Horror & Thriller

Resident Evil – La serie, stagione 1: la recensione degli 8 episodi del live-action (su Netflix)

Lance Reddick e Paola Nuñez sono tra i protagonisti di un prodotto dozzinale, gravato da scelte creative discutibili e da valori di produzione inconsistenti

Neanche un anno dopo il modesto reboot dell’altalenante franchise cinematografico guidato da Milla Jovovich durato ben sette film con Welcome to Raccoon City (la recensione), la popolarissima saga di Resident Evil torna sulle scene con … un altro reboot, questa volta in forma seriale, in live-action (a differenza della comunque freschissima Infinite Darkness, che era in CGI), e in esclusiva per Netflix.

A differenza di entrambe le precedenti iterazioni per il grande schermo, gli 8 episodi da un’ora di Resident Evil – La serie esistono in una propria personale continuity che si appoggia in qualche modo alla trama iniziata nei videogiochi della Capcom nel 1996.

Ambientato lungo due linee temporali, lo show si concentra sull’epidemia della Umbrella Corporation che ha portato alla fine del mondo e sulle conseguenze future per i sopravvissuti di questa post-apocalisse. Con un cast giovane composto ugualmente da nuovi personaggi e da vecchie conoscenze dei VG, Resident Evil – La serie cambia l’approccio al franchise, passando da momenti di azione sfrenata e orrori senza esclusione di colpi a qualcosa di molto più tenue e meno ‘grandioso’ (decidete voi se in termini di tamarraggine o di ricchezza di budget).

Eppure, sostanzialmente in linea coi film diretti dal bistrattato Paul W. S. Anderson, il risultato finale è – incredibilmente viste le premesse e le speranze dei fan – lontano dall’essere memorabile. Molto lontano.

La prima cosa che balza all’occhio di di questa rivisitazione di Resident Evil è che si tratta allo stesso tempo di un sequel e di un reboot, con gli episodi che si svolgono anni dopo che i noti ‘incidenti’ di Raccoon City hanno infangato il nome della Umbrella Corporation.

Evelyn Marcus (Paola Nuñez), figlia del co-fondatore della società, ha assunto la carica di amministratore delegato e sta lavorando con il dottor Albert Wesker (Lance Reddick) per sviluppare un farmaco miracoloso chiamato ‘Joy’.

Wesker si trasferisce a New Raccoon City con le figlie Jade (Tamara Smart) e Billie (Siena Agudong). Mentre le due ragazze si adattano al nuovo ambiente, assistono in prima persona al rilascio del Virus T e alla definitiva rovina della civiltà.

Questa parte della storia si svolge nel 2022 e presenta molti tratti distintivi del franchise videoludico assieme a molti sottili riferimenti a eventi passati, ma per la gran parte, questi spezzoni ricordano molto da vicino un qualsiasi teen drama arrivato in TV negli ultimi cinque anni e non offrono personaggi gran che convincenti o emozionanti, eccezion fatta per il sempre efficace e carismatico Lance Reddick (John Wick 3 – Parabellum) e per l’infida Paola Nuñez. Entrambe le giovani attrici che interpretano le figlie di Wesker sono invece a volte brave, mentre altre sono dolorosamente ‘robotiche’ nelle loro esposizioni.

Le scene del 2022 sono intervallate senza soluzione di continuità da sequenze ambientate a Londra quattordici anni dopo. Nel 2036, il mondo assomiglia a quello costellato di infrastrutture fatiscenti viste in The Walking Dead – e in qualsiasi altro prodotto che parli di futuro decadente e di zombie.

Seguiamo qui principalmente l’ormai adulta Jade Wesker, interpretata stavolta da Ella Balinksa (Charlie’s Angels). Ragazza tostissima che sta facendo delle ricerche sul Virus T e sulle creature che ha generato, è anche in fuga dalla Umbrella Corporation, incarnata nello specifico dall’attore Turlough Convery, che connota il suo personaggio come un mezzo cattivo e un mezzo idiota. Il suo ruolo non viene minimamente spiegato, a parte il fatto che lavora per la Umbrella mentre dà la caccia a Jade. Non riveleremo il motivo del suo accanimento, ma è inutile dire che si tratta di uno dei tanti punti della serie che non hanno molto ‘senso’.

