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Ron Howard esplora gli effetti dell’invecchiamento in Breakthrough

21/10/2015 news di Redazione Il Cineocchio

Il regista ha scritto e diretto un episodio di una 'serie documentario' del National Geographic Channel

Solo in rare occasioni Ron Howard si è interessato al mondo dei documentari, ma la possibilità di diventare produttore esecutivo e regista della serie Breakthrough per il National Geographic Channel ha senza dubbio rappresentato un tentazione irrinunciabile stavolta.

“Non è stato un cambiamento così drastico”, dice Howard. “Ho fatto, credo, cinque o sei film ispirati a fatti realmente accaduti, a partire da Apollo 13, quindi ho una certa esperienza. Mi piace la struttura narrativa che si eredita. In un modo interessante, questa genera un altro livello di creatività”. “E’ emozionante vedere quanto posso applicare delle mie esperienze passate e della mia sensibilità – più di quanto mi aspettassi – ma è molto anche quello che sto imparando”.

Non è stato semplice però per il regista. Howard infatti non ha avuto molto tempo da dedicare a Breakthrough a causa del suo lavoro al timone di Inferno e In the Heart of the Sea, l’adattamento del libro di Nathaniel Philbrick sull’equipaggio di una baleniera nel 1820.

Dovendosi accontentare quindi di scegliere un argomento per il singolo episodio che avrebbe diretto, ha scelto di esplorare come la scienza sta affrontando la questione dell’invecchiamento.

“E’ un argomento universale, che riguarda tutta l’umanità, e volevo capire come le persone giovani e quelle anziane considerano e sono influenzati da questo tema” dice.

Anche se comprensibilmente ci sarebbe molto da dire, Howard ha trovato una chiave di lettura che ad un certo punto ha parlato direttamente al drammaturgo che è in lui: il tentativo operato da alcuni eminenti scienziati di convincere la US Food and Drug Administration a classificare l’invecchiamento come una specifica area di ricerca per la quale potrebbe essere approvato il trattamento attraverso farmaci.

“Siamo stati in grado di concentrarci su qualcosa che sembrava un punto di svolta potenziale – e non era necessariamente quello che io mi aspettavo” ha aggiunto il regista. “Sono rimasto sorpreso dalla complessità e dalla pervicacia emotiva e intellettuale delle richieste della comunità medica e scientifica, che hanno deciso di affrontare questo argomento. In un certo senso è eroico”.

Per umanizzare un po’ il soggetto, Howard si è poi concentrato sulla sottotrama di uno scienziato e della moglie e della loro difficile scelta su quanto avrebbe dovuto essere aggressivo il processo di cura per la malattia da cui è affetta la donna.

“Ho trovato quella storia e il battito di cuore di quella coppia incredibilmente toccanti e facilmente riconoscibili”, ha commentato Howard “perché è talmente facile perdersi in quello che sta succedendo nella clinica e nel laboratorio, che tutto diventa più un concetto che un’urgenza”.

“Non ho mai voluto perdere di vista ciò che il ticchettio dell’orologio significa per ognuno di noi e per tutte le nostre famiglie, che aneliamo a una sempre maggiore conoscenza, a una maggiore chiarezza, a una strategia migliore”.

Howard e il suo team si sono infine occupati di Laura Deming, che ha iniziato gli studi al MIT all’età di 14 anni e ha poi abbandonato gli studi per dedicarsi a tempo pieno alla ricerca sull’invecchiamento.

Howard conclude dicendo che “la verità è più strana della finzione ed è più drammatica. E non c’è bisogno di persone che alzano gli occhi al cielo dicendo che una cosa non sarebbe mai potuta accadere. In questo modo si invita il pubblico ad impegnarsi e a ‘sentire’ in modi molto diversi da quelli adottati quando ci si trova davanti ad un film”. 

Fonte: Variety