Il regista Kim Seong-hun riesce nel non semplice compito di dirigere un perfetto connubio tra intricato dramma in costume e horror coi non morti
Kingdom (Hangul: 킹덤; RR: Kingdeom) adattamento per il piccolo schermo del webcomic The Kingdom of the Gods creato da Kim Eun-hee e disegnato da Yang Kyung-il, nonché seconda produzione originale Netflix coreana, è approdato da poco sulla piattaforma streaming (dal 25 gennaio), e ci ha affascinati e tenuti col fiato sospeso per tutti i suoi 6 episodi, proiettandoci in un antico regno scosso da fame, intrighi di palazzo e … zombi.
Per riuscire a comprendere cosa stia davvero succedendo, Lee Chang, accompagnato dal fido Mu-yeong (Kim Sang-ho), decide di partire verso sud, alla volta di Jiyulheon, dove sembra nascondersi il medico reale, unico a sapere forse la verità. Tuttavia, arrivati a destinazione, i due incontrano dell’infermiera Seo-bi (Bae Doo-na), da cui scoprono che è esplosa una terrificante pandemia, i cui infetti tornano come zombie durante la notte e divorano chiunque incrocino lungo la loro strada. Da cosa sarà nata questa letale epidemia? Sarà collegata con quanto avviene a palazzo? Il principe – insieme ai suoi compagni d’avventure- intraprenderà un viaggio per svelare ogni mistero, rivelare i piani malvagi di Jo Hak-joo e della regina e riconquistare il trono che gli spetta.
Eppure, questa ibridazione è perfettamente riuscita in Kingdom: da un lato possiamo infatti apprezzare alcuni tratti tipici del film storico, come i dettagliati costumi, le ricostruzioni lussureggianti degli ambienti cortigiani, come quelle più misere delle case contadine e – sopra ogni cosa – una trama costellata di intrighi politici, macchinazioni, scontri a spada, ma anche con armi da fuoco (siamo plausibilmente già in periodo sei-settecentesco, dacché viene citata la sconfitta e ritirata dei giapponesi).
Dall’altro, gli assalti dei famelici appestati e redivivi, che come un’onda anomala invadono le strette stradine fangose, accrescono sapientemente il livello di tensione. Inoltre, se la scelta degli abiti di scena, dell’aristocrazia come del popolo, ha un certo impatto visivo, non è da meno il make-up prostetico utilizzato per i cadaveri rianimati, macilenti al punto giusto. Gli effetti pratici, che prevedono la resa meticolosa di intestini fuoriusciti, dita mozzate, carni strappate a morsi e teste tagliate di netto, sono un ulteriore pregio, insieme alla coreografia e ai movimenti di macchina che catturano le scene collettive, con tanto di attacchi in massa, inseguimenti e scontri vari (come quello in apertura dell’episodio 4). Indubbiamente, il sostanzioso budget a disposizione (circa 1.78 milioni di dollari milioni per episodio) ha permesso di raggiungere una qualità non indifferente su tutti i fronti.
I potenti, indifferenti alle vicissitudini di chi governano, sono sovente tratteggiati come spietati arrampicatori disposti a tutto, come nel caso della regina Cho e di Jo Hak-joo, oppure hanno contorni satireschi, ridicoli e insieme agghiaccianti nella loro stolida e disarmante inadeguatezza, come del neoeletto magistrato Cho Beom-pal (Seung-ryong Ryu) e del suo seguito, che di fronte a una crisi collettiva si limita a chiudere le porte delle fortificazioni e a lasciare tutti fuori, oppure a scappare su una nave.
All’opposto, i sudditi, cenciosi e affamati, cercano come possono di sopravvivere, arrivando perfino al cannibalismo, anche prima della trasformazione. Dettaglio interessante, vi è una netta opposizione cromatica a caratterizzare i diversi strati sociali e gli ambienti in cui vivono, la predominanza di colori accesi quali il porpora, l’oro e i toni dei blu e dei viola denotano l’aristocrazia, mentre gli ocra, i grigi e il bianco sporco i sudditi, creando un’immediata opposizione tra opulenza degli uni, e miseria degli altri anche a livello coloristico, tonale.
Kim Hye-jun, rende perfettamente l’indole algida della regina, dai cui freddi occhi traspare ogni tanto un istante di terrore, d’incertezza, subito taciuti, affiancata dal crudele e impassibile Jo Hak-joo, che Ryu Seung-ryong incarna altrettanto bene. Poi ci sono le incursioni delle spalle semi-comiche, il grottesco Cho Beom-pal interpretato dal vivace Seung-ryong Ryu, e il coraggioso e insieme ridicolo Mu-yeong, incarnato da Kim Sang-ho, i cui due personaggi indulgono però forse eccessivamente nel farsesco, almeno in certi passaggi; ovvia è la loro funzione di stemperare la tensione, ma a volte risultano stridenti.
In definitiva, Kingdom è una serie che riesce a coinvolgere e che si guarda tutta d’un fiato fino all’epilogo aperto, in un cliffhanger che lascia un po’ basiti, ma che ci porta di sicuro a desiderare di vedere quanto prima gli episodi della seconda stagione (la cui produzione inizierà a giorni).
Di seguito il trailer internazionale: