Voto: 6/10 Titolo originale: Stranger Things , uscita: 15-07-2016. Stagioni: 5.
Stranger Things 5: la recensione dei 3 episodi del Volume 2, si vede la fine
26/12/2025 recensione serie tv Stranger Things di Marco Tedesco
Un penultimo capitolo spettacolare ma dilatato, ricco di emozioni e azione, penalizzato da ritmo incerto e spiegazioni eccessive, che apparecchia la tavola senza osare davvero

La seconda parte della quinta stagione di Stranger Things non è soltanto un penultimo capitolo (la recensione del Vol. 1): è un atto di verità. Non perché sveli finalmente tutti i misteri dell’Altro Sottosopra, ma perché mette a nudo, senza più possibilità di nascondersi, la natura profonda della serie. Qui i fratelli Duffer non stanno più costruendo, stanno amministrando. E l’amministrazione, per quanto spettacolare, non è mai un gesto creativo innocente.
La trama procede formalmente verso la resa dei conti. Vecna vuole portare a compimento il suo disegno di annientamento, l’Altro Sottosopra si rivela non come un semplice doppio del nostro mondo ma come una ferita cosmica più antica e radicale, e i protagonisti sono dispersi tra piani della realtà, ricordi materializzati e corridoi mentali. Hawkins è allo stremo, i bambini rapiti, il tempo ridotto. Tutto è predisposto per l’accelerazione finale. Eppure, ciò che domina queste puntate non è l’urgenza, ma l’esitazione.
Il problema non è che la serie rallenti. Rallentare, in teoria, è un gesto nobile: serve a dare peso, a preparare l’impatto. Il problema è che Stranger Things rallenta senza approfondire davvero. I personaggi parlano moltissimo, spiegano, ricapitolano, verbalizzano strategie e sentimenti con una minuzia che tradisce una sfiducia di fondo nello spettatore. Ogni decisione viene anticipata, ogni rischio spiegato, ogni passaggio chiarito, come se la storia non potesse reggersi senza un costante commento interno. È un racconto che non osa più tacere.
Questo eccesso di spiegazione diventa particolarmente evidente nelle sequenze di pura stasi narrativa: viaggi che non portano da nessuna parte, deviazioni che si richiudono su se stesse, flashback interrotti e ripresi in modo meccanico. Sono momenti che non aggiungono tensione né senso, ma allungano artificialmente il percorso. La sensazione è che il materiale per una conclusione compatta e potente ci fosse, ma sia stato deliberatamente diluito fino a diventare viscoso.
Eppure, quando la serie smette di parlare e torna a muoversi, il vecchio incanto riaffiora. Le sequenze d’azione sono ancora costruite con precisione e senso del ritmo, la messa in scena è imponente, il melodramma non ha paura di essere tale. In questi momenti Stranger Things ricorda a tutti perché è diventata un fenomeno globale: perché sa essere eccessiva, emotiva, persino ingenua, ma sempre sincera nella sua vocazione spettacolare.
Il vero nodo, però, non è tecnico, bensì emotivo. Questa stagione è attraversata da una nostalgia diversa rispetto al passato. Non più quella degli anni Ottanta citati e ricostruiti, ma una nostalgia interna, quasi autoreferenziale. I personaggi ricordano ciò che hanno vissuto, rievocano traumi, anniversari, prime perdite. La serie guarda se stessa come un oggetto già concluso, come se stesse preparando non solo il finale della storia, ma anche la propria commemorazione. È un gesto comprensibile, ma rischioso: la celebrazione può facilmente diventare compiacimento.
In questo contesto emergono alcune interpretazioni che reggono il peso dell’operazione meglio di altre. Sadie Sink conferma di essere una delle presenze più solide dell’intero cast: il percorso di Max è lungo, tortuoso, a tratti frustrante per quanto viene rimandato, ma quando finalmente trova spazio colpisce nel segno. Nell Fisher, nei panni di Holly, rappresenta la scommessa più audace: introdurre una nuova centralità in una serie già sovraffollata. Eppure funziona, proprio perché il suo sguardo non è ancora anestetizzato dall’orrore reiterato. È l’unica a sembrare davvero viva in mezzo a personaggi stanchi di sopravvivere.
Più problematico è il trattamento riservato ad altri volti storici. Il ritorno di Will come figura cardine, affidato a Noah Schnapp, è altalenante: alcune scene colpiscono, altre sembrano caricarlo di un peso emotivo che la scrittura non sa sostenere fino in fondo. Ancora più difficile sembra giustificare la marginalizzazione di Winona Ryder, la cui presenza ridotta appare come una rimozione simbolica delle origini stesse della serie. È come se Stranger Things avesse deciso che il passato va onorato, ma non troppo ascoltato.
Il sovraffollamento resta il peccato originale. A questo punto della storia, molti personaggi sono diventati funzionali, intercambiabili, sacrificabili. Non perché manchi loro affetto, ma perché manca il tempo per dare a tutti una chiusura autentica. A differenza di altre grandi serie giunte al termine, qui non c’è stata una vera potatura. Tutto è rimasto in scena, e ora il finale dovrà compiere un miracolo logistico prima ancora che emotivo.
Anche le grandi rivelazioni sull’Altro Sottosopra soffrono di questa congestione. Arrivano numerose, rapide, quasi accatastate. Rispondono a domande aperte da anni, ma raramente respirano. Spesso sembrano giustificazioni retroattive più che scoperte necessarie. Quando persino i personaggi ammettono di non sapere perché un piano funzioni, il sospetto che la serie stia procedendo per inerzia diventa difficile da ignorare.
E tuttavia, nonostante tutto questo, Stranger Things continua a esercitare una presa emotiva potente. Perché, al di là delle falle narrative e delle ridondanze, ha costruito nel tempo un rapporto quasi familiare con il suo pubblico. Dustin e Steve che si riavvicinano, Hopper esausto e disilluso, Undici sospesa prima dell’ultimo balzo: sono momenti che funzionano perché parlano di legami, non di mitologia. È lì che la serie trova ancora una verità.
La seconda parte della quinta stagione è dunque un territorio ambiguo: affaticato ma non vuoto, irrisolto ma non cinico. È il ritratto di una serie che ha superato il proprio momento ideale e lo sa, ma che non vuole rinunciare a salutare con tutti gli onori. Se il finale riuscirà a trasformare questa massa informe di fili narrativi in un gesto conclusivo autentico, lo scopriremo solo alla fine. Per ora resta la sensazione di un’opera che, arrivata al traguardo, continua a correre più per abitudine che per necessità, ma che proprio per questo merita di essere accompagnata fino all’ultimo passo.
Di seguito trovate il trailer doppiato in italiano del Vol. 2 della quinta stagione di Stranger Things, disponibile dal 26 novembre:
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