Le sequenze ambientate nel 2036 presentano alcuni dei momenti action migliori (la prigione), ma ci vengono propinate in maniera assolutamente frammentaria, tramite scene difficili da ‘leggere’, girate nell’oscurità della notte, e scene diurne infarcite di CGI mediocre.

I non morti, chiamati ‘Zero’ e regolarmente indicati non come ‘zombie’ ma come ‘persone infette’, sono quel tipo di mostri che si muovono velocemente sdoganti da L’alba dei morti viventi di Zack Snyder. E ci sono anche aracnidi e altri animali mutati che sembrano notevolmente fuori luogo qaundo ‘tradotti’ dai videogiochi al live-action.

Come accennato, le scene nel futuro stabiliscono una narrazione e un ritmo (e una fotografia) molto diversi rispetto quelle nel nostro presente, ma entrambe sono intercalate senza alcun tipo di transizione tra i due periodi temporali. Una scelta tecnica piuttosto stridente, che finisce per rendere l’incedere della storia irritante quasi quanto alcuni dialoghi.

Sviluppata da Andrew Dabb (Supernatural), Resident Evil – La serie, che si trasforma rapidamente in un racconto ammonitore sull’avidità delle mega corporation e i pericoli del business della bellezza, soffre infatti di dialoghi sostanzialmente ‘espostivi’ e stereotipati, praticamente sempre ai limiti dell’incredibile. Ogni episodio non manca di farci arrivare alle orecchie alcune delle battute più cringe mai sentite in un prodotto su cui Netflix ha (almeno in teoria …) investito così tanto. L’unico che sembra in grado di pronunciarle senza sembrare ridicolo è il già lodato Lance Reddick, ma il 59enne di Baltimore potrebbe leggere anche la lista della spesa e sembrare cool.

Detto questo, Resident Evil – La serie mirerebbe ad avere un aspetto cinematografico, ma spesso non raggiunge l’obiettivo a causa dei registi chiamati a dirigere gli episodi, tutti veterani della televisione che non hanno mai lavorato a progetti della portata di cui questo show avrebbe bisogno. Bronwen Hughes, dietro alla mdp per i primi due, ci regala pure alcuni frangenti ben girati, ma questo è il massimo dell’entusiasmo che otteniamo.

La storia, oltre che dalla scrittura pigrissima è zavorrata da un ritmo e da una direzione tanto disomogenei quanto privi di energia e si limita a saltellare da una sparatoria alle urla spaventate dei ragazzi, passando per delle tediose sale riunioni, e viceversa.

Auspicabilmente, Resident Evil dovrebbe funzionare meglio come serie per lo streaming che al cinema, ma questo nuovo adattamento non riesce a catturare (se non per brevi momenti) né il tono né le atmosfere orrorifiche dei videogiochi che lo hanno ispirato.

Se i film di Paul W. S. Anderson e Milla Jovovich si erano allontanati completamente dai videogiochi, trasformandosi in B-Movies più o meno divertenti, Welcome to Raccoon City si era invece avvicinato ai VG ma non era riuscito a cogliere ciò che li ha resi così popolari.

Ora, Resident Evil – La serie riesce nel non facile compito di collocarsi saldamente a metà tra queste due interpretazioni, evitando di capire ciò che faceva funzionare i videogiochi e anche ciò che rende di solito avvincente una visione seriale televisiva. Forse i creatori hanno pensato che sfuggire all’estetica ‘trita’ dei VG fosse sufficiente.

E per alcuni spettatori lo sarà: la storia delle origini di Wesker e la violenza sparsa sono probabilmente un’attrattiva per i devoti del franchise, ma per coloro che non ne hanno familiarità sembrerà di assistere a poco più dell’ennesimo serial con gli zombie confuso e un po’ pacchiano, appesantito dal bagaglio della tradizione preesistente. Non c’è abbastanza polpa sulle ossa di questa rivisitazione per chiunque, tranne che per i completisti più accaniti e pazienti.

Una seconda stagione non è del tutto da escludere, ma non ce la sentiamo di sbilanciarci nel dire se potrebbe essere un male o un bene.

Di seguito – sulle note di A summer place di Andy Williams – trovate il full trailer italiano di Resident Evil – La serie, su Netflix dal 14 luglio:

Share
Published by
William Maga