Il metodo di fruizione dei contenuti è stato stravolto dall'arrivo sulle scene della piattaforma di streaming, ma il flusso costante di titoli di scarsa qualità sta mettendo a dura prova questo rivoluzionario sistema
Non c’è dubbio che Netflix abbia rimodellato il modo in cui pensiamo alla TV. Dai contenuti proposti alle pratiche e le modalità in cui ne possiamo fruire, la società fondata a Scotts Valley nel 1997 è diventata un punto fermo nella cultura popolare del 21° secolo. Ciò ha fatto guadagnare al colosso dello streaming grande notorietà, anche se – per lo più – questa è dovuta alla pratica di produrre film e serie ritenuti dalla gran parte del pubblico di qualità mediamente bassa.
Come sappiamo, Netflix non propone solamente i suoi contenuti originali, ma mette a catalogo anche una grande varietà di show e lungometraggi prodotti altrove e distribuiti in esclusiva, che è – forse sorprendentemente – il principale richiamo per gli abbonati. Gli amanti di serie classiche come Friends, The Office e Grey’Anatomy si iscrivono infatti principalmente per potere rivedere (ancora e ancora) gli episodi di prodotti così popolari, nonostante esistano da anni in DVD (senza contare la fetta di pubblico giovanissimo che all’epoca se li era persi in TV).
Proviamo quindi a esaminare quali sono i motivo per cui i contenuti originali non siano abbastanza appetitosi da garantire una ‘sicurezza’ finanziaria a Netflix.
Innanzitutto, Netflix opera in un mercato piuttosto competitivo. Le piattaforme di streaming ora sono più attive e numerose che mai. Hulu, Disney+, Starzplay, AppleTV+, Amazon Prime Video e molti altri siti Web competono per lo stesso obiettivo: l’attenzione e il denaro delle persone. Tuttavia, rispetto a una bella fetta di competitor – confinati al mercato americano – Netflix è, appunto, internazionale. Avere un mercato globale a disposizione ha però vantaggi e svantaggi non di poco conto.
Per placare la fame di tutta questa gente e raccogliere abbastanza soldi per rimanere a galla, Netflix distribuisce così innumerevoli serie e film a cadenza settimanale. Questa formula si è manifestata in molti modi diversi, ma non ha ancora funzionato così bene.
Netflix è partita forte nel 2013 con show di successo come House of Cards e Orange Is the New Black. Ha ridefinito la TV a modo suo. Invece di episodi trasmessi periodicamente nel corso di alcuni mesi, Netflix pubblica stagioni in blocco, un’intera stagione alla volta, in genere a un anno di distanza dalla precedente. Questo, di per sé, avrebbe già un impatto enorme sul modo in cui il pubblico consuma i media. La TV è un’arte, e consumare quanto offre non dovrebbe essere un atto così insensato come è diventato in così poco tempo. Gli spettacoli dovrebbero innescare conversazioni reali tra spettatori e fan, ma – come sappiamo – oggi devi andare coi piedi di piombi quando parli di una tale serie, in modo da non rovinarne i colpi di scena o il finale a chi no l’ha ancora finita. Il che porta a fagocitare tutti gli episodi in binge watching, di modo da essere subito sul pezzo ed evitare spiacevoli sorprese.
“Gli show di Netflix, grazie al modo in cui vengono proposti e al loro numero in costante espansione, non provocano altro che l’impulso di premere ‘play’ sul prossimo episodio“, hanno detto Daniel D’addario e Joyce Lee del TIME.
Il modello di Netflix non influenza soltanto il modo in cui il pubblico guarda e parla dei diversi titoli in catalogo, ma deteriora rapidamente anche il contenuto degli show. Netflix ha iniziato a pompare in catalogo nuovi prodotti senza pensarci su troppo, la maggior parte è lunga tra gli 8 e i 10 episodi, a malapena sufficienti per sviluppare una trama e personaggi decenti, per poi cancellarli prima che potessero effettivamente decollare. Sia chiaro, ciò non implica che anche le reti TV via cavo o generaliste non abbiano una propria quota di programmi oggettivamente scadenti, ma Netflix, che va un vanto della qualità, dovrebbe fare di (molto) meglio. Prodotti come Tredici (4 stagioni), Insatiable (2) o Dynasty (3) non avrebbero dovuto usufruire delle particolari attenzioni di cui pare abbiano goduto, perché sono, nel senso più obiettivo possibile – e basandosi sulle recensioni del pubblico – vicine al pessimo.
In più, Netflix sembra anche soffrire di una malattia cronica: la cancellazione prematura delle serie. Spettacoli promettenti come Everything Sucks!, Chiamatemi Anna, Santa Clarita Diet, Dead to me, American Vandal, Giorno per giorno, e molti altri sono stati cancellati dopo la prima o alla fine della terza stagione e senza una ragione apparente, visto che stavano tutti andando bene sia nei commenti del pubblico che per i meri numeri. Anzi, Netflix tende piuttosto a trascinare avanti ‘pazienti moribondi’ quando si tratta di nomi molto popolari. Gli show che hanno ormai finito di raccontare le loro storie ma che continuano a crescere in popolarità, vengono rinnovati senza problemi. Non è necessario. In questo modo si sprecano fondi che potrebbero andare a produrre buoni contenuti nuovi e – peggio – rovina il buon ricordo delle prime belle stagioni.
Potrebbero iniziare cambiando il modo in cui offrono i loro prodotti. Tolti i casi limite (Stranger Things, Dark) la gente si disinnamora rapidamente delle serie per le quali deve aspettare 365 giorni prima di vedere i nuovi episodi. Inoltre, Netflix dovrebbe cominciare ad ascoltare di più le lamentele e le recensioni della sua community di 130 milioni di sottoscrittori, in quanto sono quelli che tengono a galla la piattaforma (e pare ne serviranno presto 500 milioni per sostenere le spese affrontate …). Quando la cancellazione di uno show provoca un contraccolpo mediatico quanto accaduto con Chiamatemi Anna, forse bisognerebbe affrontare la realtà e (ri)pensare al motivo per cui si è scelto di mandarla in onda in primo luogo … Che si guardino solamente i freddi numeri da ‘catena di montaggio produttiva’ e non la reale qualità di un copione, fidandosi di algoritmi e delle ‘intuizioni’ di qualche manager?
Come sappiamo, in un mondo spinto dal consumismo (la necessità di novità costanti) il concetto di usa e getta – o monouso – funziona bene nel breve periodo, ma a lungo andare la tendenza a cercare prodotti solidi, che lascino un segno concreto e che siano riutilizzabili (aka faccia piacere rivedere) ha quasi sempre la meglio.
Di seguito il trailer internazionale della terza – e ultima – stagione di Santa Clarita Diet: