina dentro a momenti profondamente emotivi che, alla fine, rendono ogni atto di brutalità ancora più intenso. Purtroppo, come accennato, l’ultimo episodio inizia a fare molto affidamento sugli effetti speciali in CGI, che mal si adattano all’impalcatura emozionale della storia sottostante.
In definitiva, Ju-On: Origins riesce nell’ormai quasi impensabile risultato di catturare l’essenza della saga di Ju-On, mantenendo però al contempo una propria precisa identità in mezzo agli altri 13 titoli. Un merito ancora più grande è quello di far sì che ognuno dei sei episodi sembri perfettamente compiuto, pur incastrandosi in realtà dentro a una quadro più grande. Chi l’avrebbe detto.
Di seguito trovate il trailer internazionale di Ju-On: Origins, nel catalogo di Netflix dal 3 luglio: